martedì 23 febbraio 2016

Italia dal Risorgimento alla Resistenza



Il  Risorgimento italiano  fu un movimento patriottico ,politico e militare ,che si compì fra le guerre d’indipendenza dell’Ottocento e l’annessione di Trento e Trieste del 1919, sotto la direzione monarchico-liberale moderata  avviata dai Savoia con Cavour, con il concorso di varie componenti sociali,politiche, cultural-ideologiche(Mazzini, Garibaldi ecc).

Ma proprio sul piano sociale ed economico, culturale,  sappiamo che rimase incompiuto, critico , per varie ragioni. : il Risorgimento divenne una  rivoluzione mancata, nel senso di mancata riforma agraria, di estraneità delle masse popolari e in particolare delle contadine, di irrisolta, anzi tendenzialmente accentuata divaricazione fra Nord e Sud. Alla “questione meridionale” si era anche aggiunta  una “questione cattolica”, dopo la frattura con il Papa.
Dopo Cavour e i tentativi dei Governi della Destra e Sinistra storica, nel primo decennio del XX secolo parve una ripresa del Risorgimento avvenisse con i governi di Giolitti.
La Prima guerra mondiale,con l’irredentismo, conteneva aspetti del Risorgimento, tuttavia prendevano il sopravvento  componenti imperialiste che ne avrebbero minato il senso di giustizia. 
Anche per questo poi ci furono vent’anni di dittatura fascista, fino alla disastrosa Seconda guerra mondiale.
Il fascismo, per suo conto, aveva politicamente e storiograficamente cercato di accreditarsi lui, nella sua componente nazionalista da Gentile a Volpe a Rocco, come il vero realizzatore rivoluzionario dei destini risorgimentali, e questo  fra l’ apologia crociana del Risorgimento liberale, sua opposta revisione critica da parte dei Gramsci e dei Gobetti, nuovo protagonismo nazionale dei cattolici e della Chiesa dopo Partito Popolare e Patti Lateranensi
Ma il fascismo, fra le altre sue caratteristiche, era diventato interprete  di un imperialismo italiano  che non poteva avere a che fare se non con un’idea aberrante di Risorgimento
Il fascismo al potere nel segmento storico fra quel primo e quel secondo Risorgimento, poteva essere giudicato come  una malattia irrazionalmente sopravvenuta in un corpo sano come voleva la storiografia liberale, Croce in testa, ovvero l’inevitabile destino delle fallimentari classi dirigenti prefasciste cosiddette liberali, ovvero ancora l’espressione di un sovversivismo intrinseco alle classi dirigenti italiane, come l’aveva definito Gramsci
Per questo il fenomeno della Resistenza, da Matteotti fino alla Costituzione della Repubblica Italiana, poté essere definito come la continuazione vera e propria del Risorgimento. Durante i venti mesi di guerre partigiane ,poi,si  manifestò quella che Giorgio Bocca ha definito una “italianità eccezionale”, una mobilitazione che avvenne in un periodo in cui “fu veramente possibile superare i legami del censo, della religione, delle etnie per essere semplicemente uomini liberi”
 Nella sua opera “Guerra civile”, Aldo Pavone ha messo in luce la particolare complessità della Resistenza, al cui interno confluivano tre correnti distinte, corrispondenti a tre guerre differenti: patriottica, civile e di classe, ciascuna sorretta dalle proprie motivazioni
Quel che prevalse nell’interpretazione storica della Resistenza come ‘secondo Risorgimento’ fu la sua istanza di un profondo rinnovamento sociale e politico, della fondazione di una patria che si auspicava intrinsecamente rinnovata nei rapporti sociali e nelle istituzioni.
Secondo la definizione degli esponenti del “Partito d’azione” (Rosselli, Parri),si espresse  l’idea che l’antifascismo stesso costituisse un secondo appello all’insorgenza per risorgere (fondamentale, la guerra di Spagna rispetto al contesto europeo)
Con i Quaderni di Gramsci il PCI puntava ad accreditare se stesso e la classe operaia quali eredi della grande tradizione liberale del Risorgimento, dagli Spaventa a De Sanctis fino all’approdo di quella tradizione – con Antonio Labriola – nel marxismo e nel socialismo. Su questa linea, è noto, Togliatti era giunto ad esprimere un giudizio storicamente positivo sulla stessa politica di apertura ai socialisti praticata nel primo Novecento da quel Giolitti che era sempre stato la tradizionale bestia nera della cultura salveminiana, gobettiana e ordinovista; e ciò Togliatti aveva fatto non solo in polemica politica contro l’ostracismo democristiano alle sinistre, ma anche con l’obiettivo storiografico di sottrarre Giolitti all’apologia e in sostanza appropriazione neoliberale operatane da Croce.

Era stata davvero la Resistenza il compimento del Risorgimento nazionale? E se sì, erano state davvero le avanguardie della classe operaia forza propulsiva e trainante della Resistenza come la borghesia più avanzata lo era stata del Risorgimento? Era questa una condizione essenziale per interpretare storicamente il fallimento e la caduta del fascismo come sconfitta storica delle tradizionali classi dirigenti borghesi e come fine dell’egemonia borghese, e per accreditare di conseguenza la classe operaia come nuova classe trainante ed egemone, come la nuova classe nazionalmente dirigente. Tanto che Togliatti – più culturalmente sensibile al momento risorgimentale – ispirava una storiografia molto attenta alle analogie e alla continuità Risorgimento-Resistenza.
Sempre in questo senso, nell’aprile del 1945 da una rivista napoletana, «Aretusa»: «L’Italia in cui viviamo non è pensabile – ammoniva Ginzburg − senza il Risorgimento. Sorto da un impellente bisogno di adeguare il nostro paese … alla moderna cultura e vita politica europea, mentre gli Stati italiani erano tanti cadaveri dissepolti che al contatto dell’aria sarebbero andati in polvere …
A sua volta, il liberale Guido Dorso, in certe sue straordinarie pagine del 1944 sulla Teoria politica dei “partigiani”, aveva a sua volta avvertito: «Un nuovo incontro di Teano non appare probabile, poiché questo tipo di eventi storici presuppone l’assenza delle masse e la tendenza delle élites rivoluzionarie a transigere. Oggi, invece, il movimento partigiano si sviluppa attraverso il popolo, e ciò dovrebbe essere sufficiente a preservarlo da adulterazioni. Tutto il processo storico, iniziatosi col Risorgimento e limitatosi finora all’indipendenza nazionale, pare voglia concludersi con un nuovo Risorgimento, che artificiosamente si vorrebbe limitare al riacquisto dell’indipendenza, ma che in effetti … deve espandersi all’affermazione dell’autogoverno come unico mezzo per l’effettivo acquisto e garanzia della libertà». Mettiamo insieme le parole del torinese Ginzburg e del meridionale Dorso, il Risorgimento di quello con il nuovo Risorgimento di questo, e sarà chiaro quale destino di scontro politico dovesse attendere – repubblica, costituzione, strategie economico-sociali
Da parte del cattolicesimo si  proponeva invece la delaicizzazione e clericalizzazione del Risorgimento per sottrarlo all’egemonia interpretativa e marxista e liberale, così come nel 1955 – decennale della Liberazione – c’era stato un notevole e non banale sforzo (Malvestiti sul «Popolo» e storiograficamente Passerin d’Entreves su «Civitas» di Taviani) di cattolicizzare la Resistenza, enfatizzandone la dimensione religiosa

Costruttivamente critica era la visione proveniente dagli ambiti del Partito d’Azione: « Ora è tempo di agire : ma non si deve credere di essere quello che non siamo e di non essere stati quello che fummo. Non si passa facilmente dalla tirannia, che fu in gran parte quella delle nostre miserie e delle nostre passioni, alla libertà propria dei popoli che posseggono un costume che noi non abbiamo ancora conquistato ». In queste parole, pronunciate da Mario Bracci, vi era tutta la consapevolezza che l’azionismo ebbe del fatto che la ricostruzione non poteva coinvolgere solo gli assetti politici e istituzionali, ma doveva riguardare un piano più ampio, concernente la rigenerazione morale di un intero paese
Per concludere ,possiamo certamente definire la Resistenza come secondo Risorgimento dipanatosi in quella fase storica così decisiva e drammatica per tutte le forze politiche che avevano costituito il CLN.
Ma come per il Risorgimento, anche la Resistenza trovò dei limiti. In un popolo avvezzo a vent’anni di fascismo, rimaneva una parte non minima di  acquiescenti passivi ,confusi, indifferenti,  diffidenti, quando non ostili,per interessi personali o di ceto ,timorosi dei cambiamenti .Essi  avevano passivamente assistito e considerato la caduta del Fascismo ,l’avevano magari applaudita superficialmente, ma non a caso,nel referendum del’46 più di 10 milioni e mezzo si espressero per la conservazione della monarchia (contro i 12 milioni e mezzo per la Repubblica)
Come per altri aspetti, ancora una volta si produsse una distanza e differenza fra Sud e Nord, perché nel territorio meridionale non vi fu che breve tempo di partecipazione, subito  a ridosso della liberazione/occupazione americana, mentre fu a settentrione che gli italiani(di tutte le regioni,occorre dirlo)espressero con coraggio l’identità patriottica e civile. A seguito i limiti più importanti furono  quelli politici, esterni e internazionali, ma anche interni ai partiti prodotti dalla Resistenza.   La decrepita Carta albertina era stata sostituita da una Costituzione coraggiosa, limpidamente democratica, forse fin troppo preoccupata di imbrigliare ogni potere in un giuoco di contrappesi e di equilibri. Il suo impatto veniva però attenuato da studiati rinvii, da cautele interpretative e da vere e proprie lacune d’applicazione. Nel corso del primo decennio repubblicano il centrismo di De Gasperi,, artefice della politica atlantica in Italia, ebbe, infatti, quale effetto sul piano giudiziario quello di congelare la massa di processi contro i crimini di guerra e di rendere, di contro la Resistenza perseguibile di reati di violenza, animando un acceso dibattito sulla legittimità della guerra partigiana. Certamente pesarono le condizioni imposte dal clima di “guerra fredda”e dall’essere il nostro Paese sotto controllo internazionale americano.
Nel 1947, la rivista « Il Ponte » dedicava un suo fascicolo alla Crisi della Resistenza: Salvemini e Calamandrei la inserivano in un contesto internazionale mutato che faceva sì che le forze unite nella Resistenza si stessero combattendo mettendo in pericolo la pace mondiale ; sul piano nazionale si lamentava la mancata sistemazione, da un punto di vista legislativo, delle conquiste ottenute. Anzi Peretti Griva e Galante Garrone denunciavano come l’avere lasciato in vigore la legislazione vecchia consentisse di trasformare in atti criminali di « ribelli » le azioni partigiane. Erano questi i frutti della mancata epurazione la quale per essere efficace, notava Arturo Carlo Jemolo, avrebbe dovuto colpire 100 nomi e non di più. Vittorio Foa, infine, retrodatava la crisi della Resistenza all’estate del 1944, quando le scelte politiche nazionali e internazionali che erano seguite allo sbarco alleato in Occidente e alla liberazione della Francia e di Roma, avevano gettato i semi della futura sconfitta delle speranze resistenziali.

Così Pasolini ebbe a definire, negli anni’50 ,che erano rimaste solo”le ceneri di Gramsci” e la Resistenza veniva tradita nelle sue istanze di defascistizzazione delle strutture statali e dell’apparato burocratico, di radicalità laica, di rinnovamento dei rapporti sociali e democratici come lo si era embrionalmente vissuto nei CLN settentrionali.
Eppure,prima e dopo lo snodo del ’48, venne rilanciato ancora lo spirito militante della Resistenza nel ’56,  con l’opposizione di popolo al torbido tentativo Tambroni di riportare i neofascisti nell’area di governo e di bloccare la nascita del centro-sinistra .Per arrivare alla fine degli anni ’60, quando un grande movimento intraprese anche in Italia , come in tutto  Mondo occidentale,il miglioramento delle condizioni dei lavoratori, degli studenti, delle donne, delle minoranze e differenze-
Infine, possiamo ben dire che in Italia, Risorgimento, Resistenza,  non han mai finito di compiere il loro percorso, e paiono alternarsi a periodi di reazione da parte delle forze antidemocratiche, oscurantiste del progresso.


(sintesi da interventi  sul tema da parte di Umberto Carpi,Giovanni Felice,Guido Levi,Aldo Pavone, Giorgio Bocca, Michela Ponziani, Leonardo Casalino)

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