Il Risorgimento italiano fu un
movimento patriottico ,politico e militare ,che si compì fra le guerre
d’indipendenza dell’Ottocento e l’annessione di Trento e Trieste del 1919,
sotto la direzione monarchico-liberale moderata avviata dai Savoia con Cavour, con il concorso di varie componenti sociali,politiche, cultural-ideologiche(Mazzini, Garibaldi ecc).
Ma proprio sul piano sociale ed economico, culturale, sappiamo che rimase incompiuto, critico , per
varie ragioni. : il Risorgimento divenne
una rivoluzione mancata, nel senso di
mancata riforma agraria, di estraneità delle masse popolari e in particolare
delle contadine, di irrisolta, anzi tendenzialmente accentuata divaricazione
fra Nord e Sud. Alla “questione meridionale” si era anche aggiunta una “questione cattolica”, dopo la frattura con il Papa.
Dopo Cavour e i tentativi dei Governi della Destra e Sinistra storica, nel
primo decennio del XX secolo parve una ripresa del Risorgimento avvenisse con i
governi di Giolitti.
La Prima guerra mondiale,con l’irredentismo, conteneva aspetti del
Risorgimento, tuttavia prendevano il sopravvento componenti imperialiste che ne avrebbero
minato il senso di giustizia.
Anche per questo poi ci furono vent’anni di dittatura fascista, fino alla
disastrosa Seconda guerra mondiale.
Il fascismo, per suo conto,
aveva politicamente e storiograficamente cercato di accreditarsi lui, nella sua
componente nazionalista da Gentile a Volpe a Rocco, come il vero realizzatore
rivoluzionario dei destini risorgimentali, e questo fra l’ apologia crociana del Risorgimento
liberale, sua opposta revisione critica da parte dei Gramsci e dei Gobetti,
nuovo protagonismo nazionale dei cattolici e della Chiesa dopo Partito Popolare
e Patti Lateranensi
Ma il fascismo, fra le altre sue caratteristiche, era diventato interprete di un imperialismo
italiano che non poteva avere a che
fare se non con un’idea aberrante di Risorgimento
Il fascismo al potere nel segmento storico fra quel primo e quel secondo
Risorgimento, poteva essere giudicato come
una malattia irrazionalmente sopravvenuta in un corpo sano come voleva
la storiografia liberale, Croce in testa, ovvero l’inevitabile destino delle
fallimentari classi dirigenti prefasciste cosiddette liberali, ovvero ancora
l’espressione di un sovversivismo intrinseco alle classi dirigenti italiane,
come l’aveva definito Gramsci
Per questo il fenomeno della
Resistenza, da Matteotti fino alla Costituzione della Repubblica Italiana, poté
essere definito come la continuazione vera e propria del Risorgimento. Durante
i venti mesi di guerre partigiane ,poi,si manifestò quella che Giorgio Bocca ha definito
una “italianità eccezionale”, una mobilitazione che avvenne in un periodo in
cui “fu veramente possibile superare i legami del censo, della religione, delle
etnie per essere semplicemente uomini liberi”
Nella sua opera “Guerra
civile”, Aldo Pavone ha messo in luce la particolare complessità della
Resistenza, al cui interno confluivano tre correnti distinte, corrispondenti a
tre guerre differenti: patriottica,
civile e di classe, ciascuna sorretta dalle proprie motivazioni
Quel che prevalse nell’interpretazione storica della Resistenza come
‘secondo Risorgimento’ fu la sua istanza di un profondo rinnovamento sociale e
politico, della fondazione di una patria che si auspicava intrinsecamente
rinnovata nei rapporti sociali e nelle istituzioni.
Secondo la definizione degli esponenti del “Partito d’azione” (Rosselli,
Parri),si espresse l’idea che
l’antifascismo stesso costituisse un secondo appello all’insorgenza per
risorgere (fondamentale, la guerra di Spagna rispetto al contesto europeo)
Con i Quaderni di Gramsci il PCI puntava ad accreditare se stesso e la
classe operaia quali eredi della grande tradizione liberale del Risorgimento,
dagli Spaventa a De Sanctis fino all’approdo di quella tradizione – con Antonio
Labriola – nel marxismo e nel socialismo. Su questa linea, è noto, Togliatti
era giunto ad esprimere un giudizio storicamente positivo sulla stessa politica
di apertura ai socialisti praticata nel primo Novecento da quel Giolitti che
era sempre stato la tradizionale bestia nera della cultura salveminiana,
gobettiana e ordinovista; e ciò Togliatti aveva fatto non solo in polemica
politica contro l’ostracismo democristiano alle sinistre, ma anche con l’obiettivo
storiografico di sottrarre Giolitti all’apologia e in sostanza appropriazione
neoliberale operatane da Croce.
Era stata davvero la Resistenza il compimento del Risorgimento nazionale? E
se sì, erano state davvero le avanguardie della classe operaia forza propulsiva
e trainante della Resistenza come la borghesia più avanzata lo era stata del
Risorgimento? Era questa una condizione essenziale per interpretare
storicamente il fallimento e la caduta del fascismo come sconfitta storica
delle tradizionali classi dirigenti borghesi e come fine dell’egemonia
borghese, e per accreditare di conseguenza la classe operaia come nuova classe
trainante ed egemone, come la nuova classe nazionalmente dirigente. Tanto che
Togliatti – più culturalmente sensibile al momento risorgimentale – ispirava
una storiografia molto attenta alle analogie e alla continuità Risorgimento-Resistenza.
Sempre in questo senso, nell’aprile del 1945 da una rivista napoletana,
«Aretusa»: «L’Italia in cui viviamo non è pensabile – ammoniva Ginzburg − senza
il Risorgimento. Sorto da un impellente bisogno di adeguare il nostro paese …
alla moderna cultura e vita politica europea, mentre gli Stati italiani erano
tanti cadaveri dissepolti che al contatto dell’aria sarebbero andati in polvere
…
A sua volta, il liberale Guido Dorso, in certe sue straordinarie pagine del
1944 sulla Teoria politica dei “partigiani”, aveva a sua volta avvertito: «Un
nuovo incontro di Teano non appare probabile, poiché questo tipo di eventi
storici presuppone l’assenza delle masse e la tendenza delle élites
rivoluzionarie a transigere. Oggi, invece, il movimento partigiano si sviluppa attraverso
il popolo, e ciò dovrebbe essere sufficiente a preservarlo da adulterazioni.
Tutto il processo storico, iniziatosi col Risorgimento e limitatosi finora
all’indipendenza nazionale, pare voglia concludersi con un nuovo Risorgimento, che artificiosamente si vorrebbe limitare al
riacquisto dell’indipendenza, ma che in effetti … deve espandersi
all’affermazione dell’autogoverno come unico mezzo per l’effettivo acquisto e
garanzia della libertà». Mettiamo insieme le parole del torinese Ginzburg e del
meridionale Dorso, il Risorgimento di quello con il nuovo Risorgimento di
questo, e sarà chiaro quale destino di scontro politico dovesse attendere –
repubblica, costituzione, strategie economico-sociali
Da parte del cattolicesimo si proponeva invece la delaicizzazione e
clericalizzazione del Risorgimento per sottrarlo all’egemonia interpretativa e
marxista e liberale, così come nel 1955 – decennale della Liberazione – c’era
stato un notevole e non banale sforzo (Malvestiti sul «Popolo» e storiograficamente
Passerin d’Entreves su «Civitas» di Taviani) di cattolicizzare la Resistenza,
enfatizzandone la dimensione religiosa
Costruttivamente critica era la visione
proveniente dagli ambiti del Partito d’Azione: « Ora è tempo di
agire : ma non si deve credere di essere quello che non siamo e di non
essere stati quello che fummo. Non si passa facilmente dalla tirannia, che fu
in gran parte quella delle nostre miserie e delle nostre passioni, alla libertà
propria dei popoli che posseggono un costume che noi non abbiamo ancora
conquistato ». In queste parole, pronunciate da Mario Bracci, vi era tutta
la consapevolezza che l’azionismo ebbe del fatto che la ricostruzione non
poteva coinvolgere solo gli assetti politici e istituzionali, ma doveva
riguardare un piano più ampio, concernente la rigenerazione morale di un intero
paese
Per concludere ,possiamo certamente definire la Resistenza come secondo Risorgimento dipanatosi in quella fase
storica così decisiva e drammatica per tutte le forze politiche che avevano
costituito il CLN.
Ma come per il Risorgimento, anche la Resistenza trovò dei limiti. In un
popolo avvezzo a vent’anni di fascismo, rimaneva una parte non minima di acquiescenti passivi ,confusi,
indifferenti, diffidenti, quando non
ostili,per interessi personali o di ceto ,timorosi dei cambiamenti .Essi avevano passivamente assistito e considerato
la caduta del Fascismo ,l’avevano magari applaudita superficialmente, ma non a
caso,nel referendum del’46 più di 10 milioni e mezzo si espressero per la
conservazione della monarchia (contro i 12 milioni e mezzo per la Repubblica)
Come per altri aspetti, ancora una volta si produsse una distanza e
differenza fra Sud e Nord, perché nel territorio meridionale non vi fu che
breve tempo di partecipazione, subito a
ridosso della liberazione/occupazione americana, mentre fu a settentrione che
gli italiani(di tutte le regioni,occorre dirlo)espressero con coraggio
l’identità patriottica e civile. A seguito i limiti più importanti furono quelli politici, esterni e internazionali, ma
anche interni ai partiti prodotti dalla Resistenza. La decrepita Carta
albertina era stata sostituita da una Costituzione coraggiosa, limpidamente
democratica, forse fin troppo preoccupata di imbrigliare ogni potere in un
giuoco di contrappesi e di equilibri. Il suo impatto veniva però attenuato da studiati
rinvii, da cautele interpretative e da vere e proprie lacune d’applicazione.
Nel corso del primo decennio
repubblicano il centrismo di De Gasperi,, artefice della politica atlantica in
Italia, ebbe, infatti, quale effetto sul piano giudiziario quello di congelare
la massa di processi contro i crimini di guerra e di rendere, di contro la
Resistenza perseguibile di reati di violenza, animando un acceso dibattito
sulla legittimità della guerra partigiana. Certamente pesarono le condizioni
imposte dal clima di “guerra fredda”e dall’essere il nostro Paese sotto
controllo internazionale americano.
Nel 1947, la rivista « Il Ponte » dedicava un suo
fascicolo alla Crisi della Resistenza:
Salvemini e Calamandrei la inserivano in un contesto internazionale mutato che
faceva sì che le forze unite nella Resistenza si stessero combattendo mettendo
in pericolo la pace mondiale ; sul piano nazionale si lamentava la mancata
sistemazione, da un punto di vista legislativo, delle conquiste ottenute. Anzi
Peretti Griva e Galante Garrone denunciavano come l’avere lasciato in vigore la
legislazione vecchia consentisse di trasformare in atti criminali di
« ribelli » le azioni partigiane. Erano questi i frutti della mancata
epurazione la quale per essere efficace, notava Arturo Carlo Jemolo, avrebbe
dovuto colpire 100 nomi e non di più. Vittorio Foa, infine, retrodatava la
crisi della Resistenza all’estate del 1944, quando le scelte politiche
nazionali e internazionali che erano seguite allo sbarco alleato in Occidente e
alla liberazione della Francia e di Roma, avevano gettato i semi della futura
sconfitta delle speranze resistenziali.
Così Pasolini ebbe a definire, negli anni’50 ,che erano rimaste solo”le
ceneri di Gramsci” e la Resistenza veniva tradita nelle sue istanze di
defascistizzazione delle strutture statali e dell’apparato burocratico, di
radicalità laica, di rinnovamento dei rapporti sociali e democratici come lo si
era embrionalmente vissuto nei CLN settentrionali.
Eppure,prima e dopo lo snodo del ’48, venne rilanciato ancora lo spirito
militante della Resistenza nel ’56, con l’opposizione di popolo al torbido tentativo Tambroni di
riportare i neofascisti nell’area di governo e di bloccare la nascita del
centro-sinistra .Per arrivare alla fine degli anni ’60, quando un grande
movimento intraprese anche in Italia , come in tutto Mondo occidentale,il miglioramento delle
condizioni dei lavoratori, degli studenti, delle donne, delle minoranze e
differenze-
Infine, possiamo ben dire che in Italia, Risorgimento, Resistenza, non han mai finito di compiere il loro
percorso, e paiono alternarsi a periodi di reazione da parte delle forze
antidemocratiche, oscurantiste del progresso.
(sintesi da interventi sul tema da parte di Umberto Carpi,Giovanni
Felice,Guido Levi,Aldo Pavone, Giorgio Bocca, Michela Ponziani, Leonardo
Casalino)