sabato 23 gennaio 2016

Fogazzaro e D'Annunzio

Fogazzaro, le storie (e anche la Storia), le sapeva raccontare davvero. Io - che sono uno studioso di d'Annunzio (1863-1938) e che so quanto la ricerca narrativa dannunziana sia importante, tra novelle e romanzi, tra anni Ottanta e Novanta dell'Ottocento, tra Terra vergine (1882) e Le vergini delle rocce (1896) - penso che il Vate di Pescara sapesse scrivere da Dio e che sniffasse l'aria dei tempi (e non solo) da sensibile antenna intellettuale qual'era, ma che non sapesse raccontare propriamente le storie, né la Storia: troppo preso da sé stesso, scriveva sempre più romanzi-saggi che romanzi-romanzi e metteva in scena un suo mondo, filtratissimo, piuttosto che il mondo tout court. E con ciò non voglio certo dire che quel suo mondo non fosse (e non sia) di un interesse e di un fascino davvero sommi, né che Fogazzaro non fosse preso da sé stesso, dal suo saggismo, dalle sue idee, oscillanti, che so, tra spiritismo ed evoluzionismo cristiano.* Solo, il vicentino non vi sacrificava del tutto le immagini, il racconto, almeno non fino al punto in cui arrivò via via a sacrificarle e a sacrificarlo Gabriele d'Annunzio (non senza qualche eccezione, anche più tarda, di grande rilievo)
 Certo, c'è il rovescio della medaglia. D'Annunzio, checché se ne sia detto, non è mai dove si pensa di trovarlo: alla ricerca costante di sé stesso, è abilissimo a giocare a nascondino con gli altri, con i lettori e con, soprattutto, le lettrici e le eroine dei suoi libri. E tende a giocare fino all'ultimo e in seno a quel nuovo e così diverso secolo XX che si appresta a far un sol boccone del vecchio Ottocento, dei suoi più o meno piccoli mondi, messi a ferro e fuoco, tutti quanti, durante la prolungata guerra civile europea (1914-1945)
 Ma proprio per questo d'Annunzio è predisposto a entrare (e pure a vivere, e non solo biologicamente) nel Novecento, mentre Antonio Fogazzaro resta ancorato per molti versi all'Ottocento; e specie per la sua tetralogia, per la sua arte di raccontare storie che si fanno ciclo da sé, naturaliter, senza l'infinita progettualità del titolare dannunziano .

*Una volta divenuto convinto assertore di un evoluzionismo cristiano, la sua concezione trovò collocazione in una più ampia panoramica teorica secondo la quale l’amore è metro dell’evoluzione umana, che dall’istinto sessuale porta all’affermazione dello spirito sul corpo secondo un vasto progetto divino.

                                               Per un non cauto omaggio a Fogazzaro.
Nel centenario della morte (1911-2011)

di Luciano Curreri
(Université de Liège)                   

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