sabato 18 giugno 2016

Nietzsche

Era il 1977. Le tensioni sociali e la contestazione studentesca dominavano le cronache italiane. A febbraio Luciano Lama veniva cacciato dalla Sapienza e sulle mura di quella stessa università compariva la scritta: «Il deserto cresce, guai a chi nasconde deserti dentro di sé». Era uno degli slogan in voga. Ed era, soprattutto, una frase dello Zarathustra di Nietzsche.
Dopo qualche mese, nell’estate dello stesso anno, il «Corriere della Sera» riportava la notizia di un convegno nietzscheano a Cefalù nel quale, con molto stupore, si sottolineava «il nuovo interesse di intellettuali antifascisti e democratici di sinistra per l’autore “innominabile” dello Zarathustra». E in quegli stessi giorni Giorgio Almirante, leader dell’Msi, in un comizio esclamava malinconicamente: «adesso ci vogliono scippare anche Nietzsche!». Non era certo un caso.
Nietzsche è stato il filosofo più controverso, dibattuto e tirato per la giacca d’un intero secolo. È una storia lunga e complicata: dalla “nazificazione” del suo pensiero alla depoliticizzazione, in nome di un ritorno all’ambito della storia della filosofia; infine l’uso che le varie stagioni politiche ne hanno fatto. Nietzsche, suo malgrado, è stata un’etichetta prestigiosa (o no, a seconda dei punti di vista) sotto cui iscrivere visioni del mondo e filosofie della storia.
Da noi, in Italia, queste utilizzazioni del pensatore tedesco hanno assunto colorature e contorni sino in fondo mai studiati. Lo fa oggiStefano Azzarà nel suo Un Nietzsche italiano (manifestolibri): il libro ricostruisce la fortuna che ha avuto l’immagine del filosofo tedesco alla luce delle interpretazioni che ne ha dato Gianni Vattimo. Ne emerge un quadro interessante sotto più punti di vista. Anzitutto come un pensatore considerato reazionario e conservatore diventi, in breve tempo, icona di molti intellettuali dell’estrema sinistra. E poi perché questo slittamento che porta Nietzsche in un «graduale ma pieno assorbimento nel pantheon culturale della sinistra», avviene in un concatenamento di fatti politici.
Quindi non si tratta soltanto di storia delle idee: qui siamo di fronte alla realtà conflittuale degli anni Sessanta e Settanta, alla violenza, al terrorismo. E l’impatto di tutto ciò sui ceti intellettuali. In quegli anni la società non appare abbastanza rivoluzionaria, e Nietzsche viene assunto, scrive Azzarà, a modello teorico per «l’estrema radicalizzazione della critica alla democrazia capitalista»: più critico, più spietato, più rivoluzionario.
Era colui a partire dal quale si poteva mettere in discussione il falso illuminismo delle società occidentali e, allo stesso tempo, rispondeva agli afflati anticomunisti della sinistra extraparlamentare perché dava voce al dissenso nei confronti del «socialismo sovietico e del suo “volto burocratico e autoritario”». Per questo fu eletto a «nonno della contestazione studentesca». Ad Azzarà riesce perciò non soltanto la ricostruzione, rigorosa, del percorso teorico di Vattimo. Attraverso questo percorso disegnare anche una mappa sociale e politica di quegli anni, con tutte le insidie e gli incidenti che hanno caratterizzato non soltanto il filosofo torinese, ma un’intera generazione d’intellettuali legati alla sinistra.
E pone tutta una serie di interrogativi non sempre risolti: dall’incidenza del terrorismo – c’è una frase di Vattimo nella quale il filosofo proclamava che «la critica delle armi deve realizzare ciò che da sole non possono fare le armi della critica» (che però altri non è che il giovane Marx) – al loro “riflusso” neoliberale in anni più recenti. Ha ragione l’autore quando scrive che Nietzsche ha giocato un ruolo decisivo nella nostra società «che non è possibile rimuovere con una semplice demonizzazione o con un’alzata di spalle». E nemmeno, si può aggiungere, quella stagione può esser liquidata o assolta senza fare i conti con tutti i suoi contesti, teorici e non. Un’alzata di spalle non vi seppellirà.

1 commento:

  1. Ghirardi Sergio •
    Che i cosiddetti intellettuali abbiano bisogno di icone dice tutto sulla miseria dei suddetti.
    Solo dei fanatici manichei isterici ( a cominciare da sua sorella) possono giocare a tirare Nietzsche da una parte all'altra di un fossato ideologico tutto interno alla società capitalista. Destra e sinistra sono da un secolo (diciamo da Dreyfuss in poi) uno spartiacque ideologico semifittizio che nasconde quello storico tra sostenitori della società dominante (conservatori e progressisti) e oppositori anticapitalisti ( a loro volta ben distinti in socialisti rivoluzionari e nazionalsocialisti fascisti reazionari).
    Nietzsche ha pensato dal punto di vista della soggettività e una tale ampiezza di sguardo ha fatto sì che si possano trovare in lui mille sfaccettature per annetterselo ideologicamente. E' però un'operazione da schiavi perché Nietzsche risulta irrecuperabile nella sua divina mania di conoscenza totalizzante e non totalitaria.
    Nietzsche è utile a una lettura dialettica radicale della filosofia della storia quanto della storia della filosofia. La sua critica del collettivismo aiuta a ritrovare le radici radicali della teoria del proletariato di un Marx machiavelliano, così come il suo superuomo e i suoi untermenchen (sic) spingeranno W. Reich a denunciare piuttosto - ancora una volta dialetticamente - il piccolo uomo razzista e frustrato che si nasconde dietro alle manie di grandezza di una volontà di potenza scaturita dall'impotenza una volta perduta la volontà di vivere da liberi esseri sociali.
    Nietzsche è affascinante oltre le sue contraddizioni e il suo fascino trasuda anche in un libro fondamentale del ventesimo secolo: quel "Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni" (finalmente ritradotto decentemente per l'editore Castelvecchi nel 2006) che è stato il libro più rubato durante il maggio 68.
    In seguito Vaneigem, autore prolifico ma non abbastanza conosciuto in Italia, si è spinto più lontano sulla strada dell'autonomia di pensiero e ci ha richiamato con coerenza all'esigenza pratica che il riconoscimento dell'importanza e dell'attualità di Nietzsche si spinga fino al suo superamento teorico.
    La soggettività rimette al centro di ogni azione collettiva l'individuo autonomo: a partire da questa sensibilità rivoluzionaria si stanno manifestando i primi segni di un ritorno della volontà di emancipazione nelle occupazioni laiche delle piazze nordafricane, di Wall Street e del resto del mondo. Piccoli segni ancora fragili e facilmente sommersi dall'ignoranza atavica di massa delle superstizioni tradizionali (le religioni) e di quella moderna (l'economicismo), freni a mano di un vagone della storia umana che rischia ormai di deragliare.
    Siamo a un bivio tipicamente nietzschiano e la situazione dei rifiuti di Napoli ci ricorda a livello sociale che ognuno di noi, se non interviene soggettivamente e umanamente (cioé in comune) contro i collettivismi mafiosi privati e di Stato, può finire DOVUNQUE inghiottendo i suoi propri escrementi.
    o

    gianchetto
    tu sei l'autore del libro Internazionale Situazionista - la salamandra e che ho a casa, insieme a Dario Varini, un libro che ho letto tanti anni fa con molto interesse. E' tutto sottolineato a matita...complimenti

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