domenica 26 giugno 2016

La fine del Regno Unito?

C'è forse da ipotizzare che l'espressione del referendum britannico si trasformi nella fine del Regno Unito.Per altre vie sono crollati Imperi, Federazioni, Sistemi..perchè ora non potrebbe toccare a questo Impero che è stato camaleonte con il passare del tempo, e che ora potrebbe disfarsi..Inghilterra(e Galles?) uno Stato, Scozia, Irlanda del nord, altri Stati....le prestidigitazioni del Capitale sono infinite!
Il suo Dominio totale  è l'unico Sistema che ammette..
 Il progetto mondialista in atto, ben spiegato da Brzeziski nel suo “La Grande Scacchiera”, non prevede passi indietro. Bisogna continuare a lavorare per imporre il modello unico neoliberista in ogni parte del mondo, attraverso soprattutto la stipula di trattati transatlantici (TTIP) e transpacifici (TTP) che sanciscono di fatto il definitivo trasferimento dei poteri dal pubblico (gli Stati) al privato (multinazionali e banche d’affari).
Così come ad inizio '900 sono stati disfatti imperi desueti e verso la fine l'Unione sovietica e il suo sistema di satelliti , perchè non potrebbe toccare al Regno unito, all'Europa debolmente unita?
Meno queste entità sono solide, e più i cosidetti Stati sono alle dipendenze dei centri di controllo del Capitale.

lunedì 20 giugno 2016

Joe Cox

In Inghilterra, a pochi giorni dal  referendum sulla “Brexit”, ritenuta altamente probabile nonostante le indicazioni in senso contrario di Cameron e Corbyn, un fanatico ammazza la parlamentare laburista ed europeista Joe Cox  al grido di “Britain first”.
Commentare l’episodio dell’assassinio di Joe Cox in Inghilterra prevede innanzitutto la considerazione preliminare che si tratta di un fatto orribile perpetrato da un nazista fanatico contro una deputata antifascista e antirazzista. Questo per sgomberare il campo da ogni tipo di polemica sotterranea. Si possono però svolgere anche una serie di considerazioni a margine dell’episodio, sulle sue ricadute e sull’effetto che avranno sulle prossime scadenze in Europa, in primo luogo sul referendum sulla Brexit
 Il progetto mondialista in atto, ben spiegato da Brzeziski nel suo “La Grande Scacchiera”, non prevede passi indietro. Bisogna continuare a lavorare per imporre il modello unico neoliberista in ogni parte del mondo, attraverso soprattutto la stipula di trattati transatlantici (TTIP) e transpacifici (TTP) che sanciscono di fatto il definitivo trasferimento dei poteri dal pubblico (gli Stati) al privato (multinazionali e banche d’affari). Se, nel mezzo di questo processo epocale, un Paese importante come l’Inghilterra scegliesse invece di valorizzare e riattualizzare il ruolo dello Stato nazione, quali rischi potrebbe correre in prospettiva il progetto massonico e globalista fin qui costruito con tanta cura e pazienza dai soliti aguzzini in doppio petto? Rischi gravissimi e potenzialmente fatali forse, perché un’ eventuale vittoria del “no” alla Ue  costituirebbe il classico detonatore di un malcontento diffuso che può far crollare l’intero infame edificio. I nazisti tecnocratici non possono assolutamente perdere il referendum del 23 giugno. Il 16 giugno, ad una settimana precisa dal voto, un fanatico uccide l’europeista Cox. A questo punto le possibilità sul tappeto rimangono essenzialmente due: o si è trattato di una fatalità oppure no. Nel primo caso c’è poco da aggiungere, cosa si può dire di fronte al gesto di uno squilibrato di orientamento nazista che, influenzato dalla durezza del dibattito politico, ha compiuto un atto scellerato? Nulla, al massimo è possibile invitare banalmente tutti ad “abbassare i toni”. Volendo approfondire la seconda ipotesi, invece, è lecito chiedersi preliminarmente “cui prodest” il barbaro omicidio di Joe Cox? 

Ancora oggi ci si interroga sulle reali dinamiche che portarono agli omicidi di J. F. Kennedy e Martin Luther King;; ancora oggi è avvolto dal mistero “l’incidente” che costò la vita a Mattei, e ogni giorno spuntano versioni diverse sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro.  Per non parlare dell’11 settembre e della fantomatica presenza di inesistenti armi di distruzione di massa che indussero Blair a fiancheggiare la sporca e ipocrita guerra americana in Iraq. Tutti interrogativi che affascinano perlopiù i soliti incalliti complottardi?






























































































































sabato 18 giugno 2016

Nietzsche

Era il 1977. Le tensioni sociali e la contestazione studentesca dominavano le cronache italiane. A febbraio Luciano Lama veniva cacciato dalla Sapienza e sulle mura di quella stessa università compariva la scritta: «Il deserto cresce, guai a chi nasconde deserti dentro di sé». Era uno degli slogan in voga. Ed era, soprattutto, una frase dello Zarathustra di Nietzsche.
Dopo qualche mese, nell’estate dello stesso anno, il «Corriere della Sera» riportava la notizia di un convegno nietzscheano a Cefalù nel quale, con molto stupore, si sottolineava «il nuovo interesse di intellettuali antifascisti e democratici di sinistra per l’autore “innominabile” dello Zarathustra». E in quegli stessi giorni Giorgio Almirante, leader dell’Msi, in un comizio esclamava malinconicamente: «adesso ci vogliono scippare anche Nietzsche!». Non era certo un caso.
Nietzsche è stato il filosofo più controverso, dibattuto e tirato per la giacca d’un intero secolo. È una storia lunga e complicata: dalla “nazificazione” del suo pensiero alla depoliticizzazione, in nome di un ritorno all’ambito della storia della filosofia; infine l’uso che le varie stagioni politiche ne hanno fatto. Nietzsche, suo malgrado, è stata un’etichetta prestigiosa (o no, a seconda dei punti di vista) sotto cui iscrivere visioni del mondo e filosofie della storia.
Da noi, in Italia, queste utilizzazioni del pensatore tedesco hanno assunto colorature e contorni sino in fondo mai studiati. Lo fa oggiStefano Azzarà nel suo Un Nietzsche italiano (manifestolibri): il libro ricostruisce la fortuna che ha avuto l’immagine del filosofo tedesco alla luce delle interpretazioni che ne ha dato Gianni Vattimo. Ne emerge un quadro interessante sotto più punti di vista. Anzitutto come un pensatore considerato reazionario e conservatore diventi, in breve tempo, icona di molti intellettuali dell’estrema sinistra. E poi perché questo slittamento che porta Nietzsche in un «graduale ma pieno assorbimento nel pantheon culturale della sinistra», avviene in un concatenamento di fatti politici.
Quindi non si tratta soltanto di storia delle idee: qui siamo di fronte alla realtà conflittuale degli anni Sessanta e Settanta, alla violenza, al terrorismo. E l’impatto di tutto ciò sui ceti intellettuali. In quegli anni la società non appare abbastanza rivoluzionaria, e Nietzsche viene assunto, scrive Azzarà, a modello teorico per «l’estrema radicalizzazione della critica alla democrazia capitalista»: più critico, più spietato, più rivoluzionario.
Era colui a partire dal quale si poteva mettere in discussione il falso illuminismo delle società occidentali e, allo stesso tempo, rispondeva agli afflati anticomunisti della sinistra extraparlamentare perché dava voce al dissenso nei confronti del «socialismo sovietico e del suo “volto burocratico e autoritario”». Per questo fu eletto a «nonno della contestazione studentesca». Ad Azzarà riesce perciò non soltanto la ricostruzione, rigorosa, del percorso teorico di Vattimo. Attraverso questo percorso disegnare anche una mappa sociale e politica di quegli anni, con tutte le insidie e gli incidenti che hanno caratterizzato non soltanto il filosofo torinese, ma un’intera generazione d’intellettuali legati alla sinistra.
E pone tutta una serie di interrogativi non sempre risolti: dall’incidenza del terrorismo – c’è una frase di Vattimo nella quale il filosofo proclamava che «la critica delle armi deve realizzare ciò che da sole non possono fare le armi della critica» (che però altri non è che il giovane Marx) – al loro “riflusso” neoliberale in anni più recenti. Ha ragione l’autore quando scrive che Nietzsche ha giocato un ruolo decisivo nella nostra società «che non è possibile rimuovere con una semplice demonizzazione o con un’alzata di spalle». E nemmeno, si può aggiungere, quella stagione può esser liquidata o assolta senza fare i conti con tutti i suoi contesti, teorici e non. Un’alzata di spalle non vi seppellirà.

domenica 12 giugno 2016

Ottantanni fa



L’impero sui colli di Roma

  • –di Emilio Gentile
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Scrive Bernard Droz, storico francese della decolonizzazione: «La valorizzazione ideologica e affettiva degli imperi coloniali raggiunge il suo apice durante gli anni Trenta, congiunta alle forme più diverse, rinnovate dal progresso delle tecniche di propaganda. La Gran Bretagna eccelle nell’organizzare immense e sontuose manifestazioni di unanimismo imperiale, in occasione di un giubileo, di un’incoronazione o della Giornata dell’Impero, il 24 maggio, anniversario della nascita della Regine Vittoria. Le piccole monarchie del Belgio e dell’Olanda sono costrette a una maggiore discrezione, ma la Francia, all’occasione, celebra i fasti repubblicani assegnando uno spazio sempre più ampio alle truppe d’oltremare nelle parate del 14 luglio. In forma autonoma o inserite nelle Esposizioni universali, come quella di Parigi nel 1937, le Esposizioni coloniali, affiancate da un’abbondante documentazione e dalla stampa, riscuotono un immenso successo di pubblico dove la curiosità venata di esotismo compete con l’orgoglio del “genio civilizzatore” proprio di ogni nazione». (Histoire de la décolonisation au XXe siècle, Seuil 2006)
È opportuno aver presente questa situazione storica se si vuol comprendere l’entusiasmo col quale gli italiani accolsero ottanta anni fa la conquista di un impero coloniale, ottenuto con una spietata guerra contro l’Etiopia, uno degli ultimi due Stati africani – l’altro era la Liberia – non ancora assoggettati al dominio imperialista. La premeditata aggressione italiana era stata annunciata dal duce dal balcone di Palazzo Venezia la sera del 2 ottobre, davanti a una folla oceanica radunata nella piazza romana e nelle piazze di tutta l’Italia: «Venti milioni di uomini - tuonò Mussolini – occupano in questo momento le piazze d’Italia […]La loro manifestazione deve dimostrare al mondo che Italia e fascismo costituiscono una identità perfetta, assoluta, inalterabile». L’aggressione iniziò il giorno successivo. Il duce ordinò ai suoi generali di condurre la guerra con largo dispiego di mezzi e di armi, compresi i gas asfissianti, per ottenere una rapida vittoria. E così avvenne: il 5 maggio 1936, le truppe italiane al comando del generale Pietro Badoglio entrarono in Addis Abeba, capitale dell’impero etiopico, mentre l’imperatore Hailé Selassié riuscì a fuggire. Dal balcone di Palazzo Venezia, la sera del 5 maggio, Mussolini annunciò «al popolo italiano e al mondo che la guerra è finita». E dallo stesso balcone, la sera del 9 maggio 1936, il duce salutò «la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma».
Mussolini considerava la conquista dell’impero il suo massimo successo politico e militare. Non solo: essa fu anche il massimo successo propagandistico del fascismo all’interno, perché mai, nei venti anni di incontrastato dominio totalitario, il regime e soprattutto il duce riscossero un consenso altrettanto entusiastico dalla quasi totalità della popolazione. Lo ricordava lo stesso Mussolini, in un libro dedicato al figlio Bruno morto in un incidente aereo nell’agosto 1941: «Mai una guerra fu più sentita di quella. Mai entusiasmo fu più sincero. Mai unità di spiriti più profonda.[…] Tre adunate improvvise di popolo come non si ebbero mai nella storia e poi la notte trionfale del 9 maggio, la più grande vibrazione dell’anima collettiva del popolo italiano». Ma quando il duce scriveva queste parole, l’Italia era da due anni coinvolta nella Seconda guerra mondiale, e l’impero era già nuovamente sparito dai colli fatali, dopo cinque anni esatti: il 5 maggio 1941, le truppe britanniche vittoriose avevano ricondotto ad Addis Abeba l’imperatore Hailé Selassié.
La nostalgica descrizione mussoliniana del sentimento degli italiani di fronte alla conquista dell’impero corrispondeva tuttavia alla realtà, come hanno confermato gli studi sull’opinione pubblica durante il regime. Il più recente, dedicato da Marco Palmieri proprio al periodo della guerra d’Etiopia (L’ora solenne, Baldini & Castoldi 2015), mostra, con una varia documentazione inedita, «quanto fosse ampio e radicato il consenso e l’entusiasmo degli italiani di fronte alla decisione di Mussolini di invadere l’Etiopia»: l’uno e l’altro confermati, dopo varie oscillazioni dubbiose dovute all’andamento della guerra, dalle esplosioni di giubilo all’annunzio della vittoria e della riapparizione dell’impero sui colli fatali. Entusiasta fu anche l’adesione alla guerra coloniale di gran parte delle gerarchie ecclesiastiche, dagli alti prelati ai modesti parroci. E non pochi furono gli antifascisti, anche in esilio, che si ricredettero nella loro avversione per il duce e per spirito patriottico si sentirono uniti a tutti gli altri italiani nell’auspicare la vittoria. Milioni di uomini e donne donarono la fede d’oro alla patria. Su 419 senatori, 414 offrirono la loro medaglietta, fra i quali l’antifascista Benedetto Croce. Persino i comunisti constatarono che la propaganda fascista per l’impero aveva contagiato larghi ceti operai, specialmente giovanili. Ma l’entusiasmo e l’esaltazione popolari, per quanto genuini ed estesi, non furono durevoli e si mutarono presto in delusione, malcontento e soprattutto timori per le nuove avventure militari del duce. «A livello di massa, – ha osservato Renzo de Felice – il coinvolgimento psicologico dei ceti popolari e soprattutto di quelli operai nella guerra d’Etiopia non equivaleva a un pieno consenso politico verso il regime fascista” (Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi 1974).
L’effimera durata del nuovo impero italiano e il naufragio delle ambizioni imperiali del duce con la disfatta subita dall’Italia nella Seconda guerra mondiale, hanno indotto gli storici a considerare la conquista dell’Etiopia un’impresa coloniale anacronistica, compiuta quando ormai l’era dell’imperialismo e del colonialismo volgeva al tramonto. Una simile interpretazione, valida se formulata alla luce di quanto è accaduto dopo la Seconda guerra mondiale, è però inadeguata a comprendere come mai gli italiani fossero stati coinvolti con tanto entusiasmo nella conquista coloniale e nella fondazione di un nuovo impero italiano. In realtà, come abbiamo visto all’inizio, negli anni Trenta nessuna delle potenze coloniali europee, neppure quelle che si opposero all’aggressione italiana all’Etiopia, come l’Inghilterra e la Francia, considerava anacronistico il proprio impero. E combatterono nella Seconda guerra mondiale, e a lungo anche dopo, per conservarlo.

venerdì 10 giugno 2016

Colazione da Proust

Un anno di scuola, finire bene con una colazione da Proust.
Les madeleinettes assicureranno la memoria del tempo passato, tutte le conoscenze tornano alla mente, la lontananza è solo un'idea dello spazio applicata al tempo, che Bergson non condivide.
Suo è i l concetto di durata e ciò che registra la durata reale è la singola coscienza per la quale il tempo è inesteso e non divisibile, qualitativo ed eterogeneo, non misurabile ed irreversibile
Per Bergson l'idea di tempo 'scientifico', omogeneo e reversibile, quantitativo e calcolabile, che si limita a riprodurre l'idea dello spazio geometrico, deve essere rifiutata poiché totalmente inadeguata in quanto ciò che viene misurato non è l'intervallo di tempo in sé, ma solo una porzione di spazio

La vera durata, però, viene messa in secondo piano ed occultata dalle esigenze dell'azione e della comunicazione sociale; inoltre la comune idea di spazio influenza a nostra insaputa anche la vita interiore; "proiettiamo il tempo nello spazio [...] e la successione prende per noi la forma di una linea continua", mentre solo a tratti riconosciamo la caratteristica peculiare della nostra coscienza: il flusso di coscienza.

Solo in questi momenti possiamo capire la verità su di essa e scoprire che la psicologia sperimentale e associativa sia solo un modo per dare un'apparente scientificità alla visione deformata del senso comune.

Per Bergson la psicologia e la filosofia possono divenire rigorose solo accettando il fatto che i fatti di coscienza sono solo qualità pura e non ammettono misurazione, cioè rinunciando all'idea positivistica di ridurre la realtà spirituale all'ordine dello spazio e del numero.

Intanto, si parla molto della nostra cena di martedì: i professori sono stati sopresi dalla bellezza della vostra cordialità, che è irrotta dalla durata del tempo quinquennale delle nostre ore d'Italiano e Storia, dall'esperienza dei nostri viaggi, fino alla serata scorsa.

mercoledì 8 giugno 2016

La lezione infinita


Cari amici,
sta proprio giungendo il termine, e per tutti noi si tratta del compimento di un’esperienza in comune, che poi, per voi, è quella del corso di studi medio-superiori  che vi ha portato alla maturità , prima degli studi universitari o di eventuali altre occupazioni.
Come ben sapete, per me si tratta del termine di quella che è stata  l’occupazione principale, dal 1977 ad oggi; mi rende meno solo il sentirmi accompagnato , con voi e da voi,a questa uscita, anche se poi ovviamente le strade da intraprendere saranno  differenti.
Come Virgilio, ho accompagnato il Dante-5 A LSA, fino alle soglie del Paradiso ; ora il Paradiso non può più attendere, e sono certo che tutti vi entrerete .
Sono contento del fatto di aver compiuto con voi, con la vostra classe in specifico, un percorso unico, su tutti i cinque anni, di aver visto nel settembre 2011 apparire all’allora 1 a dei frugoletti e frugolette, allora da tenere anche a bada nella loro curiosità  di conoscersi, provenendo da paesi e addirittura province diverse,  quando questa curiosità  esorbitava, anche per la presenza di qualche “fenomeno”, di avervi  visto crescere fino a diventare baldi e prestanti giovanotti e deliziose ragazze.
Di avervi visto crescere intellettualmente e spiritualmente, di aver potuto scambiare con voi studi , impressioni, opinioni , che lo studio della storia e della letteratura ci consentivano di  proporre.
Facilitato dal rapporto occupazionale degli ultimi quattro anni, ho potuto manifestarmi con voi con maggiore serenità, raccogliendo le energie che per mia sorte sono state ancora ,direi, buone.
Non ho mai avvertito i l bisogno di prendermi pause in più, se non quando la mia indole di viaggiatore proprio me lo impediva; ma si è trattato sempre di qualche giornata, tanto mi ha sempre fatto piacere la frequentazione quotidiana.
 Proprio oltre gli episodi svariati del quotidiano, restano le impressioni dei nostri due viaggi a Firenze e Liguria ; voi avete colto la mia sensibilità e passione al viaggiare e vivere delle giornate comuni, in questo senso, è stato per me molto piacevole, potrei dire che andare lungo la costa delle Cinqueterre accompagnandoci è stato qualcosa che rifarei ,più volte.
La vostra sensibilità,oltre nel dono per riparare dagli eccessi del sole , si è dimostrata nei versi che avete scelto per augurarmi ,e “rimembrare” ,questa partenza e il  ritorno, avendo compreso la passione che mi trasportava nello spirito di Friedrich Holderlin e in cui, con la vostra giovane e fresca intelligenza, siete subito entrati in sintonia. Avete avvertito, in quei versi recitati  in un mattino di maggio , il senso appassionante della vita, del conoscere, del viaggiare(in senso vario), che accomuna gli uomini e le donne migliori , con la curiosità e l'interesse per il nuovo, la nostalgia per quello che trascorre, la voglia di ritrovare  il tempo veramente  vissuto e cercarne del nuovo.
Ora mi arresto, vi aspetta la mattinata scolastica, e impegni importanti, finali, che certamente saprete affrontare, di sicuro prossimamente vi scriverò altri pensieri,  intanto a domani..

« Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l'uomo […] Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all'immagine del mondo eternamente uno […] e la ferrea fatalità rinuncia al suo potere e la morte scompare dalla società delle creature e l'indissolubilità e l'eterna giovinezza rendono felice e bello il mondo […] un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando riflette […] »
(Hölderlin, Iperione)

giovedì 2 giugno 2016

Colonia Dignidad

"Colonia dignidad" :un film d'azione di medio livello del regista tedesco Florian Gallenberger, merita però una citazione per il caso che richiama. Ci sarebbe voluta la pena di Roberto Bolano, vicino alla macchina da presa, e ne sarebbe forse uscita una grande opera ...
Comunque, un'altra testimonianza a proposito dell'attviità nazista nel SudAmerica ,dopo la fine della seconda guerra mondiale e per quasi  mezzo secolo a venire ! (nell'ambito cinematografico, ricordiamo anche "The German doctor", sull'attività di Mengele in Patagonia)
Negli anni'60,criminali nazisti , con il beneplacito di Alessandri prima e Pinochet in seguito,misero su un vero e proprio staterello indipendente che non solo non riconosceva le leggi dello stato cileno, ma impose la schiavitù agli abitanti ,che vivevano nella zona precordillerana di Parral, sulle rive del fiume Perquilauquéne; loro malgrado, furono inglobati dalla Colonia Dignidad (mascherata sotto la denominazione di Sociedad Benefactora y Educacional Dignidad ), una comune di estrema destra che il  capo, Paul Schäfer,fedelissimo di Hitler, riuscì a farsi passare come una sorta di confraternita religiosa che in realtà riproduceva le modalità dei lager..
Qui si svolge la storia raccontata da Florian Gallenberger, che utilizza attori noti, come Emma Watson e
Dopo gli anni'90, Schafer venne accusato di omicidi e abusi di ogni genere, arrestato e condannato nel 2005,deceduto infine nel 2010.



 Daniel Bruehl.