giovedì 5 maggio 2016

Felicia Impastato, in un film il coraggio della donna che non si è mai arresa


Felicia Impastato, in un film il coraggio della donna che non si è mai arresa

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Felicia Impastato, in un film il coraggio della donna che non si è mai arresa

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La fiction di Gianfranco Albano con Lunetta Savino andrà in onda martedì su RaiUno. Giovanni, il fratello di Peppino, ucciso dalla mafia: "Una storia da raccontare i giovani"

Nella vita di Peppino Impastato s’intrecciano due storie, quella di un ragazzo che sfida il padre e la mafia e quella della madre, che dopo la morte del figlio combatte per avere giustizia. «Lo ha ucciso la mafia» ripete subito, dal 9 maggio 1978. S’intitola “Felicia Impastato” il film di Gianfranco Albano in onda martedì su RaiUno, presentato in anteprima nell’auletta di Montecitorio dal direttore generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto e da Tinny Andreatta (RaiFiction) alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso e della presidente della Camera Laura Boldrini. Un film bellissimo, emozionante,  senza retorica, che attraverso la figura di Felicia, fiera e determinata (interpretata da Lunetta Savino, con rara sensibilità) ripercorre le tappe della vicenda di Peppino, ucciso per mano mafiosa. Nessuno dà credito a Felicia. Solo il magistrato Rocco Chinnici (Antonio Catania) le crede, riprende in mano le carte, cerca i riscontri. Lo capisce anche la mafia che quel servitore dello Stato non è disposto a mollare per arrivare alla verità. Il 29 luglio 1983 Chinnici viene ucciso in un attentato, ma la sua passione civile ha contagiato Francesca Imbergamo, studentessa di Giurisprudenza che diventa magistrata. E' lei a riaprire i faldoni, a riannodare i fili. Sono due donne a chidere giustizia e a ottenerla: il 25 ottobre del 2000 Felicia Impastato entra nell’aula di tribunale per guardare in faccia, in videoconferenza, il boss Gaetano Badalamenti, condannato all’ergastolo.

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«È molto difficile per un’attrice preparare un personaggio come questo» dice Lunetta Savino «ho visto le sue interviste su Internet, l’ho amata subito. Felicia era una donna straordinariamente diversa dalle donne siciliane dei suoi tempi, spero che possa essere d'esempio per le giovani  di oggi. Aveva la quinta elementare, ma era  molto intelligente. Ero affascinata e intimorita, Giovanni Impastato durante le riprese mi ha molto confortato, e si è emozionato quando mi ha visto sul set per la prima volta vestita da Felicia».

Scritto da Diego De Silva con Monica Zapelli (che ha firmato I cento passi), il film – prodotto da Metto Levi con RaiFiction - è stato realizzato con la collaborazione preziosa di Giovanni Impastato, fratello di Peppino. «I cento passi - racconta - è stata la prima esperienza dell’incontro tra realtà e cinema. Ho tantissimi ricordi di mia madre, quello, memorabile, fu quando puntò il dito contro il criminale mafioso Badalamenti. L'infanzia è stato un periodo forte e inteso, forse il più bello per la famiglia. Abbiamo vissuto a contatto con la mafia e con una natura stupenda, due cose lontane che però riuscivano a fondersi. Le nuove generazioni hanno bisogno di queste storie. Quella di Peppino e di Felicia dà messaggi positivi e educativi, questo film è un omaggio alla memoria. Il nostro futuro si può costruire anche in questo modo. È stata una grande emozione conoscere un’attrice brava come Lunetta Savino,  una donna impegnata, speciale». E ironizza sull'attore Carmelo Galati che lo interpreta nel film: «E’ stato bravissimo, certo se avessi dovuto scegliere avrei preferito George Clooney, ma era già impegnato». Oggi com'è Cinisi? «Non tutto è rimasto come prima, qualche piccolo segnale di cambiamento c’è stato. La cultura dominante, però, è quella mafiosa. I cento passi è anche una realtà storica vera e propria, la distanza reale tra casa nostra e quella del boss Badalamenti. Noi abbiamo riempito questo percorso di contenuti, con frasi di Felicia e di Peppino. A Casa Impastato, oggi a disposizione della società civile, si vivono emozioni. È rimasta così, noi l'abbiamo riempita di reperti importanti. Ci sono tutti i ricordi. E con le chiavi abbiamo aperto la casa di Badalamenti. Lì c’è la storia della mafia». Si riuscirà a arrivare alla verità su Regeni? «Bisogna crederci fino in fondo, uscire dalla logica della rassegnazione. Dobbiamo lottare fino in fondo, insistere. Regeni lo ricordermo anche a Cinisi. Mia madre, quando lo Stato le sbatteva le porte in faccia, si aggrappava a quel poco delle istituzioni rimasto che per lei diventava punto di riferimento. E ci è riuscita. Vedo la mamma di Regeni molto agguerrita».

Emozionante la testimonianza di Franca Imbergamo, la magistrata che ha seguito le indagini sulla morte di Impastato: «Ho avuto la fortuna, l’onore e il privilegio di conoscere Chinnici quando ero una studentessa a Giurisprudenza. Catania mi ha commosso nella sua interpretazione, Chinnici è un eroe non molto ricordato. Fu il primo a dire che quello di Impastato non era solo un omicidio di mafia. Qualcuno delle istituzioni scrisse che aveva fatto le indagini su Impastato per accreditarsi con una certa sinistra. E lo disse dopo che Chinnici era saltato in aria. Debbo un ringraziamento al mio vecchio capo Giancarlo Caselli che ha voluto ridare giustizia a Impastato». «Felicia è stata una grande donna, quando le offrirono vendetta lei chiese giustizia. La sua dignità è esemplare, rompe tutti gli stereotipi». E chiude con un sorriso: «Barbara Tabita ha fatto benissimo il mio personaggio, con grande attenzione e cura dei particolari. Ovviamente l’immagine è molto lusinghiera... Non mi confronterò mai con la sua immagine della fiction, ne va della mia psiche».

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