È indubbio che lo sviluppo della scienza moderna ha tratto notevole giovamento dal progressivo affinamento del metodo di interrogare mediante esperimenti la natura. Ma per avere risposte utili bisogna saper porre le domande, come fecero Torricelli e Pascal, che costrinsero la natura a dire sul vuoto tutto quello che sapeva ma non aveva osato confessare.
Pascal, ricordato soprattutto per i Pensieri, fu un geniale matematico e un abile fisico sperimentale. Queste qualità risultarono evidenti soprattutto nelle sue ricerche pionieristiche di idraulica e sul problema del vuoto, una delicata questione che impegnò i più brillanti filosofi naturali europei intorno alla metà del Seicento. Se nel Medioevo intorno al presunto "orrore del vuoto" da parte della natura si era fatto - avrebbe detto Shakespeare - "molto rumore per nulla" (il vuoto veniva considerato equivalente al nihil), una nuova fase di riflessione sul vuoto era stata aperta da Galileo nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638). Sagredo, uno degli interlocutori del dialogo galileiano, vi dichiarava che i fontanieri sapevano benissimo, per esperienza, che l'acqua "non pativa d'essere alzata... un capello più di 18 braccia" (cioè circa 10,5 metri). Da cosa derivava questo limite? Galileo rispose che la causa doveva essere cercata nella resistenza della natura alla produzione del vuoto; egli si sforzò quindi di dimostrare che tale resistenza è pari al peso di una colonna d'acqua di 18 braccia.
Una "corda o verga d'acqua" superiore alle 18 braccia si rompe perché il suo peso supera la resistenza al vuoto.
Grazie a Galileo, il vuoto diventò di gran moda nei circoli scientifici. Un lettore romano dei Discorsi, Gasparo Berti, fu colpito dalla sicurezza con cui Galileo affermava che l'acqua non poteva essere sollevata un capello più di 18 braccia. Gli sembrava troppo poco. Egli fissò alla facciata del proprio palazzo un tubo di piombo lungo circa 22 braccia con l'estremità inferiore, provvista di rubinetto, immersa in una botte piena d'acqua.
Riempì poi il tubo dall'alto, sigillandone l'apertura. Aperto quindi il rubinetto alla base, osservò che l'acqua scendeva, ma solo fino a una certa altezza. Berti misurò l'altezza della colonna d'acqua ed ebbe il grande piacere di scoprire che Galileo si era sbagliato, perché la colonna era al di sopra di 18 braccia! La sua soddisfazione fu però di breve durata perché gli fu fatto notare che non avrebbe dovuto misurare l'altezza della colonna d'acqua dal fondo della botte, ma dalla superficie dell'acqua.
Eseguita nuovamente la misurazione, Berti trovò che Galileo aveva perfettamente ragione.
In seguito Berti aggiunse un'ampolla di vetro alla sommità del tubo e ripeté l'esperimento con l'amico Raffaello Magiotti, alla presenza dei gesuiti Athanasio Kircher e Niccolò Zucchi. Kircher suggerì di inserire una campanella dentro l'ampolla, trattenendone il battaglio con una calamita applicata esternamente. Rimuovendo la calamita, il battaglio sarebbe caduto, consentendo così di accertare se il suono della campanella sarebbe risultato percepibile. L'esperimento fu eseguito e il suono fu udito chiaramente. La conclusione sembrava evidente: dopo la discesa dell'acqua, l'ampolla non era vuota ma conteneva dell'aria o altra sostanza attraverso cui si propagava il suono.
Anche gli esperimenti parlano talvolta in modo ambiguo e con lingua biforcuta. In questo caso si avvertì il suono non perché nell'ampolla fosse restata dell'aria, ma perché le vibrazioni della campanella nel vuoto furono trasmesse al filo metallico che la sosteneva.
Fatto sta che il suono era stato avvertito. Rispettosi dell'evidenza sperimentale, i signori romani conclusero che il vuoto era una ipotesi vuota. Berti smontò la propria complessa apparecchiatura, ringraziò gli amici e ben presto tutti dimenticarono il divertente ma inconcludente gioco coll'acqua. All'inizio del 1644 entra in scena Evangelista Torricelli. Subentrato a Galilei nella carica di Matematico del Granduca di Toscana da un paio d'anni, Torricelli era già riconosciuto come un matematico di altissimo livello. Sfortunatamente morirà nel 1647, pochi giorni dopo il suo trentanovesimo compleanno.
Siamo a conoscenza del famoso esperimento di Torricelli grazie a una lettera che egli scrisse all'amico romano, Michelangelo Ricci, l'11 giugno 1644. Torricelli ebbe l'idea geniale di usare al posto dell'acqua il mercurio, circa 14 volte più pesante dell'acqua. Egli calcolò che, se una colonna d'acqua scende fino all'altezza di c. 10,5 cm, allora una colonna di mercurio si sarebbe dovuta arrestare intorno ai 76 centimetri. Prese un tubo di vetro di circa un metro sigillato a una estremità e lo riempì completamente di mercurio. Mise poi un dito sull'apertura, capovolse il tubo in un grande vaso pieno di mercurio e, quando tolse il dito, la colonna di mercurio si arrestò esattamente all'altezza prevista. Torricelli è un eroe della Rivoluzione Scientifica di cui si parla troppo poco. Ebbe non solo l'idea geniale di usare il mercurio al posto dell'acqua, ma anticipò virtualmente tutte le implicazioni dell'esperimento. La forza che impediva al mercurio di scendere al di sotto dei 76 centimetri era stata cercata da tutti dentro il tubo; Torricelli la cerca fuori. Poiché la terra è circondata da un oceano d'aria, e poiché l'aria pesa, questa pressione agisce sulla superficie del recipiente contenente il mercurio impedendo la completa discesa del metallo nel tubo. La colonna di mercurio di 76 centimetri rappresenta, dunque, il peso che la pressione dell'aria può sostenere. Torricelli intendeva determinare con questo suo esperimento le variazioni del peso (noi diremmo di pressione) dell'aria, mettendo così a punto un nuovo strumento di misura, quello che oggi chiamiamo barometro.
François du Verdus, un giovane francese che era a Roma, vide la lettera di Torricelli a Ricci e ne inviò una copia a Marin Mersenne a Parigi. Però du Verdus trascrisse solo la descrizione dell'apparato sperimentale, omettendo le riflessioni di carattere più teorico. La celeberrima frase, "Noi viviamo sommersi nel fondo d'un pelago d'aria elementare", non arrivò in Francia. Le informazioni trasmesse erano tuttavia sufficienti per consentire di ripetere l'esperimento a Mersenne, il quale però fallì a causa della scarsa qualità dei suoi tubi. I soffiatori di vetro di Parigi non erano in grado di fabbricare tubi abbastanza resistenti da non rompersi quando, riempiti di mercurio, venivano capovolti. Quando, dunque, si dice che Torricelli rese facile l'esperimento sostituendo all'acqua il mercurio dobbiamo prendere questa affermazione cum grano salis. L'esperimento divenne facile per coloro che disponevano di vetro di alta qualità e di bravissimi soffiatori. Questo accadeva a Firenze, ma non a Parigi.
L'"esperimento italiano", come lo chiamavano i francesi, restò oltre le loro possibilità fino a quando entrarono in scena i Pascal, padre e figlio.
I Pascal vennero a conoscenza dell'esperimento a Rouen nel 1646 per il tramite dell'ingegnere Pierre Petit, un amico di Mersenne. La possibilità di realizzare il vuoto attrasse subito la curiosità del padre di Blaise, Etienne Pascal, già convinto da anni su basi teoriche che il vuoto fosse possibile. Va sottolineato che Blaise Pascal fu istruito personalmente dal padre e non frequentò mai le scuole. Non aveva, quindi, mai assimilato le tesi antivacuiste delle quali i contemporanei, compreso Descartes, erano imbevuti. Pascal insomma non dovette sforzarsi di uscire dagli schemi aristotelici. Inoltre, aveva cospicui mezzi economici, che gli permettevano di acquistare vetro di qualità.
I Pascal si procurarono l'apparecchiatura necessaria e ripeterono con successo l'esperimento di Torricelli. Imbaldanziti, decisero di passare dalla small alla big science. Commissionarono dei tubi eccezionalmente lunghi - alcuni superiori a 15 metri - per ripetere l'esperimento che Gasparo Berti aveva effettuato con l'acqua, ma anche col vino (suppongo per aggiungere un tocco francese). Pascal escogitò un modo ingegnoso per maneggiare questi lunghi tubi, che legava ad alberi di navi, ribaltandoli grazie a un sistema di pulegge. Gli esperimenti furono uno strepitoso successo. Più di cinquecento persone andarono ad assistervi nella piazza davanti alla fabbrica di vetro di Rouen. Pascal, che si divertiva da morire, legò due di questi grandi tubi a un albero. Uno fu riempito d'acqua, l'altro di vino. Di nascosto Pascal aveva realizzato l'esperimento con il mercurio quella mattina stessa, e aveva calcolato che l'acqua si sarebbe fermata a 31 1/9 piedi e il vino un po' più in alto a 31 2/3 piedi. La ragione, come Pascal sapeva, è che il vino, contenendo alcol, è più leggero dell'acqua; quindi sale maggiormente sotto la spinta della pressione atmosferica.
Prima di iniziare lo spettacolo, come un buon regista, Pascal chiese ai professori di filosofia naturale presenti se ritenevano che vi fosse una quantità di "spiriti volatili" maggiore nel vino che nell'acqua. Risposero ovviamente in modo affermativo; quindi Pascal li portò a concludere che, facendo l'esperimento con l'acqua e col vino in tubi della stessa lunghezza, sarebbe rimasto uno spazio più grande sopra la colonna di vino perché il vino avrebbe prodotto una quantità superiore di "spiriti volatili". Realizzò allora l'esperimento e fece loro toccare con mano che l'effetto era il contrario di quello che avevano previsto. Applausi scroscianti per Pascal e risate di scherno per i professori! Il giovane francese (aveva appena 23 anni) stava diventando un vero showman! Ma Pascal voleva far capire e non solo destare meraviglia. Concepì e realizzò esperimenti più semplici, che divulgò in un libretto intitolato Expériences nouvelles touchant le vide (1647). Dimostrò una grande cautela nel trarre conclusioni, limitandosi ad affermare che lo spazio apparentemente vuoto era privo di qualunque materia percepibile dai sensi.
Il libretto di Pascal fece scalpore. Uno dei più pronti a reagire fu il Gesuita Etienne Noël, che era stato professore di Descartes al Collegio di La Flèche. A sessantasei anni, il Padre Noël era diventato Rettore del prestigioso collegio gesuita a Parigi, che si trova ancora oggi di fronte alla Sorbona. Pur definendo l'esperimento di Pascal "intelligente e meraviglioso", il Padre Noël non accettò l'idea che lo spazio sovrastante l'acqua fosse vuoto. Gli pareva evidente che dell'"aria purificata" fosse entrata nel tubo, salendo fino alla sua sommità, mentre il tubo veniva rovesciato. Ma da dove veniva quest'aria? Noël elencò diverse possibilità: la sua ipotesi preferita era che l'aria fosse penetrata attraverso i pori del vetro; sostenne tuttavia che avrebbe anche potuto essersi infilata tra l'acqua e le pareti del tubo o, forse, si era separata dall'acqua, che si credeva comunemente contenesse particelle d'aria.
Siamo di fronte allo scontro tra due schemi esplicativi contrapposti. Il fatto che l'acqua o il mercurio scendano solo fino ad una determinata altezza non è messo in questione da nessuna delle due parti. Ma mentre Pascal accetta il vuoto e cerca il modo in cui è stato prodotto, Noël consuma tutte le proprie energie per dimostrare che il vuoto è una nozione contorta. Forse perché si chiamava Père Noël (Babbo Natale), il gesuita amava i giochi di parole, come quello al quale ricorse nel titolo assegnato alla pubblicazione della corrispondenza con Pascal: Le plein du vide.
Ciò che colpisce il lettore moderno è il ruolo cruciale che Noël assegna alla teoria della "grande catena dell'essere". Come Cartesio, ma su basi differenti, Noël è un pienista. Per lui, la grande catena dell'essere non conosce interruzioni: il mondo è pieno e tutto è collegato nel macrocosmo così come nel microcosmo. L'universo diventa comprensibile per analogia con gli organismi viventi. Pascal viceversa sarà sempre scettico nei confronti delle analogie col mondo organico.
Egli affermò risolutamente che il mondo può essere conosciuto soltanto attraverso esperimenti. Ma quale relazione intercorre tra gli effetti esibiti dagli esperimenti e le teorie generali della natura elaborate dai filosofi? Pascal suggerisce una conclusione destabilizzante: non vi sono relazioni necessarie tra fatti e cause, perché ogni effetto può essere prodotto da un'ampia varietà di cause.
L'esperimento torricelliano può essere esaminato alla luce di due domande che corrono parallele, ma in direzioni diverse. La prima è: "Che cosa rimane nello spazio apparentemente vuoto sopra la colonna di mercurio?" La seconda è: "Perché la colonna di mercurio si sostiene?".
Il Padre Noël si concentra esclusivamente sulla prima domanda ed escogita vari modi per riempire lo spazio vuoto: l'aria purificata, gli spiriti volatili, o la materia sottile di Cartesio. In questa prospettiva, sperimentare non ha molto senso. Chi può provare che non c'è proprio niente nello spazio che sembra vuoto? La preoccupazione del gesuita è di ordine metafisico: uno spazio effettivamente vuoto significherebbe la rovina non solo della fisica di Aristotele, ma anche di quella di Descartes.
Con Pascal l'analogia organica viene abbandonata. Il meccanicismo trionfa e avanza sotto il vessillo della scienza sperimentale. La natura è diventata muta: non lancia più grida di terrore contro il vuoto. Ma per Pascal il silenzio della natura non è un bene assoluto. Pesa, anzi, su di lui, quasi come una minaccia. Per il Padre Noël e per coloro che condividevano il suo punto di vista, la natura respingeva risolutamente tutti gli attacchi all'unità della grande catena dell'essere. Per l'autore dei Pensieri, la natura non ha più questo compito: "L'uomo è solo una canna, la più debole in natura ... Non c'è bisogno che tutto l'universo alzi le braccia per schiacciarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo". Se il vuoto esteriore non è più temuto, il vuoto interiore diventa una minaccia insidiosa: "Siamo pieni di cose che ci spingono verso l'esterno". Afferma Pascal: "Una volta nell'uomo c'era una vera felicità, di cui tutto ciò che rimane è l'impronta vuota e la traccia che egli cerca di riempire invano con tutto ciò che lo circonda..., ma questo abisso infinito può essere colmato solo con un ente infinito e immutabile, cioè da Dio stesso". Il linguaggio della pienezza della vecchia fisica aristotelica cambia radicalmente registro, ma resta al servizio dell'armonia, un'armonia che è tanto necessaria quanto paradossale. In realtà, è la natura umana che aborre il vuoto!
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