martedì 29 aprile 2014

Ultime su Saluzzo, meta del v.d ' i.

Georadar in azione nella Chiesa di San Giovanni di Saluzzo

Partita la prima fase di ricerca delle sepolture dei Marchesi di Saluzzo. Per l’apertura della cripta absidale si attende il nullaosta della Soprintendenza

Georadar nella Chiesa di San Giovanni
Da ieri mattina, nella chiesa di San Giovanni, è in azione il  georadar dell’Università di Pisa, che metro per metro, grazie agli ultrasuoni rileverà la morfologia sottostante il pavimento della chiesa. Con la mappatura della sottosuperficie  è partito il progetto di ricerca  delle sepolture dei Marchesi di Saluzzo in San Giovanni che prevede, in caso di ritrovamento, la riesumazione dei loro resti istologici e lo studio presso la Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, diretta dal professor Gino Fornaciari, nota nel campo delle Scienze biomediche e bioarcheologiche per gli studi condotti su mummie e scheletri del Medioevo e del Rinascimento.
Il costo dell’operazione presentato dall’Ateneo pisano sarà coperto dai 5000 euro elargiti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo. Il georadar,  programmato da due geofisici pisani, supervisionati dall'archeologo Antonio Fornaciaripotrebbe  restituire immagini di aree sepolcrali o strutture antropiche, come spiega Raffaele Gaeta, medico saluzzese  specializzando in Anatomia Patologica a Pisa, che ha promosso l’iniziativa.
L’obiettivo è  ricostruire la storia delle tumulazioni della famiglia dei marchesi di Saluzzo, verificare la presenza dei loro sepolcri e vani sotterranei, misurare la struttura che si sviluppa  sotto la cappella di Ludovico II, riconoscerne i resti da quelli di Ludovico II  morto più  di 500 anni fa, a quelli di altri sei marchesi: Federico I, Tommaso I,  Federico II, Tommaso III, Ludovico I e Gabriele, ultimo marchese di Saluzzo.
Nella fase preliminare del progetto è prevista anche la perlustrazione della cripta absidale, ma l’operazione, essendo ancora in attesa di nullaosta da parte della Soprintendenza, sarà  eseguita in un secondo tempo. Per accedervi è necessario sollevare una  botola di marmo cinquecentesco posta davanti al monumento funebre di Ludovico II.
In caso di parere favorevole – spiega Gaeta - la rimozione della lastra lapidea sarà affidata a Paolo Cecchettini, restauratore di materiale lapideo e pitture murali, diplomato all'Opificio delle Pietre Dure a Firenze e quindi con una preparazione  ed un curriculum assolutamente affidabile.” 
I risultati ottenenti con il georadar saranno utilizzati anche come base conoscitiva per il progetto di restauro della Chiesa di San Giovanni. Lo conferma l’architetto  Silvia Beltramo del Politecnico di Torino, referente per il progetto  “ la Chiesa di San Giovanni e la Cappella dei marchesi di Saluzzo: dal cantiere medioevale al progetto di restauro” promosso dalla Diocesi di Saluzzo, finanziato dalla Fondazione Cr Saluzzo per 12mila euro.
Questo  progetto del Politecnico di Torino è  formalmente concluso ed ha evidenziato alcuni  elementi su cui lavorare in modo particolare. Tra questi la cappella marchionale e  le finestre della stessa che presentano seri problemi conservativi e su cui su occorre fare indagini specifiche. Si sta lavorando nella direzione di un accordo con il Politecnico di Milano che ha master di livello post laurea sull’architettura in pietra e che è molto interessato alla cappella funeraria di San Giovanni. Sarebbe una grande occasione di visibilità internazionale per il monumento saluzzese.
Per quando riguarda la fase di indagine preliminare con il georadar  del progetto di ricerca delle tombe, c’è piena collaborazione tra i due Atenei.  Noi abbiamo fornito le indagine storiche  e a nostra volta avremo informazioni di ciò che emerge dai rilievi stratigrafici. Da  un punto di vista architettonico è importante capire cosa c’è nel sottosuolo della chiesa e della cappella marchionale”.

lunedì 7 aprile 2014

Cervantes e Shakespeare

Harold Bloom spiega perché il bardo inglese e lo scrittore spagnolo sono dopo Dante i principali autori occidentali

Amleto e Don Chisciotte in cerca della saggezza

(1547-1616) (1546-1616) Il principe di Shakespeare e il cavaliere di Cervantes, simboli della condizione umana MAESTRI Soltanto Dickens ha saputo raggiungere lo stesso fascino universale

Dal nuovo saggio di Harold Bloom, «La saggezza dei libri» (Rizzoli, pagine 382, euro 17) anticipiamo un brano tratto dal capitolo dedicato al confronto tra Cervantes e Shakespeare Cervantes e Shakespeare condividono il primo posto fra tutti gli scrittori occidentali vissuti dal Rinascimento a oggi. Gli individui più creativi degli ultimi quattro secoli sono shakespeariani o cervantiani o - più spesso - riprendono elementi di entrambi gli autori. In questo libro, mi propongo di considerarli come i maestri di saggezza della nostra letteratura moderna, alla pari dell' Ecclesiaste e del Libro di Giobbe, di Platone e di Omero. La fondamentale differenza tra Cervantes e Shakespeare può essere esemplificata mettendo a confronto Don Chisciotte e Amleto: sia il cavaliere sia il principe sono alla ricerca di qualcosa di indefinito, per quanto possano asserire il contrario. Qual è il vero obiettivo della ricerca di Don Chisciotte? Penso che non ci sia una risposta. Quali sono gli autentici motivi che spingono Amleto? Non ci è dato di saperlo. Poiché la ricerca del magnifico Cavaliere di Cervantes ha uno scopo e una risonanza cosmologica, nessun obiettivo sembrerebbe al di là della sua portata. La frustrazione di Amleto è data dal fatto che gli sono concessi soltanto Elsinore e la tragedia della vendetta. Shakespeare compose un poema illimitato, in cui solo il protagonista trascende ogni limite. Cervantes e Shakespeare - che morirono quasi nello stesso istante - sono i principali autori occidentali, almeno da dopo Dante, e nessuno scrittore moderno o contemporaneo è mai riuscito a eguagliarli, né Tolstoj né Goethe, Dickens, Proust, Joyce. Non basta certo il contesto in cui vissero a spiegare la loro grandezza: l' Età dell' oro spagnola e l' Età elisabettiano-giacobina inglese hanno un' importanza secondaria quando ci sforziamo di apprezzare appieno ciò che questi due autori ci danno. W. H. Auden vedeva in Don Chisciotte un ritratto del Santo cristiano, l' esatto opposto di Amleto, che «non ha fede né in Dio né in se stesso». Per quanto le sue parole suonino perversamente ironiche, Auden era serio e penso che abbia preso una cantonata. Contro la sua tesi posso riprendere Miguel de Unamuno, il mio critico preferito del Don Chisciotte. Per Unamuno, il Santo cristiano è Alonso Chisciano, mentre Don Chisciotte è l' iniziatore dell' autentica religione spagnola, il chisciottismo. Herman Melville fonde le figure di Amleto e Don Chisciotte in quella del capitano Achab (con l' aggiunta di un pizzico del Satana di Milton, per rendere il tutto più saporito). Achab vuole vendicarsi della Balena bianca, mentre Satana, dal canto suo, distruggerebbe Dio, se soltanto potesse farlo. Stando a quanto dice G. Wilson Knight, Amleto è per noi un ambasciatore di morte. Don Chisciotte afferma che il fine della sua ricerca è quello di eliminare l' ingiustizia. E l' ingiustizia più radicale, il vincolo che tiene prigioniero l' uomo, è proprio la morte. Liberare i prigionieri è quindi il modo in cui, di fatto, Don Chisciotte combatte contro la morte. Non è possibile individuare con precisione la presenza di Shakespeare all' interno della sua opera, nemmeno nei Sonetti. È proprio questa quasi invisibilità a stimolare le ricerche di quegli zeloti che credono che le opere di Shakespeare siano state scritte da chiunque altro, tranne che dallo stesso Shakespeare. Per quel che mi risulta, nel mondo ispanico non ci sono congreghe che si sforzano di dimostrare che il Don Chisciotte sia stato scritto da Lope de Vega o da Calderón de la Barca. La presenza di Cervantes nel suo grande libro è talmente marcata che non possiamo fare a meno di riconoscere come, nell' opera, ci siano tre personalità irriducibili l' una all' altra: il Cavaliere, Sancho e lo stesso Cervantes. Con tutto ciò, quant' è astuta e sottile la presenza di Cervantes! Anche nelle sue pagine più spassose, il Don Chisciotte rimane estremamente sobrio. È ancora Shakespeare a fornirci un' illuminante analogia: anche quando è più melanconico, Amleto non abbandona mai i suoi giochi di parole o il suo umorismo inglese e lo sconfinato umorismo di Falstaff è tormentato dagli indizi che lasciano presagire il rifiuto che lo attende. Proprio come Shakespeare non si lascia vincolare dai precisi limiti dei generi drammaturgici, così il Don Chisciotte è tanto una tragedia quanto una commedia. Per quanto segni per sempre la nascita del romanzo moderno dal poema in prosa medievale e per quanto rimanga tuttora il migliore fra tutti i romanzi mai scritti, ogni volta che lo rileggo lo trovo più triste; ed è proprio questo suo carattere a trasformarlo nella «Bibbia spagnola», per riprendere l' espressione con cui Unamuno definì quest' opera, la più grande fra tutte le opere di narrativa. Tra gli scrittori di romanzi ci sono George Eliot ed Henry James, Balzac e Flaubert o il Tolstoj di Anna Karenina. Il Don Chisciotte potrà anche non essere un testo sacro, ma ci contiene a tal punto che - come con Shakespeare - non ci è possibile, per così dire, uscirne in modo da guardarlo dall' alto, in prospettiva. Noi siamo all' interno di questo grande libro, con il privilegio di poter ascoltare gli splendidi dialoghi tra Don Chisciotte e il suo scudiero, Sancho Panza. A volte facciamo tutt' uno con Cervantes ma, più spesso, siamo gli invisibili vagabondi che accompagnano la sublime coppia tra avventure e sconfitte. Se, nell' Occidente postrinascimentale, dobbiamo scegliere un terzo autore dal fascino universale, la nostra scelta non può ricadere che su Dickens. Tuttavia Dickens non vuole trasmettere ai suoi lettori una «conoscenza ultima dell' uomo», quel genere di saggezza che Melville trovava in Shakespeare e, forse, anche in Cervantes. La prima rappresentazione teatrale del Re Lear ebbe luogo in concomitanza con la pubblicazione della prima parte del Don Chisciotte. Per quanto ne dica Auden, anche Cervantes - come Shakespeare - ci presenta una forma laica di trascendenza. Don Chisciotte si considera come un cavaliere di Dio, ma ciò non gli impedisce di continuare a inseguire i capricci della sua volontà - una volontà, tra l' altro, gloriosamente eccentrica. Re Lear chiede aiuto ai numi celesti, ma solo perché li vede come vede se stesso, dei vecchi. Malconcio per gli scontri con realtà che sono ancora più violente di lui, Don Chisciotte si trattiene comunque dal sottomettersi all' autorità della chiesa e dello Stato. Quando infine cessa di rivendicare la propria autonomia, non gli rimane che tornare a essere Alonso Chisciano il Buono,e l' unica azione che gli resta da compiere è quella di morire. Il maestro americano Harold Bloom è nato a New York nel 1930. E' considerato il più autorevole critico letterario americano. Insegna all' Università di Yale ed è autore di oltre venticinque libri, tradotti in tutto il mondo. In Italia sono usciti, tra gli altri, «Il canone occidentale» (Bompiani), «Come si legge un libro (e perché)», «Shakespeare. L' invenzione dell' uomo». «Il genio» (tutti editi da Rizzoli). Il nuovo volume, «La saggezza dei libri», nasce da decenni di studi e riflessioni confluiti nella convinzione che la letteratura abbia uno scopo decisivo: aiutarci a raggiungere la saggezza. Dalla Bibbia a Omero, da Cervantes a Shakespeare, da Montaigne a Freud, Bloom guida il lettore attraverso una serie di esempi letterari in grado di dare un senso alla nostra vita.
Bloom Harold
Pagina 37
(6 ottobre 2004) - Corriere della Sera

domenica 6 aprile 2014

WILLIAM SHEA SCIENZA A VUOTO SPINTO Galileo, Torricelli, Pascal: il trionfo del metodo sperimentale e il tramonto dell'Horror Vacui

È indubbio che lo sviluppo della scienza moderna ha tratto notevole giovamento dal progressivo affinamento del metodo di interrogare mediante esperimenti la natura. Ma per avere risposte utili bisogna saper porre le domande, come fecero Torricelli e Pascal, che costrinsero la natura a dire sul vuoto tutto quello che sapeva ma non aveva osato confessare.
Pascal, ricordato soprattutto per i Pensieri, fu un geniale matematico e un abile fisico sperimentale. Queste qualità risultarono evidenti soprattutto nelle sue ricerche pionieristiche di idraulica e sul problema del vuoto, una delicata questione che impegnò i più brillanti filosofi naturali europei intorno alla metà del Seicento. Se nel Medioevo intorno al presunto "orrore del vuoto" da parte della natura si era fatto - avrebbe detto Shakespeare - "molto rumore per nulla" (il vuoto veniva considerato equivalente al nihil), una nuova fase di riflessione sul vuoto era stata aperta da Galileo nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638). Sagredo, uno degli interlocutori del dialogo galileiano, vi dichiarava che i fontanieri sapevano benissimo, per esperienza, che l'acqua "non pativa d'essere alzata... un capello più di 18 braccia" (cioè circa 10,5 metri). Da cosa derivava questo limite? Galileo rispose che la causa doveva essere cercata nella resistenza della natura alla produzione del vuoto; egli si sforzò quindi di dimostrare che tale resistenza è pari al peso di una colonna d'acqua di 18 braccia.
Una "corda o verga d'acqua" superiore alle 18 braccia si rompe perché il suo peso supera la resistenza al vuoto.
Grazie a Galileo, il vuoto diventò di gran moda nei circoli scientifici. Un lettore romano dei Discorsi, Gasparo Berti, fu colpito dalla sicurezza con cui Galileo affermava che l'acqua non poteva essere sollevata un capello più di 18 braccia. Gli sembrava troppo poco. Egli fissò alla facciata del proprio palazzo un tubo di piombo lungo circa 22 braccia con l'estremità inferiore, provvista di rubinetto, immersa in una botte piena d'acqua.
Riempì poi il tubo dall'alto, sigillandone l'apertura. Aperto quindi il rubinetto alla base, osservò che l'acqua scendeva, ma solo fino a una certa altezza. Berti misurò l'altezza della colonna d'acqua ed ebbe il grande piacere di scoprire che Galileo si era sbagliato, perché la colonna era al di sopra di 18 braccia! La sua soddisfazione fu però di breve durata perché gli fu fatto notare che non avrebbe dovuto misurare l'altezza della colonna d'acqua dal fondo della botte, ma dalla superficie dell'acqua.
Eseguita nuovamente la misurazione, Berti trovò che Galileo aveva perfettamente ragione.
In seguito Berti aggiunse un'ampolla di vetro alla sommità del tubo e ripeté l'esperimento con l'amico Raffaello Magiotti, alla presenza dei gesuiti Athanasio Kircher e Niccolò Zucchi. Kircher suggerì di inserire una campanella dentro l'ampolla, trattenendone il battaglio con una calamita applicata esternamente. Rimuovendo la calamita, il battaglio sarebbe caduto, consentendo così di accertare se il suono della campanella sarebbe risultato percepibile. L'esperimento fu eseguito e il suono fu udito chiaramente. La conclusione sembrava evidente: dopo la discesa dell'acqua, l'ampolla non era vuota ma conteneva dell'aria o altra sostanza attraverso cui si propagava il suono.
Anche gli esperimenti parlano talvolta in modo ambiguo e con lingua biforcuta. In questo caso si avvertì il suono non perché nell'ampolla fosse restata dell'aria, ma perché le vibrazioni della campanella nel vuoto furono trasmesse al filo metallico che la sosteneva.
Fatto sta che il suono era stato avvertito. Rispettosi dell'evidenza sperimentale, i signori romani conclusero che il vuoto era una ipotesi vuota. Berti smontò la propria complessa apparecchiatura, ringraziò gli amici e ben presto tutti dimenticarono il divertente ma inconcludente gioco coll'acqua. All'inizio del 1644 entra in scena Evangelista Torricelli. Subentrato a Galilei nella carica di Matematico del Granduca di Toscana da un paio d'anni, Torricelli era già riconosciuto come un matematico di altissimo livello. Sfortunatamente morirà nel 1647, pochi giorni dopo il suo trentanovesimo compleanno.
Siamo a conoscenza del famoso esperimento di Torricelli grazie a una lettera che egli scrisse all'amico romano, Michelangelo Ricci, l'11 giugno 1644. Torricelli ebbe l'idea geniale di usare al posto dell'acqua il mercurio, circa 14 volte più pesante dell'acqua. Egli calcolò che, se una colonna d'acqua scende fino all'altezza di c. 10,5 cm, allora una colonna di mercurio si sarebbe dovuta arrestare intorno ai 76 centimetri. Prese un tubo di vetro di circa un metro sigillato a una estremità e lo riempì completamente di mercurio. Mise poi un dito sull'apertura, capovolse il tubo in un grande vaso pieno di mercurio e, quando tolse il dito, la colonna di mercurio si arrestò esattamente all'altezza prevista. Torricelli è un eroe della Rivoluzione Scientifica di cui si parla troppo poco. Ebbe non solo l'idea geniale di usare il mercurio al posto dell'acqua, ma anticipò virtualmente tutte le implicazioni dell'esperimento. La forza che impediva al mercurio di scendere al di sotto dei 76 centimetri era stata cercata da tutti dentro il tubo; Torricelli la cerca fuori. Poiché la terra è circondata da un oceano d'aria, e poiché l'aria pesa, questa pressione agisce sulla superficie del recipiente contenente il mercurio impedendo la completa discesa del metallo nel tubo. La colonna di mercurio di 76 centimetri rappresenta, dunque, il peso che la pressione dell'aria può sostenere. Torricelli intendeva determinare con questo suo esperimento le variazioni del peso (noi diremmo di pressione) dell'aria, mettendo così a punto un nuovo strumento di misura, quello che oggi chiamiamo barometro.
François du Verdus, un giovane francese che era a Roma, vide la lettera di Torricelli a Ricci e ne inviò una copia a Marin Mersenne a Parigi. Però du Verdus trascrisse solo la descrizione dell'apparato sperimentale, omettendo le riflessioni di carattere più teorico. La celeberrima frase, "Noi viviamo sommersi nel fondo d'un pelago d'aria elementare", non arrivò in Francia. Le informazioni trasmesse erano tuttavia sufficienti per consentire di ripetere l'esperimento a Mersenne, il quale però fallì a causa della scarsa qualità dei suoi tubi. I soffiatori di vetro di Parigi non erano in grado di fabbricare tubi abbastanza resistenti da non rompersi quando, riempiti di mercurio, venivano capovolti. Quando, dunque, si dice che Torricelli rese facile l'esperimento sostituendo all'acqua il mercurio dobbiamo prendere questa affermazione cum grano salis. L'esperimento divenne facile per coloro che disponevano di vetro di alta qualità e di bravissimi soffiatori. Questo accadeva a Firenze, ma non a Parigi.
L'"esperimento italiano", come lo chiamavano i francesi, restò oltre le loro possibilità fino a quando entrarono in scena i Pascal, padre e figlio.
I Pascal vennero a conoscenza dell'esperimento a Rouen nel 1646 per il tramite dell'ingegnere Pierre Petit, un amico di Mersenne. La possibilità di realizzare il vuoto attrasse subito la curiosità del padre di Blaise, Etienne Pascal, già convinto da anni su basi teoriche che il vuoto fosse possibile. Va sottolineato che Blaise Pascal fu istruito personalmente dal padre e non frequentò mai le scuole. Non aveva, quindi, mai assimilato le tesi antivacuiste delle quali i contemporanei, compreso Descartes, erano imbevuti. Pascal insomma non dovette sforzarsi di uscire dagli schemi aristotelici. Inoltre, aveva cospicui mezzi economici, che gli permettevano di acquistare vetro di qualità.
I Pascal si procurarono l'apparecchiatura necessaria e ripeterono con successo l'esperimento di Torricelli. Imbaldanziti, decisero di passare dalla small alla big science. Commissionarono dei tubi eccezionalmente lunghi - alcuni superiori a 15 metri - per ripetere l'esperimento che Gasparo Berti aveva effettuato con l'acqua, ma anche col vino (suppongo per aggiungere un tocco francese). Pascal escogitò un modo ingegnoso per maneggiare questi lunghi tubi, che legava ad alberi di navi, ribaltandoli grazie a un sistema di pulegge. Gli esperimenti furono uno strepitoso successo. Più di cinquecento persone andarono ad assistervi nella piazza davanti alla fabbrica di vetro di Rouen. Pascal, che si divertiva da morire, legò due di questi grandi tubi a un albero. Uno fu riempito d'acqua, l'altro di vino. Di nascosto Pascal aveva realizzato l'esperimento con il mercurio quella mattina stessa, e aveva calcolato che l'acqua si sarebbe fermata a 31 1/9 piedi e il vino un po' più in alto a 31 2/3 piedi. La ragione, come Pascal sapeva, è che il vino, contenendo alcol, è più leggero dell'acqua; quindi sale maggiormente sotto la spinta della pressione atmosferica.
Prima di iniziare lo spettacolo, come un buon regista, Pascal chiese ai professori di filosofia naturale presenti se ritenevano che vi fosse una quantità di "spiriti volatili" maggiore nel vino che nell'acqua. Risposero ovviamente in modo affermativo; quindi Pascal li portò a concludere che, facendo l'esperimento con l'acqua e col vino in tubi della stessa lunghezza, sarebbe rimasto uno spazio più grande sopra la colonna di vino perché il vino avrebbe prodotto una quantità superiore di "spiriti volatili". Realizzò allora l'esperimento e fece loro toccare con mano che l'effetto era il contrario di quello che avevano previsto. Applausi scroscianti per Pascal e risate di scherno per i professori! Il giovane francese (aveva appena 23 anni) stava diventando un vero showman! Ma Pascal voleva far capire e non solo destare meraviglia. Concepì e realizzò esperimenti più semplici, che divulgò in un libretto intitolato Expériences nouvelles touchant le vide (1647). Dimostrò una grande cautela nel trarre conclusioni, limitandosi ad affermare che lo spazio apparentemente vuoto era privo di qualunque materia percepibile dai sensi.
Il libretto di Pascal fece scalpore. Uno dei più pronti a reagire fu il Gesuita Etienne Noël, che era stato professore di Descartes al Collegio di La Flèche. A sessantasei anni, il Padre Noël era diventato Rettore del prestigioso collegio gesuita a Parigi, che si trova ancora oggi di fronte alla Sorbona. Pur definendo l'esperimento di Pascal "intelligente e meraviglioso", il Padre Noël non accettò l'idea che lo spazio sovrastante l'acqua fosse vuoto. Gli pareva evidente che dell'"aria purificata" fosse entrata nel tubo, salendo fino alla sua sommità, mentre il tubo veniva rovesciato. Ma da dove veniva quest'aria? Noël elencò diverse possibilità: la sua ipotesi preferita era che l'aria fosse penetrata attraverso i pori del vetro; sostenne tuttavia che avrebbe anche potuto essersi infilata tra l'acqua e le pareti del tubo o, forse, si era separata dall'acqua, che si credeva comunemente contenesse particelle d'aria.
Siamo di fronte allo scontro tra due schemi esplicativi contrapposti. Il fatto che l'acqua o il mercurio scendano solo fino ad una determinata altezza non è messo in questione da nessuna delle due parti. Ma mentre Pascal accetta il vuoto e cerca il modo in cui è stato prodotto, Noël consuma tutte le proprie energie per dimostrare che il vuoto è una nozione contorta. Forse perché si chiamava Père Noël (Babbo Natale), il gesuita amava i giochi di parole, come quello al quale ricorse nel titolo assegnato alla pubblicazione della corrispondenza con Pascal: Le plein du vide.
Ciò che colpisce il lettore moderno è il ruolo cruciale che Noël assegna alla teoria della "grande catena dell'essere". Come Cartesio, ma su basi differenti, Noël è un pienista. Per lui, la grande catena dell'essere non conosce interruzioni: il mondo è pieno e tutto è collegato nel macrocosmo così come nel microcosmo. L'universo diventa comprensibile per analogia con gli organismi viventi. Pascal viceversa sarà sempre scettico nei confronti delle analogie col mondo organico.
Egli affermò risolutamente che il mondo può essere conosciuto soltanto attraverso esperimenti. Ma quale relazione intercorre tra gli effetti esibiti dagli esperimenti e le teorie generali della natura elaborate dai filosofi? Pascal suggerisce una conclusione destabilizzante: non vi sono relazioni necessarie tra fatti e cause, perché ogni effetto può essere prodotto da un'ampia varietà di cause.
L'esperimento torricelliano può essere esaminato alla luce di due domande che corrono parallele, ma in direzioni diverse. La prima è: "Che cosa rimane nello spazio apparentemente vuoto sopra la colonna di mercurio?" La seconda è: "Perché la colonna di mercurio si sostiene?".
Il Padre Noël si concentra esclusivamente sulla prima domanda ed escogita vari modi per riempire lo spazio vuoto: l'aria purificata, gli spiriti volatili, o la materia sottile di Cartesio. In questa prospettiva, sperimentare non ha molto senso. Chi può provare che non c'è proprio niente nello spazio che sembra vuoto? La preoccupazione del gesuita è di ordine metafisico: uno spazio effettivamente vuoto significherebbe la rovina non solo della fisica di Aristotele, ma anche di quella di Descartes.
Con Pascal l'analogia organica viene abbandonata. Il meccanicismo trionfa e avanza sotto il vessillo della scienza sperimentale. La natura è diventata muta: non lancia più grida di terrore contro il vuoto. Ma per Pascal il silenzio della natura non è un bene assoluto. Pesa, anzi, su di lui, quasi come una minaccia. Per il Padre Noël e per coloro che condividevano il suo punto di vista, la natura respingeva risolutamente tutti gli attacchi all'unità della grande catena dell'essere. Per l'autore dei Pensieri, la natura non ha più questo compito: "L'uomo è solo una canna, la più debole in natura ... Non c'è bisogno che tutto l'universo alzi le braccia per schiacciarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo". Se il vuoto esteriore non è più temuto, il vuoto interiore diventa una minaccia insidiosa: "Siamo pieni di cose che ci spingono verso l'esterno". Afferma Pascal: "Una volta nell'uomo c'era una vera felicità, di cui tutto ciò che rimane è l'impronta vuota e la traccia che egli cerca di riempire invano con tutto ciò che lo circonda..., ma questo abisso infinito può essere colmato solo con un ente infinito e immutabile, cioè da Dio stesso". Il linguaggio della pienezza della vecchia fisica aristotelica cambia radicalmente registro, ma resta al servizio dell'armonia, un'armonia che è tanto necessaria quanto paradossale. In realtà, è la natura umana che aborre il vuoto!

martedì 1 aprile 2014

Guerra dei Trent'anni

appunti rapidi

GUERRA DEI TRENTANNI
Antefatti:Piccola glaciazione-ripresa fermenti di lotte di religione e di Unione protestante contro Lega cattolica -contese fra potere Imperiale e ceti

FASE BOEMO-GERMANICA(PALATINA)-DANESE
1618 Defenestrazione di Praga;  
diventa  re Federico V Palatinato(genero  di Giacomo I d’Ingh-nipote di Maurizio d’Orange Paesi  Bassi.parente Gustavo II di Svezia) contro Ferdinando II Asburgo + Baviera(Massimiliano), Spagna
1620   vittoria cattolica alla Montagna Bianca- decadenza di Federico V  -    Contadini contro ceti
1621   Spagna in  conflitto con Paesi Bassi  -Perdita dei protestanti in Palatinato
1625 intervento Cristiano IV di Danimarca –Svezia (protestantesimo) contro Polonia (cattolicesimo)
         Imperiali cattolici :comandanti  Wallenstein, Tilly  -sconfitta danese
1629 Ferdinando II  con Wallenstein interviene in Italia-Valtellina-Mantova, Monferrato

Fase ASBURGO-SVEZIA-FRANCIA
1630 Intervento  di Gustavo Adolfo II Svezia  (finanziata da Francia)in Pomerania, Meclemburgo e Magdeburgo
           Nuovo assetto militare fanteria, mo schetteria e cavalleria –Vittoria di Breintenfeld-Monaco
1632 ritorno di Wallenstein dalla Valtellina  –Morte di Gustavo Adolfo II
1634  Wallenstein sospettato di tradimento è fatto arrestare e messo a morte da Ferdinando II
     Intervento di Spagna (Filippo IV)e disfatta svedese

1635 Pace di Praga, I principi e i conti protestanti (di Palatinato, Assia-Kassel, Nassau, Württemberg, Baden-Durlach) venivano esclusi dall'amnistia, mentre per i cavalieri e le città imperiali vi furono vantaggi-La figura dell'imperatore apparve rafforzata .
Pace presto fallita:         Inizio guerra Francia-Spagna-Francia :Richelieu e Luigi XIII  con P.B. Svezia Savoia Mantova:obiettivo Milano
1637 Imperatore Ferdinando III  -
1640   Prime vittorie francesi   (causa rivolte in Catalogna e Portogallo)dopo i primi anni  favorevoli agli spagnoli - II campagna svedese-
1642-43 Morte di Richelieu e Luigi XIII
1643 Disfatta spagnola a Rocroi  , colpiti anche nei P.B.
Impero alle corde in Ungheria(Rakoczi di Transilvania finanziato dai Turchi ), svedesi in Boemia
L’assalto dei Turchi a Creta fa venir meno aiuti a Rakoczi

1648 Pace di Vestfalia: > > nuovo ordine internazionale, un sistema in cui gli Stati si riconoscono tra loro proprio e solo in quanto Stati, al di là della fede dei vari sovrani. Assume dunque importanza il concetto di sovranità dello stato    -calvinismo III confessione( Federico Guglielmo di Brandeburgo Amalia Elisabetta d’Assia)
1659 pace dei Pirenei -La Spagna dovette cedere alla Francia parte dell'Artois, delle Fiandre, della provincia dell'Hainaut e del Lussemburgo, oltre ad accettare la definitiva acquisizione da parte francese della Catalogna del Nord che includeva la città di Perpignano, e l'intera regione del Rossiglione (la prima già occupata dai francesi nel 1640 e la seconda nel 1652). La catena montuosa dei Pirenei divenne così la nuova frontiera che separava la Spagna dalla Francia.