Italo Calvino LEGGEREZZA (Lezioni americane) - 3^ Parte CAVALCANTI E DANTE
Riflessi d'acqua è una pagina che è stata creata da noi facendo nostra la definizione della Leggerezza che dà Calvino: Leggerezza pensosa e volitiva, leggerezza non di piuma in balìa passiva di ogni vento, ma di rondine che libera volteggia negli spazi aperti sapendo dove andare...
La lezione di Calvino ci piace quindi donarla a tutti ... in lei sono le ragioni della nostra scelta e del nostro essere
Italo Calvino LEGGEREZZA (Italo Calvino, Lezioni americane)
(...)
Da quanto ho detto fin qui mi pare che il concetto di leggerezza cominci a precisarsi; spero innanzitutto d'aver dimostrato che esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca. Non potrei illustrare meglio questa idea che con una novella del Decameron (Vi, 9) dove appare il poeta fiorentino Guido Cavalcanti. Boccaccio ci presenta Cavalcanti come un austero filosofo che passeggia meditando tra i sepolcri di marmo davanti a una chiesa.
La jeunesse dorée fiorentina cavalcava per la città in brigate che passavano da una festa all'altra, sempre cercando occasioni d'ampliare il loro giro di scambievoli inviti.
Cavalcanti non era popolare tra loro, perché, benché fosse ricco ed elegante, non accettava mai di far baldoria con loro e perché la sua misteriosa filosofia era sospettata d'empietà:
Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d'Orto San Michele e venutosene per lo Corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata, e molte altre dintorno a San Giovanni, e egli essendo tralle colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto con sua brigata a caval venendo su per la piazza di Santa Reparata, vedendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: "Andiamo a dargli briga"; e spronati i cavalli, a guisa d'uno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra e cominciarongli a dire: "Guido, tu rifiuti d'esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Idio non sia, che avrai fatto?". A' quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: "Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace"; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gittato dall'altra parte, e sviluppatosi da loro se n'andò.
Ciò che qui ci interessa non è tanto la battuta attribuita a Cavalcanti, (che si può interpretare considerando che il preteso "epicureismo" del poeta era in realtà averroismo, per cui l'anima individuale fa parte dell'intelletto universale: le tombe sono casa vostra e non mia in quanto la morte corporea è vinta da chi s'innalza alla contemplazione universale attraverso la speculazione dell'intelletto).
Ciò che ci colpisce è l'immagine visuale che Boccaccio evoca: Cavalcanti che si libera d'un salto "sì come colui che leggerissimo era". Se volessi scegliere un simbolo augurale per l'affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l'agile salto improvviso del poeta- filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d'automobili arrugginite.
Vorrei che conservaste quest'immagine nella mente, ora che vi parlerò di Cavalcanti poeta della leggerezza.
Nelle sue poesie le "dramatis personae" più che personaggi umani sono sospiri, raggi luminosi, immagini ottiche, e soprattutto quegli impulsi o messaggi immateriali che egli chiama "spiriti".
Un tema niente affatto leggero come la sofferenza d'amore, viene dissolto da Cavalcanti in entità impalpabili che si spostano tra anima sensitiva e anima intellettiva, tra cuore e mente, tra occhi e voce.
Insomma, si tratta sempre di qualcosa che è contraddistinto da tre caratteristiche:
1) è leggerissimo;
2) è in movimento;
3) è un vettore d'informazione.
In alcune poesie questo messaggio-messaggero è lo stesso testo poetico: nella più famosa di tutte, il poeta esiliato si rivolge alla ballata che sta scrivendo e dice: "Va tu, leggera e piana dritt'a la donna mia". In un'altra sono gli strumenti della scrittura - penne e arnesi per far la punta alle penne - che prendono la parola: "Noi siàn le triste penne isbigottite, le cesoiuzze e'l coltellin dolente...".
In un sonetto la parola "spirito" o "spiritello" compare in ogni verso: in un'evidente autoparodia, Cavalcanti porta alle ultime conseguenze la sua predilezione per quella parola-chiave, concentrando nei 14 versi un complicato racconto astratto in cui intervengono 14 "spiriti" ognuno con una diversa funzione. In un altro sonetto, il corpo viene smembrato dalla sofferenza amorosa, ma continua a camminare come un automa "fatto di rame o di pietra o di legno".
Già in un sonetto di Guinizelli la pena amorosa trasformava il poeta in una statua d'ottone: un'immagine molto concreta, che ha la forza proprio nel senso di peso che comunica.
In Cavalcanti, il peso della materia si dissolve per il fatto che i materiali del simulacro umano possono essere tanti, intercambiabili; la metafora non impone un oggetto solido, e neanche la parola "pietra" arriva ad appesantire il verso. Ritroviamo quella parità di tutto ciò che esiste di cui ho parlato a proposito di Lucrezio e di Ovidio. Un maestro della critica stilistica italiana, Gianfranco Contini, la definisce "parificazione cavalcantiana dei reali". L'esempio più felice di "parificazione dei reali", Cavalcanti lo dà in un sonetto che s'apre con una enumerazione d'immagini di bellezza, tutte destinate a essere superate dalla bellezza della donna amata: Biltà di donna e di saccente core e cavalieri armati che sien genti; cantar d'augelli e ragionar d'amore; adorni legni 'n mar forte correnti; aria serena quand'apar l'albore e bianca neve scender senza venti; rivera d'acqua e prato d'ogni fiore; oro, argento, azzurro 'n ornamenti: Il verso "e bianca neve scender senza venti" è stato ripreso con poche varianti da Dante nell'Inferno (Xiv, 30): "come di neve in alpe sanza vento".
I due versi sono quasi identici, eppure esprimono due concezioni completamente diverse. In entrambi la neve senza vento evoca un movimento lieve e silenzioso. Ma qui si ferma la somiglianza e comincia la diversità. In Dante il verso è dominato dalla specificazione del luogo ("in alpe"), che evoca uno scenario montagnoso. Invece in Cavalcanti l'aggettivo "bianca", che potrebbe sembrare pleonastico, unito al verbo "scendere", anch'esso del tutto prevedibile, cancellano il paesaggio in un'atmosfera di sospesa astrazione.
Ma è soprattutto la prima parola a determinare il diverso significato dei due versi. In Cavalcanti la congiunzione "e" mette la neve sullo stesso piano delle altre visioni che la precedono e la seguono: una fuga di immagini, che è come un campionario delle bellezze del mondo. In Dante l'avverbio "come" rinchiude tutta la scena nella cornice d'una metafora, ma all'interno di questa cornice essa ha una sua realtà concreta, così come una realtà non meno concreta e drammatica ha il paesaggio dell'Inferno sotto una pioggia di fuoco, per illustrare il quale viene introdotta la similitudine con la neve.
In Cavalcanti tutto si muove così rapidamente che non possiamo renderci conto della sua consistenza ma solo dei suoi effetti; in Dante, tutto acquista consistenza e stabilità: il peso delle cose è stabilito con esattezza. Anche quando parla di cose lievi, Dante sembra voler rendere il peso esatto di questa leggerezza: "come di neve in alpe sanza vento". Così come in un altro verso molto simile, la pesantezza d'un corpo che affonda nell'acqua e scompare è come trattenuta e attutita: "come per acqua cupa cosa grave" (Paradiso Iii, 123).
A questo punto dobbiamo ricordarci che l'idea del mondo come costituito d'atomi senza peso ci colpisce perché abbiamo esperienza del peso delle cose; così come non potremmo ammirare la leggerezza del linguaggio se non sapessimo ammirare anche il linguaggio dotato di peso.
Possiamo dire che due vocazioni opposte si contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l'una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube, o meglio un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo d'impulsi magnetici; l'altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose, dei corpi, delle sensazioni.
Alle origini della letteratura italiana - e europea - queste due vie sono aperte da Cavalcanti e da Dante. L'opposizione vale naturalmente nelle sue linee generali, ma richiederebbe innumerevoli specificazioni, data l'enorme ricchezza di risorse di Dante e la sua straordinaria versatilità. Non è un caso che il sonetto di Dante ispirato alla più felice leggerezza ("Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io") sia dedicato a Cavalcanti. Nella Vita nuova, Dante tratta la stessa materia del suo maestro e amico, e vi sono parole, motivi e concetti che si trovano in entrambi i poeti; quando Dante vuole esprimere leggerezza, anche nella Divina Commedia, nessuno sa farlo meglio di lui; ma la sua genialità si manifesta nel senso opposto, nell'estrarre dalla lingua tutte le possibilità sonore ed emozionali e d'evocazione di sensazioni, nel catturare nel verso il mondo in tutta la varietà dei suoi livelli e delle sue forme e dei suoi attributi, nel trasmettere il senso che il mondo è organizzato in un sistema, in un ordine, in una gerarchia dove tutto trova il suo posto. Forzando un po' la contrapposizione potrei dire che Dante dà solidità corporea anche alla più astratta speculazione intellettuale, mentre Cavalcanti dissolve la concretezza dell'esperienza tangibile in versi dal ritmo scandito, sillabato, come se il pensiero si staccasse dall'oscurità in rapide scariche elettriche.
La lezione di Calvino ci piace quindi donarla a tutti ... in lei sono le ragioni della nostra scelta e del nostro essere
Italo Calvino LEGGEREZZA (Italo Calvino, Lezioni americane)
(...)
Da quanto ho detto fin qui mi pare che il concetto di leggerezza cominci a precisarsi; spero innanzitutto d'aver dimostrato che esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca. Non potrei illustrare meglio questa idea che con una novella del Decameron (Vi, 9) dove appare il poeta fiorentino Guido Cavalcanti. Boccaccio ci presenta Cavalcanti come un austero filosofo che passeggia meditando tra i sepolcri di marmo davanti a una chiesa.
La jeunesse dorée fiorentina cavalcava per la città in brigate che passavano da una festa all'altra, sempre cercando occasioni d'ampliare il loro giro di scambievoli inviti.
Cavalcanti non era popolare tra loro, perché, benché fosse ricco ed elegante, non accettava mai di far baldoria con loro e perché la sua misteriosa filosofia era sospettata d'empietà:
Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d'Orto San Michele e venutosene per lo Corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata, e molte altre dintorno a San Giovanni, e egli essendo tralle colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto con sua brigata a caval venendo su per la piazza di Santa Reparata, vedendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: "Andiamo a dargli briga"; e spronati i cavalli, a guisa d'uno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra e cominciarongli a dire: "Guido, tu rifiuti d'esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Idio non sia, che avrai fatto?". A' quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: "Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace"; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gittato dall'altra parte, e sviluppatosi da loro se n'andò.
Ciò che qui ci interessa non è tanto la battuta attribuita a Cavalcanti, (che si può interpretare considerando che il preteso "epicureismo" del poeta era in realtà averroismo, per cui l'anima individuale fa parte dell'intelletto universale: le tombe sono casa vostra e non mia in quanto la morte corporea è vinta da chi s'innalza alla contemplazione universale attraverso la speculazione dell'intelletto).
Ciò che ci colpisce è l'immagine visuale che Boccaccio evoca: Cavalcanti che si libera d'un salto "sì come colui che leggerissimo era". Se volessi scegliere un simbolo augurale per l'affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l'agile salto improvviso del poeta- filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d'automobili arrugginite.
Vorrei che conservaste quest'immagine nella mente, ora che vi parlerò di Cavalcanti poeta della leggerezza.
Nelle sue poesie le "dramatis personae" più che personaggi umani sono sospiri, raggi luminosi, immagini ottiche, e soprattutto quegli impulsi o messaggi immateriali che egli chiama "spiriti".
Un tema niente affatto leggero come la sofferenza d'amore, viene dissolto da Cavalcanti in entità impalpabili che si spostano tra anima sensitiva e anima intellettiva, tra cuore e mente, tra occhi e voce.
Insomma, si tratta sempre di qualcosa che è contraddistinto da tre caratteristiche:
1) è leggerissimo;
2) è in movimento;
3) è un vettore d'informazione.
In alcune poesie questo messaggio-messaggero è lo stesso testo poetico: nella più famosa di tutte, il poeta esiliato si rivolge alla ballata che sta scrivendo e dice: "Va tu, leggera e piana dritt'a la donna mia". In un'altra sono gli strumenti della scrittura - penne e arnesi per far la punta alle penne - che prendono la parola: "Noi siàn le triste penne isbigottite, le cesoiuzze e'l coltellin dolente...".
In un sonetto la parola "spirito" o "spiritello" compare in ogni verso: in un'evidente autoparodia, Cavalcanti porta alle ultime conseguenze la sua predilezione per quella parola-chiave, concentrando nei 14 versi un complicato racconto astratto in cui intervengono 14 "spiriti" ognuno con una diversa funzione. In un altro sonetto, il corpo viene smembrato dalla sofferenza amorosa, ma continua a camminare come un automa "fatto di rame o di pietra o di legno".
Già in un sonetto di Guinizelli la pena amorosa trasformava il poeta in una statua d'ottone: un'immagine molto concreta, che ha la forza proprio nel senso di peso che comunica.
In Cavalcanti, il peso della materia si dissolve per il fatto che i materiali del simulacro umano possono essere tanti, intercambiabili; la metafora non impone un oggetto solido, e neanche la parola "pietra" arriva ad appesantire il verso. Ritroviamo quella parità di tutto ciò che esiste di cui ho parlato a proposito di Lucrezio e di Ovidio. Un maestro della critica stilistica italiana, Gianfranco Contini, la definisce "parificazione cavalcantiana dei reali". L'esempio più felice di "parificazione dei reali", Cavalcanti lo dà in un sonetto che s'apre con una enumerazione d'immagini di bellezza, tutte destinate a essere superate dalla bellezza della donna amata: Biltà di donna e di saccente core e cavalieri armati che sien genti; cantar d'augelli e ragionar d'amore; adorni legni 'n mar forte correnti; aria serena quand'apar l'albore e bianca neve scender senza venti; rivera d'acqua e prato d'ogni fiore; oro, argento, azzurro 'n ornamenti: Il verso "e bianca neve scender senza venti" è stato ripreso con poche varianti da Dante nell'Inferno (Xiv, 30): "come di neve in alpe sanza vento".
I due versi sono quasi identici, eppure esprimono due concezioni completamente diverse. In entrambi la neve senza vento evoca un movimento lieve e silenzioso. Ma qui si ferma la somiglianza e comincia la diversità. In Dante il verso è dominato dalla specificazione del luogo ("in alpe"), che evoca uno scenario montagnoso. Invece in Cavalcanti l'aggettivo "bianca", che potrebbe sembrare pleonastico, unito al verbo "scendere", anch'esso del tutto prevedibile, cancellano il paesaggio in un'atmosfera di sospesa astrazione.
Ma è soprattutto la prima parola a determinare il diverso significato dei due versi. In Cavalcanti la congiunzione "e" mette la neve sullo stesso piano delle altre visioni che la precedono e la seguono: una fuga di immagini, che è come un campionario delle bellezze del mondo. In Dante l'avverbio "come" rinchiude tutta la scena nella cornice d'una metafora, ma all'interno di questa cornice essa ha una sua realtà concreta, così come una realtà non meno concreta e drammatica ha il paesaggio dell'Inferno sotto una pioggia di fuoco, per illustrare il quale viene introdotta la similitudine con la neve.
In Cavalcanti tutto si muove così rapidamente che non possiamo renderci conto della sua consistenza ma solo dei suoi effetti; in Dante, tutto acquista consistenza e stabilità: il peso delle cose è stabilito con esattezza. Anche quando parla di cose lievi, Dante sembra voler rendere il peso esatto di questa leggerezza: "come di neve in alpe sanza vento". Così come in un altro verso molto simile, la pesantezza d'un corpo che affonda nell'acqua e scompare è come trattenuta e attutita: "come per acqua cupa cosa grave" (Paradiso Iii, 123).
A questo punto dobbiamo ricordarci che l'idea del mondo come costituito d'atomi senza peso ci colpisce perché abbiamo esperienza del peso delle cose; così come non potremmo ammirare la leggerezza del linguaggio se non sapessimo ammirare anche il linguaggio dotato di peso.
Possiamo dire che due vocazioni opposte si contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l'una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube, o meglio un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo d'impulsi magnetici; l'altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose, dei corpi, delle sensazioni.
Alle origini della letteratura italiana - e europea - queste due vie sono aperte da Cavalcanti e da Dante. L'opposizione vale naturalmente nelle sue linee generali, ma richiederebbe innumerevoli specificazioni, data l'enorme ricchezza di risorse di Dante e la sua straordinaria versatilità. Non è un caso che il sonetto di Dante ispirato alla più felice leggerezza ("Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io") sia dedicato a Cavalcanti. Nella Vita nuova, Dante tratta la stessa materia del suo maestro e amico, e vi sono parole, motivi e concetti che si trovano in entrambi i poeti; quando Dante vuole esprimere leggerezza, anche nella Divina Commedia, nessuno sa farlo meglio di lui; ma la sua genialità si manifesta nel senso opposto, nell'estrarre dalla lingua tutte le possibilità sonore ed emozionali e d'evocazione di sensazioni, nel catturare nel verso il mondo in tutta la varietà dei suoi livelli e delle sue forme e dei suoi attributi, nel trasmettere il senso che il mondo è organizzato in un sistema, in un ordine, in una gerarchia dove tutto trova il suo posto. Forzando un po' la contrapposizione potrei dire che Dante dà solidità corporea anche alla più astratta speculazione intellettuale, mentre Cavalcanti dissolve la concretezza dell'esperienza tangibile in versi dal ritmo scandito, sillabato, come se il pensiero si staccasse dall'oscurità in rapide scariche elettriche.
Lezioni americane. sei proposte per il prossimo millennio è un libro basato su di una serie di lezioni scritte da Italo Calvino nel 1985 per un ciclo di sei lezioni all'università di Harvard nell'ambito delle prestigiose "Poetry Lectures" - intitolate al dantista e storico dell'arte americano Charles Eliot Norton -, previsto per l'autunno di quell'anno, ma mai tenutosi a causa della morte di Calvino avvenuta nel settembre 1985.
RispondiEliminal'autore aveva finito tutte le lezioni tranne l'ultima. il libro venne pubblicato postumo nel 1988. quando calvinio morì, non aveva ancora pensato a un titolo italiano. La moglie Esther Judith Singer racconta che "aveva dovuto pensare prima al titolo inglese, Six Memos for the Next Millennium, ed era il titolo definitivo". la prima edizione post mortem uscì infatti in inglese. Il titolo Lezioni americane deriva dal modo in cui Pietro Citati, che era solito visitare in quell'ultima estate lo scrittore ligure, aveva l'abitudine di chiamarle.le ezioni americane offrono appunti utili per orientarsi nelle trasformazioni che apparivano davanti ai suoi occhi. ma Calvino ci offre spunti che vanno ben al di là di queste applicazioni. In tutte le lezioni Calvino sottolinea la sua predilezione per testi brevi. inoltre offre suggerimenti meno ovvi, come quello della scrittura come sistema di controllo. e ancora sottolinea l'importanza del ritmo, anche nelle narrazioni in prosa.
bene Luca, contento che sei tornato! se vuoi approfondire il tema, in relazione alla figura di Guido Cavalcanti...
EliminaL’approccio che ha Calvino e cosa egli intenda per Leggerezza credo si possa definire come un modo per sfuggire alla realtà e ricavarsi un posto nel “non visibile” che possa contrapporsi alla pesantezza del vivere quotidiano.
RispondiEliminaPer quanto riguarda il confronto fra Dante e Cavalcanti; il primo è visto come il poeta della pesantezza, il secondo come quello della leggerezza. Nella novella di Boccaccio che ha come protagonista proprio il poeta Cavalcanti vi sono appunto queste parole:
“Cavalcanti non era popolare tra loro, perché, benché fosse ricco ed elegante, non accettava mai di far baldoria con loro e perché la sua misteriosa filosofia era sospettata d’empietà:
Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d’Orto San Michele e venutosene per lo corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata,[…] vedendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: «Andiamo a dargli briga»; e spronati i cavalli, a guisa d’uno assalto sollazzevole gli furono, prima quasi che egli se ne avvedesse, sopra e cominciarongli a dire: «Guido, tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Idio non sia, che avrai fatto?».
A’ quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: «Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace»; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò.
Boccaccio evoca bene cosa si vuole far capire: Cavalcanti che si libera d’un salto «sì come colui che leggerissimo era» : l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo…
vuoi provare a esprimere le sensazioni che dà a te, personalmente, il sentire di Guido?
EliminaA me piace abbastanza! Tocca tematiche per me molto belle e che talvolta mi emozionano. Concordo con i suoi insegnamenti e mi piace molto il modo in cui scrive!
EliminaLezioni americane è un libro pubblicato nel 1988 presso l’editore Garzanti di Milano; doveva comprendere un ciclo di sei conferenze che Italo Calvino avrebbe tenuto nel corso dell’anno accademico 1985- 1986 all’Università Harvard, Cambridge, nel Massachussets, nel contesto delle famose Norton Poetry Lectures. Nelle prima lezione parla della leggerezza, nella seconda della rapidità mentre nella terza dell' esattezza, e successivamente racconta anche dei fatti sulla molteplicità. L' inizio di questo brano l' avevamo già letto in classe; Cavalcanti diceva alla brigata di Messer Betto che le tombe erano casa loro e non sua perchè la morte corporea è vinta da chi s'innalza alla contemplazione universale. Di fronte allo sforzo di descrivere il mondo, nasce in Calvino la necessità di togliere peso, di essere leggero; la realtà, che nel suo svolgersi è pesante, diventa pietra e trasmette questa sua pietrificazione alla scrittura. L' agile salto di Cavalcante mostra la leggerezza del mondo, a differenza di quella che molti credono essere la vitalità dei tempi rumorosa ed aggressiva che appartiene al regno della morte. In "Chi è questa che vèn, ch'ogm'om la mira" Cavalcanti sottolinea la lode della donna, l'apparizione di questa come creatura miracolosa e irraggiungibile e l'ineffabilità della realtà sovrannaturale. Mentre in "Voi che per li occhi mi passaste 'l core" si mettono in risalto la forza dell' amore e i suoi effetti dolorosi e drammatici sul poeta; da un lato l' amore sveglia l'anima ma, ma dall'altro provoca una grande sofferenza fisica. Cavalcanti oltre ad essere un poeta era un filosofo e secondo alcuni stava cercando di dimostrare l'inesistenza di Dio; nelle sue opere si nota il materialismo epicureo (gli occhi della donna trafiggono materialmente il suo cuore). Questo brano ci fa riflettere sulle figure di Cavalcanti, nella quale tutto si muove così veloce che non possiamo renderci conto della sua consistenza ma, solo degli effetti che provoca mentre, in Dante tutto acquista stabilità e quindi ha un peso. Il primo tende a fare del linguaggio un elemento sottile( spiriti) e il secondo tende a comunicare alle parole lo spessore dei corpi o delle sensazioni. La gravità senza peso di cui ho parlato a proposito di Cavalcanti riaffiora nell'epoca di Cervantes e di Shakespeare: è quella speciale connessione tra melanconia e umorismo.
RispondiElimina"La gravità senza peso di cui ho parlato a proposito di Cavalcanti riaffiora nell'epoca di Cervantes e di Shakespeare: è quella speciale connessione tra melanconia e umorismo."... vuoi approfondire questo concetto, provandoti a spiegarlo anche in modo semplice?
EliminaLa melanconia, secondo me è la tristezza che può essere vista più leggera mentre l' umore, in quanto comico, ci fa dimenticare la pesantezza della vita che risulta quindi essere più spensierata e meno faticosa.
EliminaInizio il mio commento dando qualche informazione biografica di alcuni personaggi. Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985), è stato uno scrittore e partigiano italiano. Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato uno dei narratori italiani più importanti del Novecento. Ha frequentato molte delle principali tendenze letterarie dal Neorealismo al Postmoderno, ma tenendo sempre una certa distanza da esse e svolgendo un proprio personale e coerente percorso di ricerca. Sul piano stilistico è contraddistinto da una scrittura sempre cristallina e a volte, si direbbe, classica. Guido Cavalcanti (Firenze, intorno al 1258 – Firenze, 29 agosto 1300) è stato un poeta italiano del Duecento. Apparteneva a una nobile famiglia guelfa e sposò Bice donna ghibellina dalla quale avrà due figli. È ricordato per essere stato citato da Dante (del quale fu amico assieme a Lapo Gianni) nel celebre nono sonetto delle Rime Guido, i'vorrei che tu, Lapo ed io. Dante lo ricorda, anche, nella Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio, canto XI) e nel De vulgari eloquentia, mentre Boccaccio lo cita nel Commento alla Divina Commedia e in una novella del Decameron. Le opere di Cavalcanti sono tutt’ altro che semplici, ma hanno invece una profondità e una difficoltà di interpretazione alta; nonostante ciò gli insegnamenti sono significative. Cavalcanti è dunque il poeta della leggerezza, del movimento e vettore d’informazione. Il paragone con Dante potrebbe sminuire quest’ultimo nel vedere elogiare le caratteristiche stilistiche di Cavalcanti; ovviamente ciò è un’eresia, in quanto entrambi hanno fatto al storia della letteratura italiana, ma in maniera diversa. È percepibile, però, che Dante pesa le parole e quindi risulta avere uno stile più formale e marcato, mentre Cavalcanti riesce con le parole a trasmettere leggerezza, come un soffio, che volano via, sottile come appunto lo spirito. Attraverso il brano fornitoci si ha un spiegazione dettagliata di ogni particolare che a un lettore inesperto quale sono io tutti i rapporti tra parola-immagine e senso della poesia non percepisce, pur se la “sensazione” di fondo è chiara. Concordo nell’affermazione “la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca”, in quanto ritengo che esistano persone che o per loro natura o per studi affrontati abbiano un livello di intelligenza superiore agli altri e allo stesso tempo vi sono persone con un’ intelligenza minore; è dunque difficile per entrambi capirsi. Il sapiente non trova interessante rapportarsi con qualcuno che neppure lontanamente riesce a capirlo e risulta noioso e pesante appunto avere un confronto con gli altri. Nel piccolo questo succede all’interno delle singole classi dove alunni più preparati in alcune discipline possono ritenere noioso la ripetizione della spiegazione dell’insegnante che per alcuni alunni è invece importante. Cavalcanti mostra l’amore come il risveglio dell’anima e dell’intelletto, e in questo si ha una figura positiva del sentimento, dall’altro distrugge e uccide fisicamente, e qui la versione negativa.
RispondiElimina"a un lettore inesperto quale sono io tutti i rapporti tra parola-immagine e senso della poesia non percepisce, pur se la “sensazione” di fondo è chiara."
Eliminaquesto intervento di Ilaria è molto importante, bisogna partire da qui, non cercare di far credere di aver capito tutto, ma provare a concettualizzare, riflettere..che la "sensazione di fondo" sia "chiara" è il punto di partenza, poi con pazienza bisogna "lavorare"intorno alle parole del poeta, interpretare..
“Lezioni americane”, questo il titolo dell’edizione italiana scelto da Esther Calvino, dato che l’autore pensò prima al titolo inglese e non ebbe mai modo di dare l’ultima revisione al testo a causa dellamorte improvvisa – è l’ultima opera dello scrittore, nata non con una funzione narrativa o documentariama come testo scritto in funzione di un ciclo di sei conferenze dette “Norton Lectures” per le qualiCalvino era stato invitato nel 1984 dalla Harvard University per l’anno accademico seguente. L’invitocomprendeva la possibilità per lo scrittore – tra l’altro il primo italiano ad essere contattato – diarticolare in piena libertà la conferenza, attraverso un tema a sua libera scelta e l’uso di ogni forma dicomunicazione poetica. Le conferenze dovevano essere sei e il testo che abbiamo corrisponde a quelloche Calvino aveva steso e avrebbe letto ad Harvard, tuttavia riuscì a portarne a termine solo cinque enon poté mai tenerle in università. I testi delle cinque conferenze che abbiamo riportano ciascuna cometitolo l’identificazione di un “valore” letterario – e non solo – che l’autore reputa necessario conservaree portare con sé nel III millennio. Ognuno di essi – leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità emolteplicità – si apre più o meno esplicitamente con la dichiarazione di voler difendere e illustrare unvalore attraverso una riflessione che si snoda fra citazioni letterarie, riferimenti alla poetica degli autori più vari, metafore ed esplicazioni afferenti anche ad ambiti della cultura non letterari.
L’approccio che ha Calvino e cosa egli intenda per Leggerezza emerge decisamente da questa citazione; “si tratta di un modo per sfuggire alla realtà e ricavarsi un cantuccio nel “non visibile” che possa contrapporsi alla pesantezza del vivere quotidiano”; pensiamo alla famosa trilogia (Il barone rampante, Il visconte dimezzato, Il cavaliere inesistente) Cosimo che si rifugia fra le fronde degli alberi per non scendere più a terra; la vita possibile anche senza metà del corpo; la vita possibile anche senza il corpo intero; non sono queste figure che trasmettono una certa leggerezza? La forza del vivere sta forse in questo, nella capacità di immaginare qualcosa di impossibile, che proprio per questo motivo non può che essere leggero.
RispondiEliminaNella moltitudine di esempi e argomentazioni letterarie cheCalvino intavola ve ne sono alcune che tendono a non sminuire affatto il valore della Pesantezza; questo perché ogni lezione non vuole avere caratteristiche dogmatiche e incanalare per forza di cose il discorso letterario in una certa misura: lui sta solo parlando delle sue predilezioni. A riprova di questo la bellissima parte riguardante il confronto fra Dante e Cavalcanti; il primo visto come il poeta della pesantezza, il secondo come quello della leggerezza. Per centrare ancora meglio il concetto cito ora una novella di Boccaccio che ha come protagonista proprio il poeta Cavalcanti (che l’autore ha già spiegato così bene cosa intende che mi è difficile non ricorrere alle sue stesse parole).
A mio parere Calvino da un interessante concetto di leggerezza che fa pensare e analizzare la propria concezione anche di vita.
Tommaso Paris
Sebbene Cavalcanti viene definito poeta della "leggerezza" per l'abitudine di spersonalizzare le persone e i loro sentimenti in altri oggetti come ad esempio le penne e la carta che utilizza per scrivere le sue opere, ma per quanto riguarda il tema principale del stilnovismo, l'amore, Cavalcanti,nella maggior parte dei suoi sonetti, "l'appesantisce" definendolo doloroso, e ha una visione misogina della donna, associando direttamente a lei la colpa di questa pena (contrariamente alla visione angelica solita del dolcestilnovo), oppure associa questa colpa all'Amore stesso (che viene personificato), poiché rinchiude Guido in un'illusione romantica.
RispondiEliminaMi servirebbe sapere in quale parte del brano Calvino intende correggere l'immagine di Cavalcanti tradizionalmente offerta dalla critica e in cosa consiste la novità dell'interpretazione di Calvino.
RispondiEliminaMI SIDDIAIIIIIIIII
RispondiEliminami sveglio ancora cacata
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