sabato 30 marzo 2013

Da Andrea Perito


Questo è il testo che ho trovato più che interessante spero le piacerà:
I difficili legami tra Ue e Russia, continuano a incontrare sassi appuntiti lungo il cammino. Dal tema dell’energia, a quello dell’intervento internazionale in Siria, per toccare poi l’argomento più delicato e sensibile: i diritti, civili e politici.

La storia infinita e profonda dell’Europa incrocia quella ancor più penetrante e vasta di Mosca. L’evoluzione del concetto dei diritti fondamentali dell’uomo ha subìto processi con tendenze temporali diverse. Oggi, in Russia, i fatti dimostrano che la coscienza collettiva è ancora frenata nel suo manifestarsi in difesa della propria dignità di popolo e di cittadini. I casi, come suddetto, sono diversi ma tendono tutti a riunirsi nell’unico nodo centrale: l’indifferenza e la chiusura verso nuove frontiere di libertà. Le cantanti Pussy Riot ne sono emblema, la giornalista Anna Politkovskaya, fedele alla verità, ne è stata la voce, l’avvocato Magnitsky, deceduto in carcere per negligenza medica nel 2009, ne è testimonianza.

L’operazione di democratizzazione in un Paese che mai, fino a due anni fa, aveva visto scendere nelle piazze e nelle strade fiumi di persone per protestare contro un governo che fin troppo si addentra nella loro capacità decisionale e nel loro futuro, viene coltivata dai singoli individui bisognosi di libertà.

Il loro presidente Putin, contestato da un’opposizione che è andata crescendo dopo le ultime tornate elettorali, ama descrivere tali cittadini come fomentati anti-governativi e incantatori dell’Occidente.

Questi stessi fatti, però, raccontano storie di chi continua con caparbietà a rivendicare i propri diritti nel proprio Paese. Di qualche mese fa la notizia dell’allontanamento, da parte di Mosca, di una grande agenzia statunitense il cui compito è incentivare e stimolare le ong presenti sul territorio.

La USAD è stata cacciata poiché politicamente scomoda. Da anni sostiene tutte quelle associazioni ed organizzazioni russe aventi fini sociali e che, da sole, verrebbero lasciate morire piano piano da un potere centrale che non finanzia attività estranee al suo interesse politico.

Dopo la legge anti-proteste siglata dal presidente Putin per zittire i manifestanti, contestatori del suo potere eterno ed accentratore, sembra continuare con fatica la dura salita al totale riconoscimento dei diritti civili e politici in Russia.

Nell’ultimo incontro tra i vertici delle istituzioni europee e la rappresentanza russa, avvenuto nel mese di dicembre, il tema dei diritti umani ha di fatto gelato il dialogo tra i due interlocutori, facendo rimanere sulle proprie posizioni entrambe le parti. L’Ue rimprovera il governo russo di censurare sistematicamente chiunque esprima le proprie opinioni; la Russia, dal canto suo, ricorda con un dossier le mancanze in terra europea riguardo alla libertà di pensiero.

Il gap tra Mosca e Bruxelles in tema di diritti umani è aumentato in seguito all’approvazione della nuova legge sulle organizzazioni non governative che operano in terra russa. Con tale provvedimento, le ong sono registrate come “agenti segreti”, in quanto così esse diventano più facilmente controllabili dal potere centrale e ciò è essenziale per evitare che fuoriescano elementi ed informazioni riservate e confinate in Russia.

La voce di chi opera in queste organizzazioni di supporto, ascolto e difesa dei diritti, non può sottostare e sottacere, considerando che il loro lavoro e la loro vita si svolge proprio nel Caucaso per i cittadini russi. Non c’è spionaggio o infiltrazione, ma solo lotta per il riconoscimento delle fondamentali libertà. Un’attivista di cittadinanza russa, Lyudmila Alkseeva con decisione urla la sua posizione, che poi è quella di tutti coloro che si battono contro un sistema accentratore ed occultatore di diritti: “Non sono certo un’agente straniero, io opero per i cittadini russi e per le loro libertà”.

mercoledì 27 marzo 2013

Visite d'istruzione 9 -22 maggio-costi definitivi


saluti, proprio questa mattina ho acquisito i costi pullman  definitivi:

per Alba-Santo  Stefano Belbo del 9 maggio:
pullman SAF    660 euro  iva inclusa;
guida Pavese    80 e.intero gruppo
lezione Fenoglio gratuita
pranzo facoltativa prenotazione:
ottimo self service Il  punto amico ,costi a discrezione personale intorno ai 10 e ..

ne consegue ,calcolo   su  36 alunni  (18 cl.V+18 cl.II):
   totale 21  euro 

per Fontanetto Po  del 22 maggio:
pullman Almatour 480 e.
per 33 alunni= 15 e. a testa
-Visita riseria San Giovanni 3 euro a testa
-Lucedio  7 euro a testa

pranzo al sacco 

totale  25 euro 

*nota :ricorso che un alunno deve ancora iscriversi con la quota anticipo di 20 euro !

buona vacanza, Dario

martedì 26 marzo 2013

I BAMBINI DROGATI AI TEMPI DI DICKENS


I bambini drogati ai tempi di Dickens

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Il lato oscuro della rivoluzione industriale nei rapporti dei medici inglesi


Leggiamo le seguenti parole non con lo spirito e l’assuefazione di oggi, ma con i sentimenti di un attento viaggiatore straniero nell’Inghilterra del 1845: «Una volta feci il viaggio per Manchester in compagnia di un borghese e gli parlai delle pessime e malsane costruzioni, delle condizioni orribili dei quartieri operai, dichiarando di non aver mai visto una città costruita peggio. Quell’uomo ascoltò tutto ciò tranquillamente, poi mi salutò dicendo: «And yet, there is a great deal of money made here» cioè
«eppure qui si guadagna una gran quantità di soldi, buon giorno, signore» . Sembra una pagina di Dickens (in quell’anno in vacanza in Italia). L’autore era in realtà un ventiquattrenne industriale tedesco, Friedrich Engels, che nel 1845 pubblicò a Lipsia una inchiesta condotta nelle città, nelle grandi fabbriche, nelle campagne, nelle piccole imprese artigiane, nelle miniere inglesi. Quell’inchiesta diventerà un classico della storia del pensiero politico (Le condizioni della classe operaia in Inghilterra. In base a osservazioni dirette e fonti autentiche) e il titolo richiama le “osservazioni dirette” necessarie a conoscere la verità.
A quel tempo, “vedere” le cose non era semplice perché a molti mancavano precisi riferimenti ideologici e politici, era diffuso però un disagio morale di fronte a quell’evidente situazione sociale, e in particolare gli scrittori e i romanzieri non potevano far finta di nulla. Quattro anni dopo, infatti, nel 1849, Charlotte Brontë con il romanzo Shirley toccherà il punto dolente della diffusa disoccupazione dei tessitori («la miseria genera odio», diceva la intelligente borghese Brontë), e nel 1854 Dickens, dopo la colorita descrizione letteraria dei bassifondi di Londra dell’Oliver Twist, affronterà in Tempi difficili il problema studiato da Engels. Ma ventidue anni passeranno prima che Marx dilati il quadro di quelle condizioni di vita dei lavoratori e del loro ambiente sociale nello scenario scientifico più ampio del Capitale.
Tuttavia, Engels, Marx, Brontë, Dickens non erano soli. C’erano anche i medici, e altri scrittori, da Thomas Carlyle (con Past and Present del 1843) a Thomas de Quincey (con The Logic of Political Economy del 1844) che “osservavano” da tempo il degrado incredibile e in particolare certi aspetti di quello sviluppo economico che ormai restano soltanto tra le pagine della storia Uno di questi era il lavoro delle donne e dei bambini, la cui immissione nella produzione sostituiva gradualmente il lavoro maschile, molto più costoso. «Tre fanciulle di tredici anni — scriveva de Quincey — con salari dai sei agli otto scellini la settimana, hanno preso il posto di un solo uomo maturo con un salario dai diciotto ai quarantacinque scellini». La conseguenza di questa sostituzione di soggetti fu la progressiva disarticolazione della struttura familiare degli operai inglesi, la diffusione eccezionale dell’alcolismo (nel 1844 a Glasgow la domenica si contavano trentamila operai ubriachi e a Manchester fiorivano un migliaia di jerry shops e di taverne), l’introduzione delle droghe tra gli adulti e, con la complicità delle madri lavoratrici, tra i bambini.
La droga: fu questa l’agghiacciante scoperta dei medici. L’oppio e il laudano si spacciavano in dosi massicce ma non clandestinamente. Gli stupefacenti facevano parte dei prodotti del mercato dal quale gli operai si rifornivano normalmente. Meglio dell’alcol, l’oppio dava un sostegno all’organismo simulando uno stato di efficienza fisica. Ma lo sfruttamento eccessivo del lavoro delle donne spingeva molte operaie non solo a occuparsi sempre meno dei loro neonati (che venivano lasciati, nel corso della giornata, a se stessi o a vicini di casa), ma a stordirli con droghe speciali per renderli inerti e controllabili. Queste droghe speciali per lattanti si trovavano in confezioni normali presso i negozianti. Il maggior successo lo ebbe uno sciroppo dal nome Godfrey’s cordial, a base di oppio. Fu l’inizio di un infanticidio di massa e la mortalità infantile tra i figli degli operai crebbe a livelli altissimi. I medici, insospettiti, scoprirono una relazione tra l’alta mortalità e l’uso dello sciroppo. Nel 1861 a Londra un’inchiesta sanitaria ufficiale attribuì la mortalità allo stato di denutrizione e di abbandono affettivo dei bambini, e a un «intenzionale avvelenamento da oppiacei» da parte delle madri. «L’inchiesta ha mostrato che, mentre nelle circostanze descritte i bambini muoiono per la negligenza e la sregolatezza dovuta alle occupazioni delle loro madri, le madri divengono snaturate verso i loro figli non preoccupandosi molto per la loro morte e perfino prendendo misure dirette per provocarla».
In una successiva inchiesta del dottor Henry Hunter (Sixth Report on Public Health) pubblicata a Londra nel 1864, era detto: «Il grande fine di alcuni intraprendenti mercanti all’ingrosso è di promuovere la vendita degli oppiacei. I droghieri li considerano infatti l’articolo di più facile smercio». L’esempio veniva dall’alto: l’oppio era divenuto una voce della produzione industriale inglese così redditizia che in quegli anni con un atto di violenza imperiale l’Inghilterra aveva imposto con le cannoniere all’India e soprattutto alla immensa Cina di acquistare tonnellate di oppio. L’opposizione della Cina aveva provocato, appunto, la “guerra dell’oppio”. Ma le vittime interne inglesi erano soprattutto tra i più innocenti. Al quadro estremo delle condizioni di “atrofia morale”, di squilibrio individuale e sociale provocato dal modo come veniva gestito il lavoro nelle fabbriche il rapporto del dottor Hunter diede il tocco finale. I lattanti ai quali si somministravano oppiacei «si accartocciavano come piccoli vecchietti, o raggrinzivano come scimmiette»

mercoledì 20 marzo 2013

Valeria Piolini03/mar/2013 - Pubblico Margherita Hack: “No a centrali nucleari in Italia (ma sì alla ricerca). Puntare su rinnovabili e solare”


La richiesta di energia va continuamente crescendo, soprattutto da parte delle grandi economie emergenti: Cina, India, Brasile. Un intero continente come l’Africa sta ancora dormendo, ma anch’essa si sveglierà, grazie anche a quel potente fattore di globalizzazione che è Internet. Petrolio e metano vanno esaurendosi, il carbone, molto più abbondante, è anche fortemente inquinante. Bisogna evitare scelte emotive, in conseguenza di disastri come quello di Chernobil e ora del Giappone.

L’Italia è quasi completamente dipendente dall’estero per il suo approvvigionamento energetico; compriamo petrolio e metano dalla Libia, dall’Ucraina, energia nucleare dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Slovenia; siamo circondati da centrali nucleari dei paesi confinanti (59 in Francia, 5 in Svizzera, 1 in Slovenia) e se un disastro succedesse a loro, noi ne avremmo gli stessi danni senza averne avuto i vantaggi.

Io credo che dovremmo comunque non interrompere la ricerca sul nucleare. Se tutte le volte che l’uomo ha scoperto una nuova applicazione della scienza, si fosse fermato al primo inci-dente, saremmo ancora all’età della pietra e non avremmo mai messo piede sulla Luna. Se dopo la scoperta del fuoco, lo si fosse abbandonato dopo il primo incendio della nostra foresta, saremmo ancora nel freddo e buio delle caverne, se dopo la caduta del primo aereo avessimo bloccato la ricerca, l’aviazione non sarebbe mai decollata.
D’altra parte da tutti i fallimenti si impara e si progredisce.

La rinuncia al nucleare, decisa in seguito al referendum del 1987 secondo varie stime di e-sperti dell’Enel sarebbe costata all’Italia 120000 miliardi di lire. Inoltre il costo dell’energia elettrica, superiore del 40% a quello della media europea è una delle cause della perdita di competitività che ha colpito l’Italia dal 1990.

Certo che i disastri nucleari possono colpire gran parte del pianeta. Perciò, dato che si parla tanto del villaggio globale, il problema della sicurezza e in particolare quello delle scorie, andrebbe risolto in modo globale, con la collaborazione di tutti, anche se mi rendo conto che è un’utopia. Questo è stato tentato a livello europeo per quanto riguarda il grave problema dello smaltimento delle scorie. Così le centrali nucleari dovrebbero essere situate solo in regioni sicure dal punto di vista sismico e degli tsunami e disposte a vendere energia a basso costo ai paesi che per ragioni geofisiche non possono metterle sul loro suolo. E anche, aggiungerei, in paesi più seri del nostro, in cui anche smaltire la spazzatura di Napoli diventa un problema, e in cui sembra impossibile evitare infiltrazioni della criminalità organizzata.


Perciò ritengo che la ricerca deve continuare, anche sperimentando l‘impiego di combustibili nucleari che abbiano una vita media più corta dell’uranio, un campo in cui mi sembra sta lavorando uno dei maggiori esperti in campo mondiale, il premo nobel Carlo Rubbia; che la tecnologia nucleare sarà in futuro necessaria, ma prima è auspicabile che si faccia ricorso in modo molto più massiccio alle energie rinnovabili e si attui in modo molto più efficace il risparmio energetico.

Le fonti rinnovabili sono: 1) la solare, nelle applicazioni termiche (pannelli solari) e fotovol-taiche, già in uso ma ancora troppo poco diffuse, e termodinamica, ancora in fase sperimentale. Tutte andrebbero incentivate e soprattutto la ricerca sulla forma più efficiente, la termodinamica, che si sta sperimentando dal 2007 nella centrale di Priolo Gargallo (Siracusa) col progetto Archimede; 2) l’eolica, con il primo impianto del 1984. Si prevedeva di produrre per il 2000 una potenza eolica di 600 megawatt, mentre nel 2004 si era arrivati a produrre 5 megawatt, per le varie discussioni e tentennamenti di origine sia politica che tecnica. Con la politica degli incentivi si è ora arrivati con 10 anni di ritardo a produrre più di 500 megawatt, mentre l’eolico in Germania produce più di 16000 megawatt, 8000 la Spagna e 3000 la Danimarca. In Italia si assiste a continui frenamenti sia da parte dei difensori del paesaggio, sia per le lungaggini burocratiche; 3) la classica idroelettrica; 4) la geotermica; 5) quella da biomasse, biogas, rifiuti.

Tutte insieme le rinnovabili hanno fornito circa il 17% dell’energia prodotta in Italia nel 2008, ma il contributo del solare (nel paese del sole) è stato solo dello 0,06% e quello eolico dell’1,4 %, mentre la classica idroelettrica ha dato più del 12%. Gran parte di questi dati sono stati raccolti e pubblicati da Marzio Bellacci nel suo libro “Italia a lume di candela” (Edizioni L’asino d’oro, 2010).

Da tutti questi dati si può concludere che è necessario incrementare la ricerca e gli incentivi per il solare. Un dato positivo è rappresentato dal decreto interministeriale del 5 maggio scorso che prevede incentivi per gli impianti fotovoltaici che entrino in funzione dopo il 31 maggio 2011 e fino al 31 dicembre 2016.
Un altro dato interessante è fornito da un articolo di Edo Ronchi, ex-ministro dell’ambiente, pubblicato il 24 giugno 2010 su Milano Finanza in cui mostra che in realtà il fabbisogno italiano di energia, grazie al risparmio energetico e ai miglioramenti dell’efficienza degli impianti, è diminuito nel 2009 rispetto al 2008 di 22 miliardi di chilowattore pari al 6,4%.

Tenuto conto dei prevedibili crescenti sviluppi delle centrali di energia rinnovabile, si può concludere che non è necessario né economico puntare sulla costruzione di centrali nucleari, e pur raccomandando di non abbandonare la ricerca in questo campo, sbaglio che fu fatto dopo il referendum e l’emotività dovuta all’incidente di Chernobil, è preferibile sviluppare al massimo la ricerca sulle rinnovabili, seguendo l’esempio della Germania, o addirittura della Svezia, che pur avendo tanto meno sole di noi, utilizzano molto di più l’energia solare ed eolica.

In conclusione: no alla costruzione di centrali nucleari oggi in Italia, ma sì alla ricerca sull’energia nucleare, senza demonizzarla, in previsione di un futuro, forse ancora lontano, in cui anche questa sarà necessaria, e dovremo imparare a dominarne i rischi; incentivare la ricerca e la costruzione di impianti eolici e fotovoltaici, migliorare l’attenzione al risparmio energetico, sia con costruzioni ecologiche che riducano al minimo la necessità di riscaldamento d’inverno e condizionatori d’estate (proprio il contrario di quei grandi palazzoni tanto di moda, con le pareti di vetro, serre d’estate e frigoriferi d’inverno), sia con l’attuazione al 100% della raccolta differenziata dei rifiuti, un fine facilmente raggiungibile ma da cui siamo ancora molto lontani.

 (2 giugno 2011)                                                                   di Margherita HackComprimi questo post

domenica 17 marzo 2013

La nuova classifica di partecipazione


Punteggio  in 10°, sufficienza al 6, da aprile la sufficienza passerà al 7

ILARIA                                        18
ESTER                                         15
TOMMASO   MARCO                 8
CANDELA  VALERIA                 7
LUCA   6 (10   - 4 perché non presente nel 2013)   

EDOARDO T.                                       6
FABIO ELISA                                       5
LEONARD                                            4
NICOLO'  SIMONA     ANDREA        3
MATTEO                                               2
 EDOARDO O.                                      1
EDOARDO  F.                                       0

Colloqui interquadrimestrali


COLLOQUI INTERQUADRIMESTRALI

CLASSE 2 A LSA

 MERCOLEDÌ' 3 APRILE 
ORE 15.30AULA 233

sabato 16 marzo 2013

La crisi della Grecia


Come sapete, questo paese che ha una storia di civiltà antichissima, che sempre nei secoli ha dovuto difendere la propria libertà, subendo spesso oppressione, si trova investito da una grave crisi economica. Difficile giudicare  qui in breve i perché, tuttavia le preoccupazioni sono veramente serie.Nei periodi di crisi, come accadde anche nella Germania degli anni'30, gli egoismi si radicalizzano, si cercano capri espiatori dove si possono trovare.L'articolo sottostante rivela questo clima buio...

Grecia, Alba Dorata chiede divisione tra studenti ellenici e stranieri nelle scuole

Nuovo delirio razzista nel Parlamento greco da parte del partito di ispirazione neonazista. Il deputato Artemis Matthaiopoulos chiede ufficialmente alla Commissione Cultura della Camera che vi sia una divisione tra studenti e chiede: “Cosa ci fanno bambini figli di immigrati nelle scuole greche?”

Alba Dorata
Nuovo delirio razzista nel Parlamento greco da parte dei neonazisti di Alba dorata. Il deputato Artemis Matthaiopoulos chiede ufficialmente alla Commissione Cultura della Camera che vi sia una divisione tra studenti greci e stranieri nelle scuole di tutto il paese. E si chiede: “Cosa ci fanno bambini figli di immigrati nelle scuole greche?”. Un’altra uscita a sfondo razziale del partito guidato dall’effervescente Nikolaos Mikalioliakos che lo scorso giugno, dopo quarant’anni di embargo, è tornato ad avere propri rappresentanti in parlamento ottenendo il 7% alle urnepercentuale che secondo gli ultimi sondaggi oggi è salita all’11%, dietro il Syriza di Alexis Tsipras e la Nea Dimokratia del premier Samaras, e confermandosi il terzo partito del paese. 
L’onorevole Matthaiopoulos è intervenuto alla seduta della commissione per gli affari educativi che ha discusso il disegno di legge per la valutazione degli insegnanti a sostegno dei bambini immigrati che frequentano le scuole greche. E ha detto: “Dovrebbero esserci classi diverse per gli studenti greci e per quelli stranieri”, con l’indignazione degli altri deputati presenti alla seduta. Le sfumature razziste hanno causato l’intervento immediato del vice ministro dell’istruzione Papatheodorou che ha commentato l’episodio richiamando una “divisione che sa di fascismo”. E mentre una deputata di Sinistra Democratica ha ricordato che in democrazia ci sono delle regole basilari di convivenza e di rispetto, Matthaiopoulos le ha replicato che “nella giungla non ci sono regole”, provocando l’uscita immediata di tutti i deputati dall’aula della commissione. Solo una settimana fa il paese si era indignato per il documentario trasmesso dall’emittente inglese Channel 4 in cui militanti del partito si dicevano pronti a “fare saponette con gli immigrati in Grecia” e il candidato del partito di estrema destra Plomaritis lanciava minacce e insulti nei confronti degli extracomunitari. Definendoli “primitivi, subumani e contaminati, buoni a nulla che bevono la nostra acqua”. Con la macabra minaccia: “Siamo pronti ad aprire loro i forni”.
Sul controverso movimento, che durante le ronde notturne distrugge i banchi dei venditori ambulanti extracomunitari, prende a catenate in faccia gli immigrati e appronta mense per i poveririgorosamente greci, è appena stato pubblicato un pamphlet intitolato “Alba dorata, il cavallo di Troia anti cristiano” scritto da padre Abbacoum, un monaco che vive in uno dei mistici monasteri del Monte Athos nella penisola Calcidica a nord della Grecia e che già sta facendo molto discutere tutto il paese. In cui rileva che “Alba dorata non è solo un altro partito politico, ma è allo stesso tempo un movimento neo idolololatrico con una base ideologica occulta per l’erosione metodologia del cristianesimo”. Che, a suo dire, mira a sostituire il Dio cristiano con il dio nazione. Una deriva “impregnata degli ideali di Lucifero con cui nutrono giovani e adepti”. Padre Abbacoum, che prima di dedicarsi al monachesimo era un funzionario del ministero della Pubblica Istruzione, non manca nel libro di scagliarsi contro quei vescovi che appoggiano il partito e che lo hanno votato e contro azioni raccapriccianti come l’indottrinamento forzato dei bambini che si persegue nelle scuole di Alba dorata. E chiede alla Chiesa ortodossa di chiarire una volta per tutte la propria posizione sul partito.
 twitter@FDepalo

venerdì 15 marzo 2013

I gesuiti, l'ordine ecclesiastico da cui proviene il nuovo Papa


Jorge Maria Bergoglio, ora Papa Francesco è stato indicato immediatamente come “il primo Papa gesuita” e anche, da chi conosce abbastanza la storia della Chiesa, come un vero “Papa nero”. I Gesuiti – o più esattamente: la Compagnia di Gesù – sono un ordine tra i più importanti della Chiesa e uno di quelli con la storia più ricca. In passato hanno esplorato nuovi mondi, combattuto guerre e organizzato complotti, sono stati soppressi e poi rifondati, sono stati le guardie dei papi più intransigenti e le avanguardie del progressismo.
La fondazione
La Compagnia di Gesù venne fondata nel 1540. Erano gli anni dello scisma protestante che stava dividendo l’Europa in una serie di guerre religiose che sarebbero durate oltre un secolo. Dalla Germania Martin Lutero e gli altri riformatori predicavano contro la corruzione della Curia Romana, contro il traffico delle indulgenze e contro la ricchezza della Chiesa.
La Chiesa cattolica all’epoca si trovava in difficoltà nel rispondere a queste critiche. I Papi rinascimentali come Alessandro VI – Papa Borgia – Giulio II e Leone X erano stati grandi mecenati, intellettuali e anche piuttosto liberali, ma non esempi di virtù e morigeratezza. Alessandro VI aveva diversi figli – tra cui il famoso Cesare Borgia – Giulio II andava in battaglia con l’armatura addosso e diceva messa con la spada sull’altare, mentre Leone X si era occupato più di arte che di anime. I Papi dell’epoca erano dei particolari Principi rinascimentali, come i Medici di Firenze e i Gonzaga di Mantova, impegnati a conquistare e guerreggiare coi vicini, a spendere in opere d’arte e a tenere fastose corti.
Già prima dello scisma di Lutero, erano nate all’interno della Chiesa cattolica diverse correnti che chiedevano una riforma e un ritorno a un maggiore distacco dalle faccende temporali. Tra tutti, i Gesuiti furono il gruppo più insistente. La compagnia di Gesù fu riconosciuta ufficialmente dal Papa il 27 settembre del 1540. Era stata fondata qualche anno prima da un nobile basco, un militare che poi sarebbe diventato santo, Ignazio di Loyola.

La compagnia di Gesù
In pochi anni la Compagnia di Gesù divenne una delle fazioni più importanti della Chiesa cattolica, in grado di esercitare la sua influenza dall’Europa all’America e fino all’Estremo oriente. Per questo motivo i gesuiti sono spesso stati oggetto di caricature e di stereotipi: fanatici e devoti al Papa e al loro Superiore Generale, consiglieri dei potenti da dietro le quinte e manipolatori di fanciulli. Prima che esistesse la massoneria, il complottismo di una volta vedeva la mano dei gesuiti dietro le epidemie, le carestie e le morti sospette che colpivano i nemici della chiesa cattolica. Nell’Inghilterra di Shakespeare e di Elisabetta I quella dei gesuiti era una vera e propria paranoia.
Questi stereotipi avevano una parziale giustificazione. I gesuiti avevano l’impronta militaresca del loro fondatore Ignazio: il loro celebre motto era Perinde ac cadaver, “obbedire come corpo morto obbedisce” – più conosciuto del motto ufficiale Ad maiorem Dei gloriam, “a maggior gloria di Dio”. La loro fedeltà andava direttamente al Papa di Roma, spesso scavalcando anche i vescovi locali. Il loro Superiore Generale – cioè il capo dell’ordine – era ritenuto il capo occulto della Chiesa, che muoveva il Papa come un burattino e per questo era chiamato il “Papa Nero”.
L’istruzione per loro era fondamentale: sia nella preparazione dei singoli gesuiti – che dovevano essere esperti di teologia e diritto canonico, ma spesso erano anche linguisti, storici e scienziati (nel romanzo di Umberto Eco, L’isola del giorno prima, uno dei personaggi principali è un gesuita, padre Caspar: uno scienziato che cerca di scoprire un modo di calcolare la longitudine) – sia come strumento per diffondere il cattolicesimo. «Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e io vi mostrerò l’uomo», recita un celebre motto gesuita. Tuttora esistono molte scuole che appartengono alla Compagnia di Gesù e in molti paesi dell’America Latina sono le scuole di più alto livello.
Anche nella loro attività missionaria i gesuiti si portarono spesso dietro l’accusa di essere troppo vicini ai potenti. I gesuiti viaggiarono sempre molto: dalle colonie portoghesi dell’India, al Giappone fino in Cina.

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In tutti questi paesi i gesuiti cercarono, e spesso ci riuscirono, di avvicinarsi ai potenti e ai notabili dei paesi e a convertirli, in modo da convertire in un colpo solo anche le popolazioni a essi soggette. Spesso per quei re e quei potenti chi si convertivano era possibile avere accesso alle moderne armi e ai cannoni europei. A volte, in situazioni di pericolo, dietro a quei cannoni c’erano gli stessi gesuiti. Durante gli assedi di Macao e Goa, i matematici gesuiti partecipavano alla difesa aiutando a puntare l’artiglieria con le loro conoscenze di balistica.
In Sudamerica i missionari gesuiti si comportarono diversamente. Non c’erano Daimyo giapponesi o Mandarini cinesi da convertire, ma soltanto popolazioni tribali, spesso sfruttate o perseguitate dai domini coloniali spagnoli e portoghesi. Le missioni gesuite furono sempre molto vicine a queste popolazioni, opponendosi alla schiavitù e allo sfruttamento (è la storia raccontata dal filmMission).
Nel Diciottesimo secolo i gesuiti avevano accumulato tanto potere che uno dopo l’altro i regni europei decisero di espellere l’ordine dai loro territori. Tra le accuse che venivano loro rivolte c’erano quelle di voler sovvertire l’ordine sociale, di essere agenti del Papa e, soprattutto, di corrompere la gioventù. Costretto dai vari monarchi europei, il Papa soppresse l’ordine nel 1775. Da quel momento divenne un movimento clandestino.
La rifondazione
Nel 1814, dopo la prima abdicazione di Napoleone e il suo esilio all’Isola d’Elba, Pio VII ritornò trionfalmente a Roma dopo aver trascorso anni prigioniero in Francia. Era uno dei pochi “monarchi” che non si erano mai piegati a Napoleone e possedeva un prestigio indiscusso. Lo stesso anno del suo ritorno rifondò la Compagnia di Gesù. In quegli anni e in quelli successivi, all’interno della Chiesa si discuteva molto dell’atteggiamento da tenere nei confronti della modernità, intesa come il prodotto dell’illuminismo e della rivoluzione francese: liberalismo, uguaglianza e secolarizzazione della società.
I gesuiti si schierarono con la parte maggioritaria e più intransigente della Chiesa, quella che vedeva nell’Illuminismo e ancora di più nella rivoluzione francese un prodotto del demonio e una corruzione della società ordinata e gerarchica che andava sotto il nome di Antico Regime. Nel 1850 la Compagnia fondò Civiltà Cattolica, una rivista culturale che esiste ancora oggi, e tramite la quale davano voce alle loro posizioni intransigenti. In una specie di ribaltamento delle accuse che erano state fatte in passato all’ordine, ora i Gesuiti vedevano nel costituzionalismo e nelle rivoluzioni che attraversavano quegli anni, un complotto dei massoni per sovvertire la società. Il liberalismo ottocentesco era una specie di cavallo di troia che avrebbe condotto la società verso il male supremo, il socialismo.
La teologia della liberazione
Dagli anni Cinquanta la Compagnia di Gesù ha affrontato una serie di mutamenti che l’hanno resa quasi irriconoscibile rispetto alla Compagnia rifondata nel 1814. Dalle posizioni intransigenti la Compagnia è passata a posizioni molto più liberali. I protagonisti di questa svolta sono stati gesuiti come l’americano John Courtney Murray, che compì delle aperture notevoli per la chiesa nei confronti dell’aborto distinguendo tra l’immoralità del gesto e la possibilità o meno di trasformare il giudizio morale in una legge dello Stato. Murray fu uno dei più importanti promotori dellaDignitatis Humanae Personae: il documento, prodotto dal Concilio Vaticano II, nel quale si affermava per la priva volta da parte della Chiesa Cattolica la libertà religiosa.
Ancora più importanti furono i cambiamenti portati avanti da Pedro Arrupe, Generale dell’ordine dal 1965 al 1983. Arrupe sottolineò l’importanza di realizzare la giustizia sociale e di combattere la povertà nella missione dell’ordine. In quegli anni si andò sviluppando in America Latina una delle correnti che hanno maggiormente connotato la Compagnia di Gesù nel secondo dopoguerra: la Teologia della Liberazione.
Si trattò di un movimento che voleva rileggere gli insegnamenti cattolici nell’ottica dei più poveri, soggetti alle diseguaglianze sociali e all’oppressione politica. Per i critici non era altro che una versione cristiana del marxismo. Il movimento prese questo nome nel 1971, ma già negli anni Cinquanta e Sessanta diversi sacerdoti e membri della compagnia avevano cominciato a sottolineare la situazione di ineguaglianza economica e oppressione politica diffusa nel continente. Il termine stesso fu inventato da un domenicano, ma personaggi come Arrupe e i sei gesuiti uccisi dall’esercito del Salvador nel 1989 hanno finito con il far associare comunemente la Teologia della Liberazione con la Compagnia.
Papa Giovanni Paolo II ne fu un grande oppositore. Accusata di essere vicina al socialismo e di rischiare di creare una frattura tra una Chiesa dei poveri e una Chiesa dei ricchi, i suoi esponenti vennero colpiti da sanzioni disciplinari e Giovanni Paolo II arrivò a nominare personalmente e direttamente il successore di Arrupe nella Compagnia di Gesù, opponendosi al candidato più liberale che era stato scelto dalla Congregazione dell’Ordine. Alcuni considerano la scelta di padre Federico Lombardi, un gesuita, come capo della sala stampa vaticana, il segno di un atteggiamento più conciliante di Benedetto XVI nei confronti della Compagnia. Lombardi sostituì Joaquín Navarro-Valls che era stato scelto da Giovanni Paolo II ed era membro dell’Opus Dei.
I gesuiti e l’Opus Dei
Da diversi anni esiste una specie di rivalità all’interno della Chiesa tra i gesuiti e l’Opus Dei, che non è un ordine ma una “prelatura personale” che al suo interno conta sacerdoti e laici. Si tratta di una storia che risale agli anni Trenta, quando il Superiore Generale dei gesuiti, Wlodzimierz Ledochowski, scrisse una lettera al Papa definendo l’appena nato Opus Dei «molto nocivo per la Chiesa in Spagna» e arrivò a definirlo una specie di “massoneria cristiana”.
Critiche all’Opus Dei ci sono state anche recentemente da parte di singoli esponenti della Compagnia di Gesù – che ovviamente non ha mai preso una posizione ufficiale di critica nei confronti dell’Opus Dei. A quanto hanno raccontato diversi fuoriusciti dall’Opus Dei, al suo interno non ci si riferisce mai ai gesuiti con il loro nome, ma si usa il termine “i soliti”, intendendo “ i soliti noti gesuiti” che fecero soffrire il fondatore, Josemaría Escrivá de Balaguer, fatto santo nel 2002.

giovedì 14 marzo 2013

Un gesto di generosità


Chi mi scrive un racconto in cui un gesto di generosità compiuto dal protagonista viene premiato?

il primo che risponderà 4 punti; secondo  3;  terzo 2.