Mondo Beat nasce nel 1965 a Milano ed è considerato il primo giornale underground italiano. Il primo numero è un ciclostilato e viene distribuito dai ragazzi che viaggiano.Mondo beat :si trovava in via Vicenza, dalle parti di viale Montenero
Dice Gianni De Martino, di Mondo beat : "la nostra idea era di fare quello che allora si chiamava happening, cioè doveva essere una specie di scherzo, doveva essere una contestazione dell'architettura urbana. Ci trasferimmo là il primo maggio del 1967; mentre a Milano si svolgeva il corteo della festa dei lavoratori, noi eravamo a prendere il sole sdraiati sull'erba. Come fu accolto? Fu immediatamente battezzato dal Corriere della Sera come 'Barbonia city'.
Lo slogan era "dateci i sacchi a pelo e tenetevi le bandiere", quindi figurarsi in quel clima di guerra fredda cosa significava uno slogan del genere. C'erano ragazzi italiani: c'erano sia gli intellettuali cioè gli studenti, che poi ritornavano a casa a dormire, sia i ragazzi che viaggiavano, e poi c'erano quelli di un altro livello che erano i ragazzi che avevano problemi familiari. Ci sono sempre stati, quelli che poi venivano chiamati i teppisti, i rockets, i mods. Ricordo che c'era quella scrittrice, Elsa Morante, che scrisse un'articolo: "sono anch'io una capellona, se dovessimo arrestare tutti quelli che hanno i capelli lunghi, allora cosa avremmo dovuto fare con Raffaello...". Lei per difendere i capelloni riportava esempi nobili di personaggi capelluti.
La contestazione non era ideologica, quindi era inscritta nel corpo e nei comportamenti. Era questo il segno forte di rottura, un simbolo forte per volersi differenziare anche dai militari, che avevano i capelli corti. Un segno forte inscritto nel corpo.Il Corriere della Sera parlava della tendopoli di via Ripamonti come del più pericoloso focolaio di defezione morale e biologica della città. I capelloni erano visti come se fossero l'espressione del male assoluto. La tendopoli fu rasa al suolo con i lancia fiamme del SID-servizio immondizia domestica del comune di Milano- e ci furono unità di disinfestazione che intervennero per motivi, si disse, igenico-sanitari. A questo episodio seguirono significativi titoli dei giornali: "rasa al suolo l'immorale tendopoli degli zazzeruti", "finalmente il fuoco purificatore", e altri titoli aberranti di questo genere.
Era la paura del diverso e sembra che non sia cambiato niente; ieri erano i capelloni, oggi sono i diversi, quelli che non sono apparentemente come noi. E ' una costante che si ripropone; a questo proposito ricordo che il discolo post-bellico dell'internazionele situazionista -perchè noi avevamo collegamenti anche col situazionismo- diceva che in questo universo di espansione della tecnica, del comfort si vedevano gli individui ripiegarsi su se stessi, inaridirsi, cioè vivere e morire per dei dettagli. Per vedere ancora oggi tutto questo, basta andare nei condomini di Milano dove non si fanno mettere le rastrelliere per le biciclette, dove si chiede la vigilanza della polizia,......Quindi è curioso che a una promessa di libertà totale, si offra un metro cubo di autonomia individuale, rigorosamente controllato dai vicini.
Lo spazio-tempo della meschinità e del pensiero basso, che caratterizzava Milano in bianco e nero degli anni Sessanta, è ancora oggi presente. "
Lo slogan era "dateci i sacchi a pelo e tenetevi le bandiere", quindi figurarsi in quel clima di guerra fredda cosa significava uno slogan del genere. C'erano ragazzi italiani: c'erano sia gli intellettuali cioè gli studenti, che poi ritornavano a casa a dormire, sia i ragazzi che viaggiavano, e poi c'erano quelli di un altro livello che erano i ragazzi che avevano problemi familiari. Ci sono sempre stati, quelli che poi venivano chiamati i teppisti, i rockets, i mods. Ricordo che c'era quella scrittrice, Elsa Morante, che scrisse un'articolo: "sono anch'io una capellona, se dovessimo arrestare tutti quelli che hanno i capelli lunghi, allora cosa avremmo dovuto fare con Raffaello...". Lei per difendere i capelloni riportava esempi nobili di personaggi capelluti.
La contestazione non era ideologica, quindi era inscritta nel corpo e nei comportamenti. Era questo il segno forte di rottura, un simbolo forte per volersi differenziare anche dai militari, che avevano i capelli corti. Un segno forte inscritto nel corpo.Il Corriere della Sera parlava della tendopoli di via Ripamonti come del più pericoloso focolaio di defezione morale e biologica della città. I capelloni erano visti come se fossero l'espressione del male assoluto. La tendopoli fu rasa al suolo con i lancia fiamme del SID-servizio immondizia domestica del comune di Milano- e ci furono unità di disinfestazione che intervennero per motivi, si disse, igenico-sanitari. A questo episodio seguirono significativi titoli dei giornali: "rasa al suolo l'immorale tendopoli degli zazzeruti", "finalmente il fuoco purificatore", e altri titoli aberranti di questo genere.
Era la paura del diverso e sembra che non sia cambiato niente; ieri erano i capelloni, oggi sono i diversi, quelli che non sono apparentemente come noi. E ' una costante che si ripropone; a questo proposito ricordo che il discolo post-bellico dell'internazionele situazionista -perchè noi avevamo collegamenti anche col situazionismo- diceva che in questo universo di espansione della tecnica, del comfort si vedevano gli individui ripiegarsi su se stessi, inaridirsi, cioè vivere e morire per dei dettagli. Per vedere ancora oggi tutto questo, basta andare nei condomini di Milano dove non si fanno mettere le rastrelliere per le biciclette, dove si chiede la vigilanza della polizia,......Quindi è curioso che a una promessa di libertà totale, si offra un metro cubo di autonomia individuale, rigorosamente controllato dai vicini.
Lo spazio-tempo della meschinità e del pensiero basso, che caratterizzava Milano in bianco e nero degli anni Sessanta, è ancora oggi presente. "
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