Invito tutti a pubblicare un loro racconto estivo.
Comincio io, con questo racconto che ho scritto per un gruppo letterario locale ....ditemi cosa ve ne pare...chi ha letto il mio "Oltre nord-ovest"(solo Elisa?)potrà riconoscere qualche personaggio...
I MONTI DI RODE’
E allora provammo a vedere
com’era Rodè. Saliva Simon canticchiando ,senza ricordare bene le parole,la canzone dei sette nani, poi
si fermava di botto sul ciglio del
sentiero e prorompeva in un
fragoroso”Oh!Lavooraarrrrr!” .
Philip era preso da quei suoi
momenti di entusiasmo, così contagiosi di una vita nuova, fuori dal mondo:
“Fin, questo è il posto che ci vuole!” Sopra le baite di Luera ,
dopo la sommità dei prati, cominciava uno di quei solenni faggeti dove un’ombra
chiara ti fa sentire in una cattedrale naturale.
Dopo l’erta da Crealla, ora il
passo procedeva più facile, sull’uniforme tappeto pulito sotto i faggi.
Informavo Philip che quello era
un gran bosco per funghi, durante gli agosti e i settembri, se la pioggia
sottile seguiva alle vampe della canicola.
Eravamo ai mille metri di Rodè,
l’aria tersa in quel giugno, lasciava intravedere spicchi di lago verso
Cannobio.
Apparve la bella spianata, le
baite,fra cui doveva trovarsi quella di Vittore...un cane pastore prese ad
abbaiare con impeto, e dopo pochi secondi già si ruzzolava con Simon sulla
soffice erba..
Era comparso,l’anziano Vittore, camicia a quadri e
pantaloni di fustagno, lineamenti tagliati con il falcetto:”Dunque siete voi
che volete rimpiantare in Rodè?Eh, proprio a un crucco lasciare la mia baita,
non l’avrei mai pensato..ma certo,chi trova nostri giovani oggi..tutti moto, macchine, e i genitori che glielo
permettono!”
“Veramente Vittore, non sono della Germania, sono belga,
e ho fatte esperienza in varie parti,Spagna, Francia, prima di venire in
Italia..ora a Crealla non ho abbastanza terra per darci da mangiare, devo
allargarmi, produrre più patate, più erba per il bestiame..”
“Eh, qui terra e acqua fanno le
patate più buone , non sarebbe un cattivo affare, ma certo c’è da lavorare,e
trasporti ,qui ,tutto in teleferica! Ma dove tieni i l bestiame, il quel buco
là a basso? Vedi qui che spazio, che aria?”
Ci volle offrire un caffè, prima
di cominciare a parlare di soldi, di conti, di contratti, affitto o di compere!
“Ma su, come va a Crealla? Domenica voglio discendere magari,un bicchierino dalla Franca,una partita
a carte con il Pietro e l’Egidio..e il Lùrenz come sta ? Ce la fa ancora a
caricare la teleferica per Falmenta? Oramai…siamo
tutti vecchi!”
Poi il discorso passò sui fatti
della politica :”Allora ‘sto Berlusconi com’è? Dopo due mesi aveva bell’e preso
tutto..insomma, han fatto fuori il Craxi, ma han trovato un altro padrone…”
Mentre Vittore cercava
d’informarsi, Philip contemplava quello che stava vedendo come il prossimo
regno pastorale personale..risposi che nel giro di un anno c’era stato un
cambiamento della classe politica anche
in Italia, come accaduto oltre cortina..ma Vittore si era fatto assente, o assorto..poi cominciò a raccontare.
“Cinquant’anni sono passati,
giusto cinquant’’anni fa ..Allora anche qui venne l’inferno! Avevo quindici
anni e, dio bono, era appena cominciata la stagione,lo vedi quel fusto?porta
ancora le tacche, da giugno a settembre segnavo i giorni che passavano,prima di
poter scendere! Ma mio nonno quell’anno mi
aveva detto che ero fortunato a stare
quassù, che giù in valle non era aria, non parliamo poi di Cannobio.
Stavo dunque qui, giornate dopo
giornate,con il cane , le pecore,ogni tanto m’arrampicavo fino ad Archia..fu in
quei giorni di giugno che i tedeschi
portarono il terrore …”Arca”, “Marco”, “Selva”, quelli della “Battisti” erano
proprio sul piano e il massiccio attacco li fece a pezzi..Io stavo qua sotto,
ma per paura di notte non dormivo neanche più in baita, avevo i l timore che m
arrivassero qui nel sonno…mi ero portato fuori, nel bosco,ero andato un bel po’
in là in dentro e avevo costruito una
specie di capanna , coperta di frasche, lì chiudevo gli occhi…
Un bel momento sento tutto un
frusciare di fogliame, ma spesso, e salta fuori uno, gli occhi fuori dalla
testa ..spaurito non mi sono neanche mosso, ho visto subito che non era un crucco…Era
capitombolato giù da Archia, non sapeva se l’avessero visto “dammi qualcosa da
mangiare, non ce la faccio più, li hanno ammazzati tutti!” Nel buio che si rischiarava per l’
alba lo portai alle baite, avevo il pane della settimana,un po’ di formaggio…ma
non aveva ancora finito di masticare un boccone, che cominciammo a sentire urla e comandi, quei terribili ordini..mi
affaccio per vedere se Ultimo-quello
era il suo nome, me l’aveva detto poco prima-faceva a tempo per correre al
bosco, ma vedo che già dei tedeschi hanno circondato l’alpe..allora lo infilo
nello stabbio, con il gregge.
Arrivano quattro, cinque, dietro
ce n’è una bella fila..alzo le mani…uno parla abbastanza l’italiano ,mi mette
la mano al collo, ricordo quel viso grosso, quegli occhi rossi, alterati “Si è
nascosto qui, l’hai visto passare?” Non riesco a parlare, faccio segno di no, e
punto il dito verso il basso ,poi a
destra..dentro di me ,non voglio che poi vadano a far del male a Crealla, verso
Socraggio,voglio indicare…
Mi piazza un man rovescio;appena
dopo uno mi stringe ,ha gli occhi da
pazzo, mi si fa addosso..ma il capo lo
ferma, mi tira da parte contro il muro … “Ora vedremo…frugare dappertutto ,e attenti
che ha ancora l’arma..”
Dopo aver rovistato in baita-ma
non è che ci fosse tanto spazio-vanno allo stabbio ,tirandomi dietro come uno
straccio “Fai uscire le pecore e non fare scherzi o kaput!”
E’finita. Cosa posso fare? Sfilo
il paletto, e i cani dietro di me,
ordinati, come bravi ufficiali, svolgono bene il loro dovere, il gregge esce
compatto e smamma verso un angolo della radura…i soldati entrano, ma non sento
niente..escono fuori”Qui non c’è nessuno, questo ragazzo sincero, l’altro è
andato in giù di corsa, andiamogli dietro, non ci può sfuggire”.
Mi danno uno spintone, uno un
calcio nel didietro , e via ,in un batter d’occhio non c’è più nessuno…Guardo
nello stabbio, che è liscio e puzzolente di sterco di pecora, ma non tanta di
esserci nascosto sotto.. Ultimo non c’è..ma che, il Dio dei partigiani l’ha
reso invisibile…esco, sbalordito, spaventato, l’inferno è passato o tornerà? Mi
viene una caga che prendo un fiasco
d’acqua,un pezzo di pane, e guardando bene che non ci sia più nessuno intorno,
facendo dei giri, m’inoltro nel bosco, laddove si fa via via più denso, verso la
sponda più nascosta dove ho la capanna.. mi pigliasse un colpo, viene fuori una
sagoma che si sbraccia perché non urli,
vedo subito che è Ultimo…”ma dio bono, come hai fatto a venir fuori, da dove sei
passato..oramai ti credevo preso !”
Ci volle un po’..fiatone tutti e
due ,ci sdraiammo nella capanna, a riprenderci..parlava piano , a voce
bassissima-non c’era da fidarsi- ma a poco a poco sembra sereno, come quello
che ce l’ha fatta, che l’ha fatta in barba ..e mi racconta una storia che non starebbe né in cielo né in terra, se
non è che fosse successa davvero.
Mi va a prendere Omero, sono un
povero ignorante, ma Don Bruno ogni tanto ci raccontava qualche storia.. “Quando
Odisseo e i suoi vennero presi prigionieri dal ciclope Polifemo, l’eroe greco riuscì ad accecarlo, ma sarebbe
stata la fine lo stesso, perché un masso enorme serrava l’entrata della grotta ..per fortuna erano
chiusi insieme al gregge, e le pecore, gli arieti, arrivò il momento che
cominciavano a belare per la fame e la sete..allora Polifemo ,il mostro che li
aveva a cuore, da cieco dovette spostare il masso per farli uscire, stando attento
a che non uscissero i greci.. ma non riuscì ad acchiapparne nemmeno uno ,perché
si erano attaccati sotto le pance , e le bestie erano serrate in modo tale che
passarono senza essere sentiti…così ho
fatto io, con tutte le mie forze mi sono teso di sotto, con le mani attaccato
al pelo e con le gambe rigide e
sollevate, finché le bestie sono arrivare verso i l bosco, dove sono strisciato
fino a qui.. grazie ai cani che le hanno
tenute in gruppo, serrate…”
Fu così che si salvò Ultimo,
superstite della Battisti…la capanna per quasi
un anno fu il suo rifugio ,non volle tentare altra sorte “Questa
maledetta guerra finirà!”, si convinceva.
Finché un giorno dell’aprile
seguente,una mattina Don Bruno diede strappi alle campane…e da Falmenta,
Socraggio, Gurro, Cavaglio, Spoccia, fu tutto un concerto…e Ultimo scese a
Crealla ,e si fece festa; ma non volle andare subito a Cannobio, né a
Milano..per un po’ continuò a raggiungere furtivo la capanna “là si sta bene”
diceva .Poi tornò a Intra, dove vive ancora..negli anni, fece il maestro di
scuola, e mi diceva che spesso raccontava la storia di Odisseo e Polifemo ai
bambini..la storia che gli aveva slavato la pelle !”
Il pomeriggio di giugno se ne
andava..presero accordi, Philip e Vittore, mentre Simon cercava nel bosco la
capanna di Ultimo..scendemmo poi a Crealla.
L’anno dopo Philip si trasferì in
Svizzera,a Camedo; quello di Rodè rimase un progetto,uno dei tanti, di un
angolo di pace che un giorno lontano di giugno l’inferno non riuscì a violare..
Ho letto il suo racconto e l'ho trovato interessante. Vorrei proporle un estratto di un libro dello scrittore che preferisco.
RispondiEliminaNel silenzio di piazza Anita Garibaldi l’aria è rimasta ferma. I minuti scorrono lenti come il sangue che esce dalla ferita alla nuca e la vita ha esattamente quel residuo di ritmo e di gocciolante consapevolezza. Sono secondi di assoluta e tremenda lucidità.Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. E non sono mai quelle che consideriamo importanti durante la vita. Non saranno i viaggi confinati nelle vetrine delle agenzie che rimpiangeremo, e neanche una macchina nuova, una donna o un uomo da sogno o uno stipendio migliore. No, al momento della morte tutto diventa finalmente reale. E cinque le cose che rimpiangeremo, le uniche reali di una vita. La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda, dalle false attese nostre, per curare magari il risentimento di ferite mai affrontate. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni. Vorremmo chiedere scusa a tutti, ma non c’è più tempo.Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza "ti amo" a chi avevamo accanto, "sono fiero di te" ai figli, "scusa" quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. Eppure il dolore a volte ce lo aveva ricordato che nulla resta per sempre, ma noi lo avevamo sottovalutato come se fossimo immortali, rimandando a oltranza, dando la precedenza a ciò che era urgente anziché a ciò che era importante. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudine in vita? L’abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall’abitudine, dall’accidia, dall’egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori. Quello che l’adolescente scorge nell’addensarsi del suo corpo: promesse. Quello che il giovane spera nell’affermarsi della sua vita: amori.Lui non rimpiange nessuna di queste cose. Le ha avute tutte nell’amore. Per lui era già tutto reale, per questo sorride nell'attraversare la soglia. Aveva un solo rimpianto...
Alessandro d'Avenia-Ció che inferno non é
Belli entrambi gli estratti, sia il suo che quello riportato dalla mia compagna...Provvederò a pubblicarne uno anche io quando verrò ispirata da una lettura estiva!
RispondiEliminaUn invito a tutti a continuare, come Ester e Ilaria... non aver fastidio della vera" buona scuola" che prima di tutto è comunicazione, partecipazione di sensazioni, pensieri, culture...
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