sabato 14 settembre 2019

Appunti sul presente stato delle migrazioni: da Biamonti ad Agamben, e Guediguian

Appunti sul presente stato delle migrazioni: da Biamonti ad Agamben, e Guediguian

L’occasione di questi appunti è stata la visione del film del regista armeno-francese Robert Guédiguian ,”La casa sul mare” (Venezia, 2018), ambientata nel suo abituale scenario, la costa di Marsiglia. Per la sua analogia con la costa ligure,il tema del film richiama quelli di Francesco Biamonti, compianto scrittore di san Biagio della Cima, dei romanzi ambientati nel ponente ligure, ai confini di Ventimiglia ( “Vento largo”,”L’angelo di Avrigue”).
Diceva Biamonti : «Il confine non è tra Italia e Francia: coinvolge tutto il Mediterraneo. Ci sono tre grandi personaggi nel Mediterraneo: il Golfo di Genova (Montale); il Golfo di Marsiglia (Valéry), e il Golfo di Orano (Camus) che hanno creato una civiltà letteraria legata alle cose, in cui le cose parlano al posto dell'uomo. I loro paesi diventano aspri e emblematici di una civiltà umana legata a una sorta di corrosione dell'esistenza, quella che provoca il salino. È una civiltà data dalla luce e dal sapere, dalla lucidità e dalla corrosione.»(Francesco Biamonti, in F. Panzeri, Biamonti: inseguendo la luce, Avvenire, 22 gennaio 1998, pp. 23-24)
Una civiltà di costa e di mare, di borghi un tempo e ora parzialmente pittoreschi, di prezioso e ridotto entroterra di macchia mediterranea e di terrazze lavorate dall’uomo con fatica, sottratte alla roccia; una civiltà che va sfumando costretta dalle infrastrutture che l’hanno aggredita sia pur con l’intento ,che non si preoccupa delle conseguenze, di migliorare comunicazione e commercio;i viadotti,lo sviluppo e l’affastellamento urbanistico che si ravviva per una stagione e persiste fantasmagorico per il resto del tempo, soffocando le abitazioni modeste degli abitanti superstiti, i residenti che lavorano in città e i pochi rimasti pescatori e contadini.
Le città con i loro riflessi di miraggi di splendori architettonici e artistici antichi , Marsiglia e Genova come appaiono dal mare ,i loro centri storici solo parzialmente rilevanti nell’assedio di bar ,ristoranti,negozietti di marchandises varie, rumoreggianti di veicoli inquinanti ecc.
Nel film di Guediguian, come nei preziosi romanzi brevi di Biamonti, sono i nativi o abitanti di tradizione, paesaggio umano statico che sopravvive nell’ambito del borghetto sul mare, che hanno magari l’orto nell’entroterra,e i parenti che sopraggiungono per l’occasione recando antiche o nuove problematiche di rapporti, che assistono al passaggio delle nuove ombre migranti, i clandestini provenienti dall’Africa o dall’Oriente medio o indiano , sopravvissuti ad odierne odissee popolate da incubi dei novelli lestrigoni o ciclopi.
Quelle che furono ombre di migranti nei romanzi di Biamonti, evocative ed enigmatiche nei significati volutamente sottaciuti e intravisti, si materializzano nel film di Guediguian nelle persone di una ragazzina e dei due fratellini, curdi o siriani , sopravvissuti ad una delle tante storie di passaggi clandestini e al decesso del parente adulto che li portava con sé.
I piccoli disorientati, bloccati nel vicino entroterra selvatico, che sopravvivono stentatamente grazie all’ingegno della maggiore,Ines,vengono accolti e protetti dalla famiglia riunita intorno al padre colto da ictus, dei tre fratelli protagonisti, l’uno rimasto sul posto come ristoratore onesto e legato alle tradizioni del mare e di un turismo umano, l’altro scrittore in crisi con la ragazza troppo giovane e vivace per lui, e infine la sorella, attrice con il trauma della perdita della figlioletta, proprio nel porticciolo davanti a casa, e da qualche vicino e amico.
L’ospitalità e l’accoglienza dei giovanissimi migranti ha l’effetto di rivitalizzare la solidarietà dei fratelli, altrimenti incrinata dalle tipiche recriminazioni e risentimenti che accompagnano spesso i rapporti occidentali, risvegliando addirittura da un probabile sonno senza futuro l’anziano genitore, in una scena carica di simbolo.
Ho trovato che i profili espressionisti disegnati fugacemente, e insieme efficacemente da Biamonti nei suoi passaggi,hanno qui trovato una storia d’impressione…l’inespresso,o il non espresso al di là di qualche rarefatto tocco pittorico dello scrittore di San Biagio della Cima, acquistano un’identità,inizialmente chiusa nel mistero che mette di fronte esseri che vengono da un altrove, con lingue estranee di cui si intende qualche limitata espressione; si svela un poco finchè i mondi lontani s’avvicinano, magari per un gioco antico che tutti al mondo conoscono.
Traversa allora questa vita sradicata, con l’energia che la reca per chilometri di deserti, mare, montagne e steppe, là dove c’è troppo spesso un occidente europeo non solo più evoluto, ma anche ridondante di cose, arredi,orpelli, piuttosto esangue e prevedibile , benestante nelle elite a loro volta sempre meno visibili, nella gente media legata in difesa delle piccole proprietà , in quel popolo a volte presupponente per la nuova alfabetizzazione televisiva o del web , a volte risentito per ciò che manca,per ciò che invidia a chi vede avere di più.
Ciò che ricompare è la nuda vita di Giorgio Agamben ,sono i ritratti appena accennati, ma non importanti, non la religione o l’etica che dividono , non l’appartenenza al popolo di Maometto, ciò che ridiventa sovrastruttura delle comunità che si riformano nelle grandi o piccole città dalla Scandinavia al Mediterraneo , passando per i grandi Paesi mitteleuropei, comunità che ripetono le idiosincrasie delle società varie, in una commistione con gli stili occidentali o in un'avversione comunque sterile e contradditoria.
Ciò che importa, ciò su cui riflettere da principio sono le origini di queste apparizioni individuali, gli esseri umani che compaiono di qua del mare in assoluta povertà, proletari e prole con solo il loro essere privo di altro, e l’umanità che possono riaccendere laddove è spenta e disposta a nutrirsi non del veleno del rancore e della xenofobia, ma di curiosità e fratellanza con il diverso, di comunicazione verso chi si è spogliato di tutto, la nuda vita di Agamben comparsa in questa forma agli orizzonti della civiltà capitalista attuale...


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3 commenti:

  1. "Nuda vita indicherebbe, in maniera fin troppo facile a dirsi, un ipotetico grado zero, o grado minimo della vita, vita in quanto tale, “semplice esistenza biologica”, come ci hanno detto, e richiamerebbe immediatamente lo spettro di qualcosa d’altro, una vita vestita e presa in commerci di ogni tipo, più o meno umana, più o meno parlante, la vita che conosciamo e che incontriamo ovunque, e di cui la nuda vita rappresenterebbe, appunto, il residuo, o il fondamento, o la parte più intima."
    scritto di Andrea De Santis sul pensiero di Giorgio Agamben.

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  2. La nuda vita (nient’affatto da confondere con la vita naturale) è, dunque, nient’altro che il membro negativo della dialettica Del fondamento,esclusione inclusiva - nient’altro che ciò che Origina da questa stessa dialettica in seno alla sfera del Politico, allorché questo si concepisca come costituzione o fondazione (Agamben dirà perciò, in più luoghi: «finzione»)di un inizio,dove ciò che si dialettizza come fondante è il potere sovrano... questo, precisamente, è ciò che anima lo stato d’eccezione - quello hitleriano (permanente, dal 1933 al 1945) come quello attuale, nel quale lo strapotere giuridico, assolutizzantesi nei ‘diritti civili’ piuttosto che nei ‘diritti naturali’, non tiene il passo rispetto a quella nuda vita che pure mira a coprire e ad avvolgere, costretto a tentare di fronteggiare le figure per esso spettrali, eppure così tenebrosamente presenti nel suo stesso seno, del rifugiato, del clandestino, dell’emigrato; figure dinanzi all’ingiunzione delle quali lo ius non può che applicare ciò che lo costituisce e che, così, viene allo scoperto: appunto l’eccezione. Dinanzi alla dialettica originaria del fondamento, dinanzi alla soggettivazione politica totale della nuda vita, ‘Stato di diritto’ e ‘stato d’eccezione’ stanno in inquietante contiguità e in sostanziale prossimità.(Matteo Acciaresi)

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  3. Anche se in maniera eterogenea, è ormai da tempo che si è imposto nel dibattito pubblico il concetto di ‘nuda vita’ (bloβes Leben), utilizzato perlopiù in contrapposizione a una vita politicamente riconosciuta e che, quindi, ha valore. La ‘nuda vita’ è la vita offesa, che non può porre alcuna resistenza di fronte alla violenza del diritto statale – quella Gewalt dove, in un’endiadi mancata, si trovano racchiusi entrambi i termini. Infatti, per la depoliticizzazione e spoliticizzazione a cui viene sottoposta, essa è la vita sacrificabile.(Giulia Angelini)

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