Siamo negli anni’90 inoltrati, nelle valli e sulle Alpi lepontine, nel nord-ovest italiano. La montagna è un territorio, dove s’incrociano storie diverse, quella del fiammingo Paul , emigrato dal Belgio con la sua numerosa famiglia ,in una lunga peripezia montana, dai Pirenei alle Alpi orientali,alla ricerca vana di un proprio regno pastorale. Leonardo, il personaggio cardine di questo romanzo, lo incontra e aiuta nei due anni trascorsi nelle valli lepontine, divenendone amico. Così come è il mentore di Massimo, il protagonista dell’altra storia, binaria, quella di giovani alpinisti : una coppia locale, l’altra proveniente da Torino, che s’incrociano e si inseguono in una doppia, tragica impresa, accaduta fra i primi giorni di gennaio e l’estate del ‘94 sulle cime del Rosa. I fatti narrati sono per lo più reali, con variazioni o aggiunte romanzate. I nomi, mutati, per convenienza.
Disponibile su Youcanprint e dalle prossime settimane sui noti store
lunedì 3 dicembre 2018
domenica 25 novembre 2018
La manovra politico-economica italiana e l'Europa
Per comprendere più a fondo ,ho trovato interessante questo intervento comparso sul sito Effimera.org
Cose che si devono sapere sulla bocciatura europea della manovra italiana – di Andrea Fumagalli e Roberto Romano
Mercoledì 21 novembre 2018 la Commissione Europea ha bocciato la manovra economica italiana per il 2019. È la prima volta che succede da quando, nel 1999, si è costituita l’Unione Monetaria Europea. L’accusa è di violare le norme relative al controllo del bilancio pubblico. Non si fa riferimento al rapporto deficit/Pil (il cui livello viene fissato al 2,4% negli obiettivi del Def italiano, quindi al di sotto del livello massimo consentito dal Patto di Stabilità – 3%) ma al mancato rispetto del rapporto debito/Pil (il cui limite massimo del 60% è più che doppio nel caso italiano), con l’argomentazione che proprio per l’elevato debito pubblico, l’Italia deve intraprendere politiche di forte riduzione anche del rapporto deficit/Pil. Se, quando l’euro è nato, 20 anni fa circa, il 30% dei paesi non rispettava quest’ultimo parametro (Italia, Grecia, Belgio…), oggi il loro numero è più che raddoppiato (alla lista si sono aggiunti Spagna, Portogallo, Francia…). Eppure, è l’Italia il primo paese a rischiare la procedura di infrazione. In questo articolo si analizzano le ragioni del pregiudizio europeo sull’Italia – che non debbono fare dimenticare le ombre sulla manovra italiana stessa
*****
In un recente articolo pubblicato su Effimera relativo al “Grande business sul debito italiano” e in un contributo di Giovanni Giovannelli, si era posta la necessità di indagare non solo le cause dell’incremento dello stesso debito e le pretese delle autorità europee di “governare” il debito italiano, ma anche affrontare il secondo punto dello scontro in atto tra governo gialloverde e Commissione europea. Ovvero non solo il target del 2,4% del rapporto deficit/Pil ma le stime della crescita economica italiana del 2019, che tale target dovrebbero garantire.
Lo facciamo ora, limitandoci solo alle previsioni di crescita per il 2019.
Secondo il Def governativo, l’economia italiana dovrebbe crescere nel 2019 all’1,5%. Tale crescita dovrebbe rendere realistico un rapporto deficit/Pil in crescita ma non superiore al 2,4%. A tal fine, il governo italiano chiede un incremento del deficit (numeratore del rapporto) di circa 27 miliardi di euro su un valore della manovra complessiva intorno ai 35,7 miliardi. Si tratta di una cifra che potrebbe essere compensata da una crescita, appunto, del Pil dell’1,5% (ovvero, un incremento guarda caso intorno ai 27 miliardi di euro), con un incremento del rapporto debito/Pil che si giustificherebbe prevalentemente per la spesa per interessi.
Già a settembre 2018, tale previsione sembrava non incontrare le stime degli analisti: secondo quanto riportato nel report di Banca d’Italia, infatti, lo stesso istituto di Via Nazionale prevedeva a luglio un +1,2% nel 2018 e ora solo un +1% nel 2019.
Nel mese di luglio 2018, la Commissione Europea (CE) ha rivisto al ribasso le stime sul Pil dell’Italia: per il 2018 vengono limate a +1,3% (da +1,5% previsto a maggio) e nel 2019 a +1,1% (da +1,2% di maggio).
Più recentemente (ottobre 2018), le stime per il 2018 vengono ulteriormente riviste al ribasso al +1,2%.
Si tratta di un dato che viene confermato anche dai dati Istat relativi all’andamento reale del Pil italiano nel III° trimestre 2018, che vede una crescita nulla (0,0%), con un andamento su base annua che scende al + 0,8%. Ed è notizia di questi giorni, la revisione della crescita del Pil per il 2018 a +1,1%.
Come se non bastasse, a fine ottobre 2018 si aggiunge il Fmi, che stima una crescita del Pil del +1,2% nel 2018 e del +1% nel 2019[1]. Ma, a differenza di altre stime, le previsioni del Fondo prevedono anche un calo del debito pubblico italiano dal 131,8% del Pil nel 2017 al 130,3% quest’anno e al 128,7% nel 2019: una traiettoria discendente che, secondo il Fmi, dovrebbe proseguire fino al 2023 quando si assesterà al 125,1%.
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Dai dati presentati, tutti di fonte ufficiale, si può notare come vi sia un sostanziale accordo nel ritenere che una previsione di crescita del Pil del +1,5% nel 2019 sia come minimo sovrastimata. Ed è su questa convergenza di previsioni che i media mainstream e le forze politiche più sensibili ai diktat della finanza (Pd in testa e Forza Italia a ruota) auspicano a gran voce una modifica del Def: chiedendo la rinuncia all’introduzione del cd. reddito di cittadinanza (Forza Italia) e la rinuncia alla riforma della legge Fornero (Pd e Boeri, presidente dell’Inps). Tali misure comporterebbero una spesa di oltre 16 miliardi di euro, la cifra necessaria per riportare il rapporto deficit/Pil al di sotto del 2%.
Tuttavia queste prese di posizione sono viziate da un pregiudizio ideologico piuttosto che da un’approfondita analisi dei dati. Sia ben chiaro che le posizioni politiche in materia di immigrazione, repressione sociale, riduzione dei diritti civili e di cittadinanza, aumento dei poteri coercitivi di questo governo, non ci trovano assolutamente consenzienti e ci collocano su un’opposizione dura e radicale. Ma, per quanto riguarda gli aspetti economici, riteniamo che alcune osservazioni più approfondite siano necessarie:
- Nella previsione di crescita del Fmi, della CE e della Banca d’Italia non è chiaro se siano stati contemplati gli eventuali effetti sulla crescita delle misure che si vogliono adottare nel Def a sostegno della domanda (in particolare, gli effetti della misura del cd. reddito di cittadinanza). Normalmente, i calcoli di previsione sulla dinamica del Pil vengono effettuati sulla base di modelli econometrici che possiamo definire “retroattivi”. Che significa? Semplice: si tratta di simulazioni economiche che si basano su modelli teorici, per lo più effettuati sulla base della metodologia DSGE (Dynamic Stochastic General Model), all’interno dei quali le relazioni tra variabili macroeconomiche sono, seppur in modo stocastico, predeterminate. Ciò significa che eventuali “comportamenti anomali” di alcune variabili (consideriamo ad esempio il consumo) sono descritti da shock esogeni (nel caso del consumo, shock di domanda), e non vengono quindi considerati effetti strutturali. Facciamo un esempio: l’Istat stima che una misura, seppur condizionata e limitata, come il cd. reddito di cittadinanza, in base “a un aumento dei trasferimenti pubblici pari a circa 9 miliardi”, avrà un impatto, una tantum, dello 0,2% sul Pil. “Questa reattività potrebbe essere più elevata, e pari allo 0,3%, nel caso in cui si consideri l’impatto del reddito di cittadinanza come uno shock diretto sui consumi delle famiglie”. Questo impatto sul Pil è stato preso in considerazione? Se non lo fosse, le previsioni, mediamente intorno al +1,1%, potrebbero arriva al +1,3%, +1,4%. A ciò si deve aggiungere la stima degli effetti della riforma della legge Fornero sulla dinamica occupazionale. In questo caso l’incertezza è sicuramente maggiore. Il governo sostiene che ridurre l’età del pensionamento ha come obiettivo l’incremento del turn-over per l’inserimento nel mondo del lavoro dei più giovani. Non ci sono dati al riguardo ed è quindi difficile stimare l’impatto dell’eventuale turn-over. Al riguardo, occorre tenere conto che, nel contesto di scelte strategiche di breve periodo e altamente volatili, data l’attuale situazione congiunturale, il pensionamento anticipato verrà probabilmente utilizzato dalle imprese per dismettere contratti di lavoro stabile o senza alcuna sostituzione oppure via inserimento di lavoro precario. Sostanzialmente c’è il rischio che la sostituzione non sia tra lavoratore anziano e lavoratore giovane, piuttosto tra salario privato e pensione pubblica. Di conseguenza, gli effetti sulla crescita del Pil saranno sicuramente assai ridotti[2].
- Nei modelli econometrici di previsioni basati sulla metodologia DSGE, nel calcolo della stima sulla crescita dl Pil, svolge un ruolo importante il cd. output gap, ovvero la differenza (gap) tra Pil potenziale e Pil reale. Il primo indicatore definisce il massimo livello di Pil raggiungibile se tutti i fattori produttivi fossero impiegati al meglio. Il secondo il valore reale del Pil nel corrente anno. Maggiore è la differenza, maggiore è la sotto-utilizzazione dei fattori produttivi e viceversa. Se l’indebitamento netto strutturale è, assieme al debito, il principale criterio di valutazione della solidità dei bilanci pubblici, la stima dell’output gap non è ininfluente. Tanto più alto è il gap tra Pil potenziale e Pil reale, tanto più basso sarà il rapporto tra indebitamento nominale e Pil potenziale. Quest’ultimo dato consente anche di “misurare” la sostenibilità del debito pubblico nel medio-lungo periodo: infatti, se il Pil reale è molto distante da quello potenziale, ciò significa che il paese non ha sfruttato al massimo il suo potenziale e quindi che ci sono spazi per un incremento del Pil che possa ridurre lo stesso rapporto debito/Pil. Ora, è poco noto (se non agli addetti ai lavori, che però su questo punto tacciono) che le metodologie econometriche sottese ai modelli del Fmi e della CE partoriscono dei risultati molto diversi circa la stima del Pil potenziale.
La ragione sta prevalentemente nel fatto che il modello della CE è assai rigido e non considera alcune variabili. Non solo l’Europa è caratterizzata da un’ineguale distribuzione della crescita e dell’occupazione che la espone periodicamente a shock, con seri rischi per la sostenibilità del progetto europeo, ma il modello di misurazione dell’output gap della CE amplia le differenze tra i paesi. Per calcolare il pieno utilizzo del fattore lavoro, la CE utilizza il Nawru (Non-Accelering Wage Rate of Unemployment[3]), mentre l’Ocse e il Fmi utilizza il Nairu (Non-Accelering Inflation Rate of Unemployment[4]).
Il primo definisce la piena occupazione a quel livello tale da non incrementare i salari; il secondo invece a quel livello tale da non aumentare i prezzi. Per L’Italia, la scelta della CE è particolarmente penalizzante e austera. Negli ultimi anni, infatti, la dinamica dei salari italiani è stata del tutto stagnante. Ciò significa che, poiché i salari sono stabili, il mercato del lavoro è in equilibrio e che, quindi, gli attuali livelli occupazionali in Italia sono quelli “naturali”? Difficile crederlo, visto il tasso di disoccupazione attuale è stabile all’10%. Eppure la acritica adesione alla teoria liberista dell’equilibrio economico generale dinamico (DGE) porta a questa conclusione, a dimostrazione che l’econometria è tutto tranne che una scienza esatta.
Il risultato finale è che, utilizzando l’output gap dell’ultimo rapporto del Fmi e della CE si osserva una differenza nel Pil potenziale assai rilevante. Entrambi stimano nel triennio 2017-19 una riduzione dell’output gap (risultato già di per sé opinabile) ma la differenza tra i due modelli è ragguardevole. L’output gap del Fmi è pari a +1,7% per il 2017, a +1,2% per il 2018 e +0,8% per il 2019; l’output gap stimato dalla CE è pari a +1,0% per il 2017, a +0,3% nel 2018 e, addirittura, a -0,3 per il 2019 (il che significherebbe che il livello del Pil reale risulterebbe superiore a quello potenziale). Per il 2019, quindi, il Pil potenziale stimato dal Fmi è maggiore di quello della CE per un punto di Pil (quasi 18 mld di euro). Non proprio decimali. Qualora il governo italiano utilizzasse il modello del Fmi avrebbe maggiori risorse da spendere per la crescita, mentre nel modello europeo il paese si troverebbe in un regime di piena occupazione (!) e con dei seri rischi di inflazione.
* * * * *
A parte la considerazione che l’econometria non è mai stata adeguata per governare l’economia e diventa stravagante nelle mani di chi pensa che l’Europa e l’Italia siano da tempo usciti dalla crisi, sino a mettere in discussione l’intero impianto utilizzato dalla CE per “giudicare” i bilanci degli Stati, occorre invece riflettere sui margini di crescita di cui l’economia italiana potrebbe godere.
Dall’analisi effettuata si può concordare sul fatto che la previsione di crescita del Pil pari a +1,5% nel 2019 sia sovrastimata e difficilmente raggiungibile. Tale conclusione deve essere però accompagnata dalla constatazione che i margini di crescita potenziale dell’economia italiana sono più ampi da quelli sottostimati dalla CE. La questione dunque è l’analisi di quali politiche potrebbero (e dovrebbero) essere adottate per meglio sfruttare questi margini di crescita. La discussione si sposta quindi da quella relativa ai vincoli quantitativi (a cui si aggrappano i pasdaran dell’equilibrio di bilancio e dell’austerity, Pd e Repubblica in testa), a quella relativa agli aspetti qualitativi della crescita e della distribuzione del reddito.
Un dato certo emerge: la necessità di adottare una politica espansiva in grado di rovesciare i due tempi della politica economica finora perseguita: prima l’austerity e poi la crescita. Abbiamo visto che nonostante il bilancio italiano abbia maturato negli ultimi 25 anni quasi 800 mld di euro di avanzi primari, il rapporto debito/Pil è comunque cresciuto, proprio per la scarsa dinamica del numeratore. E ora di sperimentare politiche economiche che, pur favorendo inizialmente un incremento del debito, creino però i presupposti per una successiva ripresa dell’accumulazione. Ricordiamo che una delle regole del capitalismo è che non c’è accumulazione senza indebitamento.
La vera domanda da porsi diventa così la seguente: le misure adottate dal Def sono sufficienti a creare i presupposti per la ripresa dell’accumulazione? L’assenza di misure di struttura – investimenti pubblici e investimenti in Ricerca e Sviluppo – a vantaggio di misure correnti pone degli interrogativi circa la solidità della politica economica dell’attuale governo. Come più volte ricordato, domanda e offerta sono due facce della stessa medaglia che nel tempo cambiano il contenuto tecnologico con la crescita del reddito (Legge di Engel)[5]. Sebbene il Paese abbia un urgente bisogno di misure capaci di ridurre la povertà, la politica economica dovrebbe perseguire il governo dei grandi cambiamenti di struttura che il Paese deve affrontare. E tra questi vi è soprattutto la necessità di politiche strutturali a sostegno della domanda, non solo di investimenti ma anche di consumi. A quest’ultimo riguardo, potrebbe essere un buon inizio proporre l’introduzione di un salario minimo e forme di reddito di base che non si declinino come forme di coazione al lavoro e di controllo sociale ma piuttosto in grado di favorire un più ampio accesso alla sicurezza sociale e una maggior libertà di scelta per incrementare quelle economie di apprendimento e di rete che oggi stanno alla base della crescita della produttività sociale. La critica maggiore che facciamo alla Legge di Bilancio 2019 non è l’innalzamento del rapporto deficit/Pil ma proprio l’assenza di una politica economica coerente con le sfide che il Paese deve affrontare, con una avvertenza: i precedenti governi non hanno mostrato una sensibilità molto diversa sul tema.
P.S. La rigidità della Commissione Europea nel bocciare il Def e accettare, in cambio, solo revisioni che hanno come obiettivo il rifiuto di adottare politiche, seppur limitate, di sostegno alla domanda, in nome dell’ortodossia che solo politiche di sostegno alle imprese sono accettabili, favorisce la crescita dell’incertezza e fomenta l’attività speculativa. I dati più recenti sulle vendite dei titoli di stato italiani mostrano come sia in atto una convenzione speculativa al ribasso che alimenta lo spread, oramai stabilmente sopra quota 300. Si vende oggi, alimentando la svalutazione dei titoli di Stato, per comprarli poi domani ad un valore più basso e lucrare la differenza. Tale gioco speculativo, che abbiamo già visto operare più volte (in Italia nel 2011 e in Grecia nel 2010, per opera, rispettivamente, della Deutsche Bank e della Goldmann Sachs), è favorito proprio dalla rigidità europea. Prima si attira il lupo e poi si grida: al lupo, al lupo[6]! Ma gli effetti non sono indolori. Il rischio, oltre all’aumento della spesa per interessi, è l’aumento dei tassi d’interessi sui prestiti e sui mutui e la svalutazione del capitale sociale delle banche italiane, già di per se stesse sottocapitalizzate per l’insipienza dei propri dirigenti e la commistione con gli apparati politici. È la classica “spada di Damocle”, o in altri termini, il “bieco” ricatto dei potentati finanziari, contro i quali le illusioni populiste e sovraniste rappresentano solo una semplice foglia di fico. È possibile oggi contrastare il potere dell’oligarchia finanziaria? Qui sta il punto.
NOTE
[1] Si tratta dei tassi di crescita più bassi nell’Ue, nonostante la revisione al ribasso delle stime per Germania e Francia.
[2] Al momento non c’è nessun provvedimento legislativo ed è difficile valutare chi, che cosa e come interverrà la riforma previdenziale. Inoltre, le stime del governo sui costi, come quelle del presidente dell’INPS, sono parziali. Sul punto si possono leggere i contributi di Felice Roberto Pizzuti su www.sbilanciamoci.info: ad esempio qui.
[3] Tasso di disoccupazione che non fa aumentare i salari. Per avere un quadro completo si può consultare qui. È disponibile anche il modello econometrico applicato che utilizza la CE ed è riferimento per i ministri competenti.
[4] Tasso di disoccupazione che non fa aumentare i prezzi. Per una rassegna sul tema si veda: Economics Department OCDE, 2009, ADJUSTMENTS TO THE OECD’S METHOD OF PROJECTING THE NAIRU.
[5] R. Romano e S. Lucarelli, 2017, Squilibrio, Ediesse.
[6] In realtà, il parallelo non è corretto: i lupi sono animali decisamente più buoni e accoglienti!
lunedì 29 ottobre 2018
Sulla “questione degli immigrati"
Ágalma
Guy Debord – Note sulla “questione degli immigrati” (inedito del 1985 pubblicato in Ágalma 34):
Tutto è falso nella “questione degli immigrati”, proprio come in tutte le questioni apertamente poste nella società attuale; e per gli stessi motivi: l’economia, – ovvero l’illusione pseudo economica – l’ha provocata, e lo spettacolo l’ha elaborata.
Si discute solo di stupidaggini. Bisogna tenere o eliminare gli immigrati? (Naturalmente, il vero immigrato non è l’abitante stabile di origine straniera, ma colui che è percepito e si percepisce come diverso e destinato a rimanerlo. [...]
Dunque bisogna assimilarli o “rispettare le diversità culturali”? Scelta insulsa e falsa. Non possiamo più assimilare nessuno: né la gioventù, né i lavoratori francesi, nemmeno i provinciali o le vecchie minoranze etniche (Corsi, Bretoni ecc.) perché Parigi, città distrutta, ha perso il suo ruolo storico di fare dei Francesi. Ci si compiace, detto in linguaggio semplicemente pubblicitario, della ricca espressione “diversità culturali”. Quali culture? Non ce ne sono più. Né cristiana, né musulmana; né socialista, né scientista. Non parlate degli assenti. Considerando per un solo istante verità ed evidenza, non c’è che la degradazione spettacolare-mondiale (americana) di ogni cultura. [...]
Nello spettacolo, una società di classi ha voluto, molto sistematicamente, eliminare la storia. E ora si pretende di rimpiangere questo solo risultato particolare della presenza di tanti immigrati, perché la Francia “sparisce” così? Comico. Essa sparisce per ben altre cause e, più o meno rapidamente, su quasi tutti i terreni.
Il testo completo:
http://www.agalmarivista.org/…/guy-debord-note-sulla-quest…/
http://www.agalmarivista.org/…/guy-debord-note-sulla-quest…/
lunedì 22 ottobre 2018
Verbania,il referendum con indicazioni nazionali
In questo critico frangente politico italiano, anche un dato periferico come il referendum indetto dalla destra per il passaggio del VCO alla Lombardia, diventa un banco di prova. Pur considerando, appunto,la particolarità del dato, si possono trarre indicazioni in direzione di quelle nazionali.
E cioè:
-gli orientati decisamente a destra, possono aggirarsi più o meno intorno ad un 30%;
-un 70% d'italiani la pensa diversamente.
E'chiaro che fra questi 70% si annoverano molti indecisi, incerti ,disaffezionati, scettici; qualcuno usa la parola menefreghisti, ma non credo sia la più corretta.
Molti , riservati, irregolari, libertari, anarchici ecc.lo diventano perchè di fatto emarginati o boicottati dall'atteggiamento assunto dalla sinistra prima comunista, cattocomunista,poi post comunista, ora PD, che si è sempre pretesa egemone e proprietaria dell'area. vuoi per mero principio, vuoi per goderne di privilegi e benefici.
Occorre si formi una nuova area al cui coordinamento si pongano persone dal sentimento sincero, dalla coscienza e mentalità aperta e riflessiva, che tengano presenti tutte le istanze di quel 70% del demos che ripudia espressioni di violenza, discriminazione, razzismo e fascismo.Unica via per non lasciare il Paese e il Continente in mano ad una minoranza affarista e ai suoi incoscienti succubi-
E cioè:
-gli orientati decisamente a destra, possono aggirarsi più o meno intorno ad un 30%;
-un 70% d'italiani la pensa diversamente.
E'chiaro che fra questi 70% si annoverano molti indecisi, incerti ,disaffezionati, scettici; qualcuno usa la parola menefreghisti, ma non credo sia la più corretta.
Molti , riservati, irregolari, libertari, anarchici ecc.lo diventano perchè di fatto emarginati o boicottati dall'atteggiamento assunto dalla sinistra prima comunista, cattocomunista,poi post comunista, ora PD, che si è sempre pretesa egemone e proprietaria dell'area. vuoi per mero principio, vuoi per goderne di privilegi e benefici.
Occorre si formi una nuova area al cui coordinamento si pongano persone dal sentimento sincero, dalla coscienza e mentalità aperta e riflessiva, che tengano presenti tutte le istanze di quel 70% del demos che ripudia espressioni di violenza, discriminazione, razzismo e fascismo.Unica via per non lasciare il Paese e il Continente in mano ad una minoranza affarista e ai suoi incoscienti succubi-
mercoledì 26 settembre 2018
Devero, la vera grande bellezza
Ed eccoci al vero cambio di stagione...stamattina -3 a Devero....poi i l giorno risplende per la magnifica salita ad ovest,poi nubi basse a variegare il cielo....vade retro satana, i cinici speculatori che vorrebbero ingolfare di cemento questo paradiso, portando magari in charter turisti ebeti un giorno qui, un giorno alle 5Terre, quello dopo su Marte....ci rendiamo sempre più conto che i l rivoluzionamento continuo, quel"progresso"iniziato più o meno due secoli fa, è purtroppo molto spesso una corsa verso l'annientamento della bellezza e dell'autenticità..."Andiamo in montagna":c'è un unico modo per "andare in montagna" :è con i propri piedi! ogni altro modo è andare al Luna Park! e appunto, sulla Luna, prego, dirottate questi sforzi imprenditoriali verso il satellite! ( e restateci..)
domenica 12 agosto 2018
Natura-nature
si è dunque svolta, nella bella cornice naturale che ci accompagna con fortuna meteorologica da anni, la nostra manifestazione, un momento di festa e bellezza dell'estate..Il piacere di un'edizione artigianale raffinata, inserita in Letteraltura .
Questo il racconto da me presentato:
Questo il racconto da me presentato:
LE
DISAVVENTURE DELLA VANITA’
Un
essere così aggraziato, dallo spirito certo agile eppure vano. Elegante, nelle
parole, volubile, forma scolorata come le ombre dei suoi dialoghi essi stessi
già ombre.
Si
metteva al riparo dall’infelicità, dal rischio, affrontando solo situazioni in
cui poteva godere di un vantaggio. E pretendeva questo vantaggio, creandosi
condizioni a misura per poter dirigere,
comandare, ostentando gentilezza, ma mirando sempre a persuadere gli altri che
la ragione fosse dalla sua parte.
Voleva
dimostrarsi creativo, s’infingeva passioni, s’immaginava di provare sentimenti,
ma le sue erano scolorite impressioni di un estetismo debole, artato, finto.
In
questo mondo di finzione, di
rappresentazione, c’erano persone che credevano a quelle passioni ostentate, a
quel gusto che voleva sembrare finezza; che diventava moda…sapeva crearsi un
entourage .
Mondano,
socievole, sempre in quella socievolezza
superficiale fatta di convenienza che
nega l’autentica socialità, profondità e
costanza di sentimenti, amicizie.
Trovava
però un limite alla sua ambizione. L’apparenza esteriore, anche fisica, non era
sostenuta da una forza interna adeguata, per cui doveva costantemente
economizzarsi per non incorrere in
qualche debolezza che l’avrebbe un po’ screditato, di fronte agli occhi delle
sue numerose ammiratrici, e di qualche ammiratore.
Contrasse
comunque un ottimo matrimonio, con una donna che aveva molti beni di fortuna, e
questo gli permise di abbandonare il lavoro e di dedicarsi alle arti che prediligeva
e che gli consentivano meglio, nel suo
stile, di apparire geniale, inventivo.
Con
i beni della moglie gli fu facile aprire
una galleria d’arte, unendosi qualche valido pittore o scultore, a dire il vero ben più dotato di
lui, che garantiva una certa qualità
della bottega, ma era pur sempre sottoposto alle sue decisioni ,in quanto
proprietario e direttore .
Cercava
nuove vie d’impegno, scelte d’arte che risultassero veramente novitarie, mai intraprese, tali da sbalordire gli appassionati, gli amatori.
Fu
così che non esitò quando ebbe ad incontrare la proposta per la biennale
d’Istanbul: il tema di un’abitazione sulla
quale la natura, gli elementi atmosferici o tellurici finissero per
predominare .
Questa
volta a Richard , perché era questo, lo diciamo adesso, il nome del nostro
ambizioso gallerista, parve di appassionarsi più che in ogni altra occasione.
Sospese
ogni iniziativa della Galleria, assunse qualche architetto di fama, esponendosi
anche un po’ più del dovuto finanziariamente, ma senza allarmare la moglie e il
suocero, che pure fin dall’inizio aveva guardato con una certa diffidenza ai
margini di parassitismo presenti nelle attività del marito di sua figlia. Con
orgoglio, fu l’unico artista italiano ad Istanbul ad avere un ruolo di spicco,
dopo Monica Bonvicini, l’artista già vincitrice del leone d’Oro alla Biennale
di Venezia del’99
Dopo
mesi di studio, si restrinsero a due i progetti più interessanti presi in
considerazione per la realizzazione.
L’uno,
ispirato ad una certa ironia, trovava ascendenze in Le Corbusier: si trattava di una casa il cui tetto a
terrazza veniva realizzato in un adeguato materiale poroso, per cui in caso di
pioggia si condensava un’umidità che creava un ambiente nebbioso all’interno
…”La casa della nebbia”, sarebbe stata questa la denominazione.
L’altro
progetto, decisamente ispirato ad una visione più catastrofica, avrebbe
realizzato su tempi più brevi, pressoché immediati, le previsioni che esperti, geologi, architetti e ambientalisti facevano a
proposito delle edificazioni massicce di Shangai, e cioè quei grattacieli
di 600 metri di altezza che sarebbero
destinati con i l tempo a
sprofondare nel terreno da pianura alluvionale, nel fango e sedimenti che, fra fiumi e mare (non a caso Shangai significa proprio”sopra il
mare”, anche se ora dista una quarantina di km.), risulta troppo soffice, inconsistente
.
I
costi dei due progetti erano molto differenti, ma Oliviero non ebbe alcun
dubbio ad orientarsi per la
realizzazione di quello più ardito, stupefacente
negli effetti che avrebbe provocato.
Il
costo sarebbe stato ingente … ma il gallerista
negli ultimi due anni aveva
cominciato a trovare un po’ limitante quel “successo di routine” provinciale
che l’entourage che si era costruito con
gli anni gli attribuiva, e ora vedeva l’occasione di ingigantire la sua
prospettiva nell’ardita operazione.
Fatti
i conti, Richard pensava di poter
rientrare rispetto a quello che si prospettava però come un esborso decisamente
allarmante, anche per le finanze acquisite
dal matrimonio.
Minimizzò
tuttavia, con i l suocero, con la moglie, tanta era la sua frenesia di non
trovare intralci all’impresa e si trasferì
con la squadra in un’ Istanbul
che appariva ferita dai recenti provvedimenti governativi, per cui erano
finiti in carcere migliaia di progressisti, uomini e donne della politica, della cultura ecc.
Si
trattava di preparare anche con mezzi artificiali un terreno idoneo, e venne scelta un’area un tempo paludosa sul Bosforo, sponda asiatica
; la costruzione non sarebbe certo stata
alta 600 metri, come a Shangai, occorreva ridurre tutto in una scala
accettabile … il problema principale sarebbe stato quello di bilanciare con
esattezza i tempi, perché a seguito
dell’inaugurazione della Biennale, nel momento in cui l’evento era
previsto, si potesse assistere allo
smottamento del terreno, causa il negativo rapporto fra fragilità dello stesso
e peso dell’edificio.
La
squadra si mise all’opera: l’architetto ideatore del progetto, il geologo,
geometri, capimastri e muratori...nella periferia di Uskudar si lavorò il
terreno, si prepararono le fondamenta su cui avrebbero dovuto innestarsi
appositi e celati meccanismi decisivi per provocare a suo tempo il crollo, poi
via con l’erezione dell’edificio che s’ispirava, in forma stilizzata, alla
torre di Galata, giocando però con una certa affinità anche con quella di Pisa, per quanto
riguardava la pendenza...
Il
lavoro si svolse regolarmente fra inverno primavera ed estate, con ingenti
esborsi, per preparare l’evento previsto
proprio per l’inaugurazione, verso metà settembre.
L’attesa
crebbe , divenendo spasmodica in Richard che si stava accorgendo di essersi
spinto troppo oltre, al punto che se
qualcosa fosse andato storto, si sarebbe
trattato di una rovina finanziaria per la famiglia acquisita e ovviamente per
se stesso.
L’architetto
lo assicurava: ”Tranquillo, Richard, è
tutto sotto controllo, ovvio le strutture portanti sono state create deboli ad
arte, ma se non intervenissero i meccanismi preparati per procurare lo
smottamento o la frana artificiali, non ci sarebbe alcuna previsione allarmistica,
almeno su tempi brevi e medi!”
Il
geologo era invece apparso un po’ più dubbioso, a lavori in corso; riteneva che
nell’area scelta il ristagno d’acque fosse ancora troppo importante e che
l’architetto avesse giocato eccessivamente su un’instabilità iniziale, considerando che
in tempi brevi comunque tutto sarebbe stato fatto crollare.
Venne
settembre, si approssimarono i giorni dell’evento. Tutto predisposto, tutto
sotto controllo, assicuravano i macchinisti e i tecnici elettronici che
avvalendosi di strutture sotterranee e semi sotterranee predisposte al momento
opportuno avrebbero dovuto procedere con le scosse alle fragili fondamenta, provocato
lo smottamento del terreno troppo soffice
perché troppo velocemente e
parzialmente era stata bonificata l’area.
Infine,
venne l’inaugurazione. Il titolo di quell’anno era “La natura, un vicino importante ” e nel discorso introduttivo il
direttore volle sottolineare come la maggior
parte degli artisti avesse risposto in
modo molto personale.” Hanno scelto molti
approcci diversi per affrontare questioni come lo sviluppo urbano in rapporto
alla natura, il rapido cambiamento demografico nelle nostre metropoli, il
dislocamento forzato, l’inquinamento ecc.”.
L’evento che riguardava Richard era previsto per il giorno seguente, domenica alle 17. Il tempo s’era
fatto tuttavia minaccioso, annunciatore dell’imminente autunno, aria fredda ad
alta quota s’incanalò dal Mar Nero
attirando l’aria torrida della
lunga estate stanbulina risalente da
terra e originando un’energia di forte intensità che iniziò a dissiparsi per
cielo e per mare lungo il Bosforo, le
cui acque presero a mugghiare in modo inquietante.
Nell’avanzare della serata di sabato fu un primo nubifragio, che iniziò
ad allarmare il gruppo che festeggiava la vigilia dell’evento e dalle vetrate
della discoteca Anjelique, anziché la splendida vista panoramica, si prospettò
l’apparenza di una tregenda in avanzamento.
L’alluvione imperversò per varie ore notturne e
alle 5 del mattino l’area attrezzata nei
pressi di Uskudar era completamente
sommersa; le forti onde, il vento impetuoso , una bomba d’acqua, avevano
terminato di lavorare alla base l’ardita
istallazione che crollò rovinosamente.
Non ci fu rimedio possibile. Un cumulo di macerie
apparve alla vista dei primi operai della manutenzione nel mattino di nuovo
radioso, soleggiato. Impietriti, attoniti, senza alcuna possibile reazione, Richard
e la sua squadra osservavano come
un’allucinazione il cielo e il mare tersi e sereni e lo sfacelo delle rive e della macerie …
L’evento venne ovviamente annullato, l’operazione
biasimata dagli organizzatori per l’insipienza con cui era stata
allestita.
Richard si
trovò rovinato, il suocero poté rivalersi solo parzialmente rispetto ad un’assicurazione con cui ebbe lungamente a
disputare, poiché essa attribuiva alla
cattiva conduzione del progetto l’esito
catastrofico. La moglie, costretta a ridimensionare il tenore di vita, non lo volle più vedere.
Il
nostro visse per qualche anno in povere
stanze a Fatih, un affollato quartiere
d’immigrati, grazie a qualche prestito, e sopravviveva miseramente vendendo
poveri gadget ai visitatori di Sultanahmet . Li costruiva lui stesso, e rappresentavano”La
torre di Galata”, “La torre di Pisa”, e, ahimè, la “Casa-torre” precariamente
eretta a Uskudar e crollata la notte dell’inaugurazione. C’è chi dice di averlo
visto a volte prendere un modellino, e torcerlo con rabbia, scaraventandolo poi
nel Corno d’oro!
Poi
lo scorso anno il capocameriere me l’è venuto a raccomandare, dicendo che
comunque questo Richard aveva un certo
stile, e allora mi ha convinto ad assumerlo...e’così rientrato in patria!
Dario Varini, 2018
venerdì 10 agosto 2018
Finis terrae 11 agosto
Anche
quest'anno sarà un piacere ritrovarci al belvedere di San Salvatore (Premeno)
per le nostre letture.Sabato 11 agosto , h.17.15-
La scultura di Paolo De Piccoli,ispirata al
mio racconto"Le disavventure della vanità" è visibile allo spazio
Casa dell'Arco di Mergozzo per tutto il mese. Nel centro storico sono esposte
sculture di altri artisti, ispirate a racconti della raccolta 2018, Natura/Nature
martedì 24 luglio 2018
Naxos
Quest'anno il viaggio estivo continuato a Creta ci porta a Naxos.In mezzo all'Egeo, isola vasta.Teseo vi giunge con Arianna, fuggitivi da Creta. Lì lascia la giovane: tradimento del seduttore o imposizione di Dioniso innamoratosi a sua volta della bella cretese? I miti danno tante intepretazioni! E Naxos vanta i viticci del dio e il suo liquore.
Si vaga fra la costa e i monti interni,ed in un luogo omboso e riposto, fra Melanes e Potamia, il gigante kouros Flerio giace , misterioso addormentato ....e le antiche chiese bizantine, i castelli veneziani e italiani (Bolonia, Calabro...),prevalgono sugli scarsi resti ottomani...difficile rintracciare anche vestigia di Yossef Nasi,il duca ebreo del XVI sec.,nemico di Venezia, favorito del Sultano Selim; utopico sionista che pensò prima di farne la patria dei correligionari,poi pensò invano a Cipro , ....si scende al mare, alle "Hawai" di Aliko...E' isola di tradizione più vissuta dai nativi,la Chora è una cittadina che si estende alle spalle con una certa densità...i commerci al centro dell'Egeo passarono e passano sempre da quest'isola ...
Si vaga fra la costa e i monti interni,ed in un luogo omboso e riposto, fra Melanes e Potamia, il gigante kouros Flerio giace , misterioso addormentato ....e le antiche chiese bizantine, i castelli veneziani e italiani (Bolonia, Calabro...),prevalgono sugli scarsi resti ottomani...difficile rintracciare anche vestigia di Yossef Nasi,il duca ebreo del XVI sec.,nemico di Venezia, favorito del Sultano Selim; utopico sionista che pensò prima di farne la patria dei correligionari,poi pensò invano a Cipro , ....si scende al mare, alle "Hawai" di Aliko...E' isola di tradizione più vissuta dai nativi,la Chora è una cittadina che si estende alle spalle con una certa densità...i commerci al centro dell'Egeo passarono e passano sempre da quest'isola ...
lunedì 4 giugno 2018
Alba Music festival
Alba e Fenoglio, appuntamenti che si rinnovano. Nell'ambito del prezioso festival, la rappresentazione di "Partizan",ispirata alle opere dell'autore , da parte del pianista Lorenzo Marasso,della compositrice Anne LeBaron e dell'attore Guido Tonini Bossi "Attorno al Partigiano Johnny " e ad "Una questione privata", rivisitata nello stesso anno del film ..sotto i l patrocinio del bravo Dodo Borra,vero animatore della passione fenogliana
mercoledì 30 maggio 2018
Apparenza e verità della crisi politica italiana
Ricavo, con qualche modfica personale , da Genova City Strike-NST quest'analisi che merita attenzione:
1) lo scontro istituzionale in atto rappresenta la conflittualità di classe tra due borghesie padronali: da un lato quella internazionale ed europeista che mescola produzione e finanza, dall'altro una piccola borghesia minore (settori della piccola e media impresa) in crisi da decenni a causa delle politiche globalizzate di cui la UE è il garante.
2) La Lega rappresenta benissimo il blocco della borghesia minore, la classe sociale che organicamente si rinserra a difesa dei propri interessi e nell’impossibilità di scalare su una borghesia più potente, si rifà sui ceti medio-piccoli , sui lavoratori e diseredati . Il 5 stelle appare un fenomeno che raccoglie in forma virtuale, disorganica, le istanze popolar-nazionali ;rappresenterebbe tutte le classi in un progetto unitario che, così com'è posto, non potrebbe che risultare utopistico. Il PD, le banche e la grande stampa sono rappresentanti della borghesia transnazionale che in questi anni ha amministrato con l'avallo della governance europeista.
3). Per il PD e la UE i rapporti devono essere gestiti in continuazione a come fece Monti, con limitate concessioni per i ceti medio-bassi : senza politica, senza scontri di visione strategica, con l'avallo di alcuni corpi intermedi (i sindacati) pena perdite di tempo e di denaro per i padroni e i banchieri. 4) Le due aree che si fronteggiano sfoggiano una diversa cultura politica ma applicano simili ricette: dal punto di vista economico cambia poco per le classi popolari: da un lato la Fornero, dall'altro la flat tax e la cancellazione del welfare residuo.
5) Il movimento dei lavoratori è , soprattutto in Italia, in grave difetto di rappresentanza . I sindacati difendono se stessi per gestire briciole di potere con un sistema che quei valori e quei diritti li straccia ogni giorno.
6.Solo il movimento dei lavoratori, unitario, internazionale, magari partendo da quello mediterraneo, può portare a cambiamento dei rapporti di forza politici. Il 2015 dell'oxi greco , le agitazioni di Podemos in Spagna, i vari Corbjin, Melenchon,Varoufakis, Sanders gli indignados o insoumis o meno che mai il M5S , che di questa Sinistra non fanno parte,da soli non portano a nulla. Occorre che progetti come Diem 25 si rafforzino in una nuova Internazionale. E in Italia occorre ci sia chi la interpreti! Solo attraverso questa via potranno essere migliorati a livello internazionale problemi come disoccupazione, redditi di civiltà per tutte le categorie a seconda di quanto dato alla società, anche seguendo il criterio dei meriti onesti, ospitalità ai richiedenti immigrati, assistenza sanità, istruzione ecc..
2) La Lega rappresenta benissimo il blocco della borghesia minore, la classe sociale che organicamente si rinserra a difesa dei propri interessi e nell’impossibilità di scalare su una borghesia più potente, si rifà sui ceti medio-piccoli , sui lavoratori e diseredati . Il 5 stelle appare un fenomeno che raccoglie in forma virtuale, disorganica, le istanze popolar-nazionali ;rappresenterebbe tutte le classi in un progetto unitario che, così com'è posto, non potrebbe che risultare utopistico. Il PD, le banche e la grande stampa sono rappresentanti della borghesia transnazionale che in questi anni ha amministrato con l'avallo della governance europeista.
3). Per il PD e la UE i rapporti devono essere gestiti in continuazione a come fece Monti, con limitate concessioni per i ceti medio-bassi : senza politica, senza scontri di visione strategica, con l'avallo di alcuni corpi intermedi (i sindacati) pena perdite di tempo e di denaro per i padroni e i banchieri. 4) Le due aree che si fronteggiano sfoggiano una diversa cultura politica ma applicano simili ricette: dal punto di vista economico cambia poco per le classi popolari: da un lato la Fornero, dall'altro la flat tax e la cancellazione del welfare residuo.
5) Il movimento dei lavoratori è , soprattutto in Italia, in grave difetto di rappresentanza . I sindacati difendono se stessi per gestire briciole di potere con un sistema che quei valori e quei diritti li straccia ogni giorno.
6.Solo il movimento dei lavoratori, unitario, internazionale, magari partendo da quello mediterraneo, può portare a cambiamento dei rapporti di forza politici. Il 2015 dell'oxi greco , le agitazioni di Podemos in Spagna, i vari Corbjin, Melenchon,Varoufakis, Sanders gli indignados o insoumis o meno che mai il M5S , che di questa Sinistra non fanno parte,da soli non portano a nulla. Occorre che progetti come Diem 25 si rafforzino in una nuova Internazionale. E in Italia occorre ci sia chi la interpreti! Solo attraverso questa via potranno essere migliorati a livello internazionale problemi come disoccupazione, redditi di civiltà per tutte le categorie a seconda di quanto dato alla società, anche seguendo il criterio dei meriti onesti, ospitalità ai richiedenti immigrati, assistenza sanità, istruzione ecc..
lunedì 14 maggio 2018
50 anni fa:qualcosa sul "maggio"
Qualcosa sul maggio, 50 anni fa
Perché la rivolta? La miccia che innescò l'incendio fu una riforma, proposta da Christian Fouchet (ministro dell'Educazione nel governo gollista di Georges Pompidou), che tendeva a creare un legame stretto fra università e mondo produttivo. All'inizio del 1968 il progetto, definito "tecnocratico", creò diffusi malumori, soprattutto nelle facoltà umanistiche, che si sentivano marginalizzate.
Perché la rivolta? La miccia che innescò l'incendio fu una riforma, proposta da Christian Fouchet (ministro dell'Educazione nel governo gollista di Georges Pompidou), che tendeva a creare un legame stretto fra università e mondo produttivo. All'inizio del 1968 il progetto, definito "tecnocratico", creò diffusi malumori, soprattutto nelle facoltà umanistiche, che si sentivano marginalizzate.
Pensiamo a quanto sta accadendo oggi, per la Scuola....
Ma Fouchet era solo una miccia casuale: già dal 1967 tutti gli ambienti giovanili d'Europa erano in fermento. Motivi: sovraffollamento delle università, incertezza degli sbocchi professionali, crisi dei valori tradizionali, scarso ricambio nelle classi dirigenti. In Germania l'epicentro del movimento era Berlino Ovest, patria di Rudi Dutschke, capo carismatico degli studenti di sinistra.
Ma il "maggio" non fu solo una rivolta di studenti: la protesta universitaria si saldò con vertenze contrattuali di varie categorie, creando una miscela esplosiva che sfuggiva di mano anche alla Cgt, la Cgil francese. Fuori Parigi si moltiplicavano le fabbriche occupate: il 14 erano solo due, a Nantes e in Lorena; ma il giorno dopo divennero 50, sparse in tutto il territorio nazionale. Il 20 fu occupato anche il porto di Marsiglia. E il 21, mentre alla Sorbona parlava Jean-Paul Sartre, un nuovo sciopero coinvolse ben 7 milioni di persone.
Ma il "maggio" non fu solo una rivolta di studenti: la protesta universitaria si saldò con vertenze contrattuali di varie categorie, creando una miscela esplosiva che sfuggiva di mano anche alla Cgt, la Cgil francese. Fuori Parigi si moltiplicavano le fabbriche occupate: il 14 erano solo due, a Nantes e in Lorena; ma il giorno dopo divennero 50, sparse in tutto il territorio nazionale. Il 20 fu occupato anche il porto di Marsiglia. E il 21, mentre alla Sorbona parlava Jean-Paul Sartre, un nuovo sciopero coinvolse ben 7 milioni di persone.
L’Internazionale Situazionista , un gruppo d'agitazione manifestatosi già sul finire degli anni'50, praticò in ogni modo una vera «estetica della sovversione» che rprendeva il legame con il Surrealismo ormai estinto. Il pensiero di Debord, intriso di quella cultura anarco-marxista, fece da nutrimento alle rivolte del Maggio francese. Forse davvero i situazionisti, con le loro visioni artistico-politiche, devono essere considerati anticipatori dei fatti del Maggio, pur riconoscendo che il progetto di andare oltre il fatto estetico verso una reale rivoluzione proletaria si è presto rivelata l’illusione di cui già essi conoscevano e delineavano i limiti.
Maggio francese, controcultura, rovesciamento delle arti: il Situazionismo prima di esser collocato nel regno dell’oblio ha profondamente inciso le coscienze degli intellettuali più colti e sensibili. L’elitario nucleo internazionale, la disprezzata moltitudine ormai dispersa dei «pro-situ» e il personaggio Debord con il suo passato di flâneur, di giovin teppista, di bohémien e di teorico maledetto hanno riportato e tenuto in vita lo spirito delle storiche avanguardie sature di teorie e dogmi.
Il "maggio" era sempre più eversivo per la Francia gollista. Eversivi erano non solo gli atti di violenza, né solo i danni economici: tale era anche l'atteggiamento irridente con cui i ribelli della Sorbona trattavano istituzioni e modelli di comportamento tradizionali. Nei cortei sfilavano ragazze a seno nudo, con berretto frigio in testa e bandiera rossa in mano, caricature di Marianne, icona femminile della "Republique". E nel Quartiere Latino nuove targhe ribattezzavano le vie: boulevard St-Michel divenne in quei giorni "rue du Vietnam héroique".
venerdì 27 aprile 2018
Yanis Varoufakis introduzione a The Comunist Manifesto
Yanis Varoufakis: Marx ha
predetto la nostra crisi attuale e indica la via d'uscita
Il Manifesto comunista prevedeva
il capitalismo globale predatore e polarizzato del XXI secolo. Ma anche Marx ed
Engels ci hanno mostrato che abbiamo il potere di creare un mondo migliore. Di
Yanis Varoufakis
Ven 20 apr 2018 06.00 BST Ultima
modifica 24 mar 2018 09.54 BST
Perché un Manifesto abbia
successo, deve parlare ai nostri cuori come una poesia mentre intriga la mente con immagini e idee che sono
incredibilmente nuove. C’è bisogno di aprire gli occhi sulle vere cause dei
cambiamenti sconcertanti, inquietanti, eccitanti che si verificano intorno a
noi, che espongono le possibilità con cui la nostra attuale realtà è compresa.
Dovrebbe farci sentire irrimediabilmente inadeguati per non aver riconosciuto
noi stessi queste verità, e deve sollevare il sipario sulla sconvolgente
consapevolezza che stiamo agendo da piccoli complici, riproducendo un passato
senza sbocchi. Infine, deve avere il potere di una sinfonia di Beethoven,
esortandoci a diventare agenti di un futuro che pone fine alla sofferenza di
massa inutile e ad ispirare l'umanità a realizzare il suo potenziale per
un'autentica libertà.
Nessun manifesto è riuscito
meglio a fare tutto questo rispetto a quello pubblicato nel febbraio del 1848
al numero 46 di Liverpool Street, a Londra. Commissionato dai rivoluzionari
inglesi, Il Manifesto Comunista (o Manifesto del Partito Comunista, come fu
pubblicato per la prima volta) fu creato da due giovani tedeschi: Karl Marx, un
filosofo di 29 anni con un gusto per l'etica epicurea e la razionalità
hegeliana, e Friedrich Engels, erede di 28 anni di un laminatoio di Manchester.
Come opera di letteratura
politica, il Manifesto rimane insuperabile. Le sue linee più famose, compresa
quella di apertura ("Uno spettro si aggira per l'Europa - lo spettro del
comunismo"), hanno una qualità shakespeariana. Come Amleto affrontato dal
fantasma del suo padre ucciso, il lettore è costretto a chiedersi: "Devo
conformarmi all'ordine prevalente, soffrendo le fionde e le frecce
dell'oltraggiosa fortuna conferitami dalle forze irresistibili della storia? O
dovrei unirmi a queste forze, prendere le armi contro lo status quo e,
opponendomi, inaugurare un mondo coraggioso? "
Per gli immediati lettori di Marx
ed Engels, questo non era un dilemma accademico, dibattuto nei salotti
dell'Europa. Il loro manifesto era un invito all'azione, e ascoltare
l'invocazione di questo spettro spesso significava persecuzione o, in alcuni
casi, lunga prigione. Oggi, un dilemma analogo affronta i giovani: conformarsi
a un ordine stabilito che si sta sgretolando ed è incapace di evolversi, o opporsi,
a costi personali considerevoli, alla ricerca di nuovi modi di lavorare,
giocare e vivere insieme? Anche se i partiti comunisti sono scomparsi quasi
interamente dalla scena politica, lo spirito di comunismo che guida il
manifesto si sta rivelando difficile da silenziare.
Vedere oltre l'orizzonte è
l'ambizione del Manifesto. Ma riuscire come hanno fatto Marx ed Engels nella
descrizione accurata di un'era che sarebbe arrivata a un secolo e mezzo nel
futuro, oltre che ad analizzare le contraddizioni e le scelte che affrontiamo
oggi, è davvero sorprendente. Verso la fine degli anni Quaranta del secolo scorso
il capitalismo era naufrago, locale, frammentato e timido. Eppure Marx ed
Engels ci hanno dato una lunga occhiata e hanno previsto il nostro capitalismo
globalizzato, finanziato, rivestito di ferro, che canta e balla tutto. Questa
fu la creatura che nacque dopo il 1991, nello stesso momento in cui lo establishment
proclamava la morte del marxismo e la
fine della storia.
Certo, il fallimento predetto del Manifesto comunista è stato a lungo
esagerato. Ricordo che persino gli economisti di sinistra nei primi anni '70
sfidarono la fondamentale previsione del Manifesto che il capitale si sarebbe
"annidato dappertutto, stabilito ovunque, ponendo connessioni ovunque".
Attingendo alla triste realtà di quelli che allora venivano chiamati paesi del
terzo mondo, sostenevano che il capitale aveva perso la sua effervescenza ben prima di espandersi oltre la sua
"metropoli" in Europa, America e Giappone.
Empiricamente avevano ragione: le
multinazionali europee, statunitensi e giapponesi che operavano nelle
"periferie" dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina si
limitavano al ruolo di estirpatori di risorse coloniali e non riuscivano a
diffondere il capitalismo lì. Invece di impregnare questi paesi con lo sviluppo
capitalistico (disegnando "tutti, anche i più barbari, le nazioni nella
civiltà"), sostenevano che il capitale straniero stava riproducendo lo
sviluppo del sottosviluppo nel terzo mondo. Era come se il Manifesto avesse
riposto troppa fiducia nella capacità del capitale di diffondersi in ogni
angolo. La maggior parte degli economisti, compresi quelli solidali con Marx,
dubitava della previsione del manifesto secondo cui "lo sfruttamento del
mercato mondiale" avrebbe conferito "un carattere cosmopolita alla
produzione e al consumo in ogni paese".
Come si è scoperto, il manifesto
aveva ragione, anche se in ritardo. Ci sarebbe voluto il crollo dell'Unione Sovietica e
l'inserimento di due miliardi di lavoratori cinesi e indiani nel mercato del
lavoro capitalista perché la sua previsione fosse confermata. In effetti, affinché il capitale
globalizzasse completamente, i regimi che avevano giurato fedeltà al Manifesto
dovevano prima essere fatti a pezzi. La storia ha mai procurato un'ironia più
deliziosa?
Chiunque legga il Manifesto oggi
sarà sorpreso di scoprire un'immagine di un mondo molto simile al nostro, in
bilico sulla soglia dell'innovazione tecnologica. Nel tempo del Manifesto, era
la macchina a vapore che rappresentava la più grande sfida per i ritmi e le
routine della vita feudale. I contadini furono travolti negli ingranaggi e
nelle ruote di questo macchinario e una nuova classe di padroni, i proprietari
delle fabbriche e i mercanti, usurparono il controllo della nobiltà terriera
sulla società. Ora, è l'intelligenza artificiale e l'automazione che incombono
come minacce dirompenti, promettendo di spazzare via "tutte le relazioni
fisse e congelate". "Costantemente rivoluzionando ... strumenti di
produzione", il Manifesto proclama, trasforma "i rapporti intere
della società", determinando "una costante rivoluzionamento della
produzione, un disturbo ininterrotto di tutte le condizioni sociali, incertezza
eterna e agitazione".
Per Marx ed Engels, tuttavia,
questa rottura va celebrata. Funge da catalizzatore per la spinta finale che
l'umanità ha bisogno di eliminare con i nostri pregiudizi residui che
sostengono la grande divisione tra coloro che possiedono le macchine e coloro
che progettano, operano e lavorano con loro. "Tutto ciò che è solido si
scioglie nell'aria, tutto ciò che è sacro viene profanato", scrivono nel Manifesto
dell'effetto della tecnologia, "e l'uomo è finalmente costretto ad
affrontare i sensi sobri, le sue reali condizioni di vita e le sue relazioni
con i suoi in genere". Rovinando spietatamente i nostri preconcetti e le
false certezze, il cambiamento tecnologico ci sta costringendo, scalciando e
urlando, ad affrontare quanto patetici siano i nostri rapporti con l'altro.
Oggi vediamo questa resa dei
conti in milioni di parole, in stampa e online, usate per discutere i malumori
della globalizzazione. Mentre celebrano il modo in cui la globalizzazione ha spostato
miliardi dalla miserabile povertà alla povertà relativa, i venerabili giornali
occidentali, i personaggi di Hollywood, gli imprenditori della Silicon Valley,
i vescovi e persino i finanziatori multibillionaire lamentano alcune delle sue
ramificazioni meno desiderabili: disuguaglianza insopportabile, avidità
sfrontata, cambiamento climatico e dirottamento delle nostre democrazie
parlamentari da parte di banchieri e ultra-ricchi.
Niente di tutto ciò dovrebbe
sorprendere un lettore del Manifesto. "La società nel suo insieme",
afferma, "si sta sempre più dividendo in due grandi campi ostili, in due
grandi classi direttamente l'una di fronte all'altra". Come la produzione
è meccanizzata, e il margine di profitto dei proprietari di macchine diventa la
nostra civiltà motivo di guida, la società si divide tra azionisti non lavoratori
e lavoratori salariati non proprietari. Per quanto riguarda la classe media, è
il dinosauro nella stanza, pronto per l'estinzione.
Allo stesso tempo, gli
ultra-ricchi risultano colpiti dalla colpa e stressati mentre guardano la vita
di tutti gli altri sprofondare nella precarietà di una schiavitù salariale
insicura. Marx ed Engels prevedevano che questa suprema e potente minoranza si
sarebbe dimostrata "inadatta a governare" su società così
polarizzate, perché non sarebbero state in grado di garantire un'esistenza
affidabile agli schiavi salariati. Barricati nelle loro comunità chiuse, si
trovano consumati dall'ansia e incapaci di godersi le loro ricchezze. Alcuni di
loro, quelli abbastanza intelligenti da realizzare il loro vero interesse personale
a lungo termine, riconoscono lo stato sociale come la migliore polizza
assicurativa disponibile. Ma ahimè, spiega il manifesto, come classe sociale,
sarà nella loro natura lesinare sul premio assicurativo, e lavoreranno
instancabilmente per evitare di pagare le tasse richieste.
Non è questo che è emerso? Gli
ultra-ricchi sono una cricca insicura, costantemente insoddisfatta,
costantemente dentro e fuori dalle cliniche di disintossicazione, in cerca di
sollievo da sensitivi, strizzacervelli e guru imprenditoriali. Nel frattempo,
tutti gli altri lottano per mettere il cibo sul tavolo, pagare tasse
scolastiche, destreggiarsi tra una carta di credito per un altro o combattere
la depressione. Ci comportiamo come se le nostre vite fossero spensierate,
affermando di apprezzare ciò che facciamo e fare ciò che ci piace. Eppure, in
realtà, piangiamo noi stessi per dormire.
I benefattori, i politici
dell'establishment e gli economisti accademici in ripresa rispondono tutti a
questa situazione nello stesso modo, emettendo accese condanne dei sintomi
(disuguaglianza di reddito) ignorando le cause (sfruttamento derivante dagli
ineguali diritti di proprietà su macchine, terra, risorse). C'è da
meravigliarsi se siamo in un vicolo cieco, con la disperazione che serve solo
ai populisti che cercano di corteggiare i peggiori istinti delle masse?
Con la rapida ascesa della
tecnologia avanzata, ci siamo avvicinati al momento in cui dobbiamo decidere
come relazionarci l'un l'altro in modo razionale e civile. Non possiamo a lungo
nasconderci dietro l'inevitabilità del lavoro e le norme sociali oppressive che
richiede. Il Manifesto offre al lettore del 21 ° secolo l'opportunità di vedere
attraverso questo disordine e riconoscere ciò che deve essere fatto in modo che
la maggioranza possa sfuggire dal malcontento a nuovi assetti sociali in cui
"lo sviluppo libero di ciascuno è la condizione per lo sviluppo libero di
tutti". Anche se non contiene una tabella di marcia su come arrivarci, il Manifesto
rimane una fonte di speranza da non trascurare. Se il Manifesto ha lo stesso
potere di eccitare, entusiasmare e far vergognare come ha fatto nel 1848, è perché la lotta tra le
classi sociali è vecchia come il tempo stesso. Marx ed Engels riassumono questo
in 13 parole audaci: "La storia di tutte le società finora esistenti è la
storia delle lotte di classe." Dalle aristocrazie feudali agli imperi
industrializzati, il motore della storia è sempre stato il conflitto tra
tecnologie costantemente rivoluzionanti e le convenzioni delle classi
prevalenti . Con ogni interruzione della tecnologia della società, il conflitto
tra noi cambia forma. Le vecchie classi si estinguono e alla fine ne rimangono
solo due: la classe che possiede tutto e la classe che non possiede nulla - la
borghesia e il proletariato. Questa è la situazione in cui ci troviamo oggi.
Mentre noi dobbiamo al capitalismo di aver ridotto tutte le distinzioni di classe al
divario tra proprietari e non proprietari, Marx ed Engels vogliono che
realizziamo che il capitalismo non è sufficientemente evoluto per sopravvivere
alle tecnologie che genera. È nostro dovere demolire la vecchia nozione di
mezzi di produzione privati e forzare una metamorfosi, che deve comportare la
proprietà sociale di macchinari, terreni e risorse. Ora, quando le nuove
tecnologie si scatenano in società legate al primitivo contratto di lavoro,
segue la miseria all'ingrosso. Nelle parole indimenticabili del Manifesto:
"Una società che ha evocato giganteschi mezzi di produzione e di scambio,
è come lo stregone che non è più in grado di controllare i poteri del mondo
inferiore che ha richiamato dai suoi incantesimi." lo stregone immaginerà
sempre che le loro app, i motori di ricerca, i robot e i semi geneticamente
modificati porteranno ricchezza e felicità a tutti. Ma, una volta rilasciati in
società divise tra lavoratori salariati e proprietari, queste meraviglie
tecnologiche spingono i salari e i prezzi a livelli che creano profitti bassi
per la maggior parte delle imprese. È solo la grande tecnologia, la grande
industria farmaceutica e le poche corporazioni che comandano su di noi a
possedere un potere politico ed
economico eccezionalmente ampio che ne avvantaggia davvero. Se continuiamo a
sottoscrivere contratti di lavoro tra datore di lavoro e dipendente, i diritti
di proprietà privata regoleranno e porteranno il capitale a fini disumani. Solo
abolendo la proprietà privata degli strumenti di produzione di massa e
sostituendola con un nuovo tipo di proprietà comune che funziona in sincronia
con le nuove tecnologie, ridurremo la disuguaglianza e troveremo la felicità
collettiva. Secondo la filosofia della
storia di Marx ed Engels, l'attuale stallo tra lavoratore e proprietario è
sempre stato garantito. "Altrettanto inevitabile", afferma il Manifesto,
è la "caduta e la vittoria del proletariato" sulla borghesia. Finora,
la storia non ha soddisfatto questa previsione, ma i critici dimenticano che il
Manifesto, come ogni degno pezzo di propaganda, presenta la speranza sotto
forma di certezza. Proprio come Lord Nelson radunò le sue truppe prima della
Battaglia di Trafalgar annunciando che l'Inghilterra "si aspettava"
che facessero il loro dovere (anche se aveva seri dubbi che lo avrebbero
fatto), il Manifesto conferisce al proletariato l'aspettativa che facciano il
loro dovere per se stessi, ispirandoli a unirsi e liberarsi l'un l'altro dai
vincoli della schiavitù salariale. Lo faranno? Nella forma attuale, sembra
improbabile. Ma, ancora una volta, abbiamo dovuto aspettare che la
globalizzazione comparisse negli anni '90 prima che la stima del manifesto del
potenziale del capitale potesse essere pienamente confermata. Non è possibile
che il nuovo proletariato globale, sempre più precario, abbia bisogno di più
tempo prima di poter svolgere il ruolo storico previsto dal Manifesto? Mentre il
giudizio è ancora atteso, Marx ed Engels
ci dicono che, se temiamo la retorica della rivoluzione, o cercheremo di
distrarci dal nostro dovere reciproco, ci troveremo coinvolti in una spirale
vertiginosa in cui il capitale satura e sbianca lo spirito umano. L'unica cosa di
cui possiamo essere certi, secondo il manifesto, è che, a meno che il capitale
non sia socializzato, ci troviamo di fronte a sviluppi distopici. Sul tema
della distopia, il lettore scettico si rianimerà: quale è la complicità del Manifesto
nel legittimare i regimi autoritari e rafforzare lo spirito delle guardie dei
gulag? Invece di rispondere in modo difensivo, sottolineando che nessuno
incolpa Adam Smith per gli eccessi di Wall Street, o il Nuovo Testamento per
l'Inquisizione spagnola, possiamo speculare su come gli autori del Manifesto
avrebbero potuto rispondere a questa accusa. Credo che, con il senno di poi,
Marx ed Engels avrebbero confessato un errore importante nel loro analisi ,riflessività
insufficiente. Questo vuol dire che non sono riusciti a riflettere a
sufficienza e hanno tenuto un silenzio giudizioso sull'impatto che la loro
analisi avrebbe avuto sul mondo che stavano analizzando. Il Manifesto
raccontava una storia potente in un linguaggio intransigente, destinato a
sollevare i lettori dalla loro apatia. Ciò che Marx ed Engels non erano in
grado di prevedere era che i testi potenti e prescrittivi tendevano a procurare
discepoli, credenti - persino un sacerdozio - e che questo fedele potesse usare
il potere conferito loro dal Manifesto a proprio vantaggio. Con esso,
potrebbero abusare di altri compagni, costruire la propria base di potere,
conquistare posizioni di influenza, coinvolgere studenti impressionabili, prendere il
controllo del politburo e imprigionare chiunque resistesse loro. Allo stesso
modo, Marx ed Engels non riuscirono a stimare l'impatto della loro scrittura
sul capitalismo stesso. Nella misura in cui il Manifesto ha contribuito a
modellare l'Unione Sovietica, i suoi satelliti dell'Europa orientale, la Cuba
di Castro, la Jugoslavia di Tito e diversi governi socialdemocratici
occidentali, questi sviluppi non causerebbero una reazione a catena che
frustrerebbe le previsioni e le analisi del Manifesto? Dopo la rivoluzione
russa e poi la seconda guerra mondiale, la paura del comunismo costrinse i
regimi capitalisti ad abbracciare schemi pensionistici, servizi sanitari
nazionali, persino l'idea di far pagare ai ricchi perstudenti poveri e piccoli borghesi per
frequentare università liberali appositamente costruite. Nel frattempo, la
rabbiosa ostilità verso l'Unione Sovietica suscitò paranoia e creò un clima di
paura che si dimostrò particolarmente fertile per figure come Joseph Stalin e
Pol Pot. Credo che Marx ed Engels si sarebbero pentiti di non aver previsto
l'impatto del Manifesto sui partiti comunisti che prefigurava. Avrebbero preso
a calci se stessi trascurando il tipo di dialettica che amavano analizzare:
come gli stati operai sarebbero diventati sempre più totalitari nella loro
risposta all'aggressione dello stato capitalista, e come, nella loro risposta
alla paura del comunismo, questi stati capitalisti sarebbero cresciuti sempre
più civile. Beati, naturalmente, sono gli autori i cui errori derivano dal
potere delle loro parole. Ancora più benedetti sono quelli i cui errori si autocorreggono.
Al giorno d'oggi, gli stati operai ispirati al Manifesto sono quasi scomparsi
ei partiti comunisti si sono sciolti o in disordine. Liberato dalla
competizione con i regimi ispirati dal manifesto, il capitalismo globalizzato
si comporta come se fosse determinato a creare un mondo meglio spiegato dal Manifesto.
Ciò che rende il Manifesto davvero stimolante oggi è la sua raccomandazione per
noi nel qui e ora, in un mondo in cui le nostre vite sono costantemente
modellate da ciò che Marx descrisse nei suoi precedenti manoscritti economici e
filosofici come "un'energia universale che rompe ogni limite e ogni legame
e si pone come l'unica politica, l'unica universalità, l'unico limite e l'unico
legame ". Dai guidatori di Uber e dai ministri delle finanze ai dirigenti
bancari e ai miserabili poveri, tutti possiamo essere scusati per sentirci
sopraffatti da questa "energia". La portata del capitalismo è così
pervasiva che a volte può sembrare impossibile immaginare un mondo senza di
esso. È solo un piccolo passo da sentimenti di impotenza a cadere vittima
dell'asserzione, non c'è alternativa. Ma, sorprendentemente (sostiene il Manifesto),
è proprio quando stiamo per soccombere a questa idea che abbondano le
alternative. Ciò di cui non abbiamo bisogno in questo frangente sono i sermoni
sull'ingiustizia di tutto ciò, le denunce di crescente ineguaglianza o veglia
per la nostra svanente sovranità democratica. Né dovremmo sopportare atti
disperati di evasione regressiva: il grido di tornare ad uno stato pre-moderno
e pre-tecnologico in cui possiamo aggrapparci al nazionalismo. Ciò che il Manifesto
promuove nei momenti di dubbio e sottomissione è una valutazione chiara e
obiettiva del capitalismo e dei suoi mali, vista attraverso la fredda, dura
luce della razionalità.
Il Manifesto sostiene che il problema con il
capitalismo non è che produce troppa tecnologia, o che è ingiusto. Il problema
del capitalismo è che è irrazionale. Il successo del capitale nel diffondere la
sua portata attraverso l'accumulazione per amore dell'accumulazione sta facendo
sì che i lavoratori umani lavorino come macchine per una miseria, mentre i
robot sono programmati per produrre cose che i lavoratori non possono più
permettersi e di cui i robot non hanno
bisogno. Il capitale non riesce a fare un uso razionale delle macchine geniali
che genera, condannando intere generazioni alla privazione, un ambiente
decrepito, sottoccupazione e zero tempo libero reale dalla ricerca di
occupazione e sopravvivenza generale. Persino i capitalisti sono trasformati in
automi angosciati. Vivono nella paura permanente che, a meno di mercificare i
loro simili, cesseranno di essere capitalisti, unendosi ai ranghi desolati del
proletariato in espansione. Se il capitalismo appare ingiusto è perché rende
schiavi tutti, ricchi e poveri, sprecando risorse umane e naturali. La stessa
"linea di produzione"che produce ricchezza incalcolabile produce
anche infelicità profonda e malcontento su scala industriale. Quindi, il nostro
primo compito - secondo il Manifesto - è riconoscere la tendenza di questa
"energia" totalizzante a minare se stessa. Quando chiedono ai
giornalisti chi o quale sia la più grande minaccia al capitalismo oggi, sfido
le loro aspettative rispondendo: il Capitale! Naturalmente, questa è un'idea
che ho preso per decenni dal Manifesto.
Dato che non è né possibile né desiderabile annullare l'"energia" del
capitalismo, il trucco è di aiutare ad accelerare lo sviluppo del capitale (in
modo che bruci come una meteora che scorre nell'atmosfera) mentre, d'altra
parte, resiste (attraverso il razionale, azione collettiva) la sua tendenza a
schiacciare il nostro spirito umano. In breve, la raccomandazione del manifesto
è che spingiamo il capitale al limite limitandone le conseguenze e preparandoci
alla sua socializzazione. Abbiamo bisogno di più robot, migliori pannelli
solari, comunicazioni istantanee e sofisticate reti di trasporto verdi. Ma allo
stesso modo, dobbiamo organizzarci politicamente per difendere i deboli, potenziare
i molti e preparare il terreno per invertire le assurdità del capitalismo. In
termini pratici, ciò significa trattare l'idea che non c'è alternativa al
disprezzo che merita rifiutando tutte le richieste di un "ritorno" a
un'esistenza meno modernizzata. Non c'era nulla di etico nella vita sotto le
precedenti forme di capitalismo. Gli spettacoli televisivi che investono
massicciamente nella calcolata nostalgia, come Downton Abbey, dovrebbero
renderci felici di vivere quando lo facciamo. Allo stesso tempo, potrebbero
anche incoraggiarci a premere sull'acceleratore del cambiamento. Il Manifesto è
uno di quei testi emotivi che parlano a ciascuno di noi in modo diverso in
momenti diversi, riflettendo le nostre circostanze. Alcuni anni fa, mi definivo
un marxista erratico e libertario e venivo disprezzato a torto dai non marxisti
e dai marxisti. Poco dopo mi ritrovai in una posizione politica di rilievo,
durante un periodo di intenso conflitto tra l'allora governo greco e alcuni
degli agenti più potenti del capitalismo. Rileggendo il Manifesto ai fini della
stesura di questa introduzione è stato un po 'come invitare i fantasmi di Marx
ed Engels a urlare un misto di censura e sostegno nelle mie orecchie. Adults in
the Room, il mio ricordo del periodo in cui ho servito come ministro delle
finanze della Grecia nel 2015, racconta la storia di come la primavera greca fu
schiacciata da una combinazione di forza bruta (da parte dei creditori greci) e
un fronte diviso all'interno del mio governo. È onesto e accurato come potrei
farcela. Tuttavia, dal punto di vista del manifesto, i veri agenti storici
erano confinati alle apparenze cameo o al ruolo delle vittime quasi passive.
"Dov'è il proletariato nella tua storia?" Posso quasi sentire Marx ed
Engels che mi stanno urlando contro. "Non dovrebbero essere quelli che
affrontano il capitalismo più potente, con voi che sostenete dai margini?"
Come sono diventato un marxista
erratico… Per saperne di più, per fortuna, rileggere il Manifesto ha anche
offerto un po 'di conforto, appoggiando il mio punto di vista su di esso come
un testo liberale - perfino un libertario. Dove il Manifesto lambisce le virtù
borghesi-liberali, lo fa per la sua dedizione e persino amore per loro. La
libertà, l'autonomia, l'individualità, la spiritualità, lo sviluppo autoguidato
sono ideali che Marx ed Engels apprezzano sopra ogni altra cosa. Se sono arrabbiati
con la borghesia, è perché la borghesia cerca di negare alla maggioranza ogni
opportunità di essere libera. Data l'adesione di Marx ed Engels alla fantastica
idea di Hegel che nessuno è libero finché una persona è in catene, la loro lite
con la borghesia è che sacrificano la libertà e l'individualità di tutti
sull'altare del capitalismo di accumulazione. Sebbene Marx ed Engels non
fossero anarchici, detestavano lo stato e il suo potenziale di essere
manipolato da una classe per sopprimerne un altro. Nel migliore dei casi,
l'hanno visto come un male necessario che avrebbe continuato a vivere nel
futuro buono e post-capitalista che coordinava una società senza classi. Se
questa lettura del Manifesto trattiene l'acqua, l'unico modo di essere un comunista
è quello libertario. Osservare la chiamata del manifesto a "Unirsi!"
È in realtà incoerente con il diventare stalinisti portatori di carte o con la
ricerca di rifare il mondo a immagine di regimi comunisti ormai defunti. Quando
tutto è detto e fatto, allora, qual è la linea di fondo del Manifesto? E perché
qualcuno, specialmente i giovani di oggi, dovrebbe preoccuparsi della storia,
della politica e simili? Marx ed Engels hanno basato il loro manifesto su una
risposta commoventemente semplice: autentica felicità umana e autentica libertà
che deve accompagnarla. Per loro, queste sono le uniche cose che contano
davvero. Il loro manifesto non si basa su rigide invocazioni germaniche del
dovere, né fa appello alle responsabilità storiche per ispirarci ad agire. Non
moralizza o punta il dito. Marx ed Engels hanno tentato di superare le
fissazioni della filosofia morale tedesca e le motivazioni del profitto
capitalista, con un appello razionale ma al tempo stesso alle fondamenta della
nostra natura umana condivisa. La chiave della loro analisi è il baratro in
continua espansione tra coloro che producono e coloro che possiedono gli
strumenti di produzione. Il nesso problematico del capitale e del lavoro
salariato ci impedisce di godere del nostro lavoro e dei nostri artefatti e
trasforma i datori di lavoro e i lavoratori, ricchi e poveri, in pedine senza
mente e tremanti che sono marchiati rapidamente verso un'esistenza inutile da
forze al di fuori del nostro controllo. Ma perché abbiamo bisogno della
politica per affrontare questo? La politica non rende stolti, specialmente la
politica socialista, che una volta Oscar Wilde sosteneva "prende troppe
serate"? La risposta di Marx ed Engels è: perché non possiamo porre fine a
questa idiozia individualmente; perché nessun mercato può mai emergere che
produca un antidoto contro questa stupidità. L'azione politica collettiva e
democratica è la nostra unica possibilità di libertà e divertimento. E per
questo, le lunghe notti sembrano un piccolo prezzo da pagare. L'umanità può
riuscire ad assicurarsi accordi sociali che consentano "lo sviluppo libero
di ciascuno" come "condizione per il libero sviluppo di tutti".
Ma, di nuovo, possiamo finire nella "rovina comune" della guerra
nucleare, del disastro ambientale o del malcontento agonizzante. Nel nostro
momento presente, non ci sono garanzie. Possiamo rivolgerci al Manifesto per
ispirazione, saggezza ed energia ma, alla fine, ciò che prevale dipende da noi.
Tratto dall'introduzione di Yanis
Varoufakis a The Comunist Manifesto, pubblicato da Vintage Classics il 26 aprile
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