domenica 6 novembre 2016

Tesi sulle origini e i motivi del terrorismo: fattori religiosi e fattori psico-sociologici

Da  REPUBBLICA  05/11/2016, a pag. 9, si analizzano le differenti tesi in dibattito soprattutto in Francia, il paese più colpito negli anni recenti dal terrorismo di estremisti  maghrebini e mediorientali.
Si discute se le cause vadano ricercate più in un fanatismo che si sviluppa al'interno di elementi connaturati ai caposaldi della religione islamica ( che nei paesi dove storicamente viene praticata non ha conosciuto i correttivi dell'illuminismo, del liberalismo, che hanno mitigato l'oltranzismo cristiano) o in  fattori psicosociologici, quali la marginalità, la povertà , la mancanza di scolarizzazione ecc.
Ci pare di osservare come queste tesi completino,più che dividere,un'analisi, che i fattori variamente elencati concorrano insieme al radicalizzarsi e diffondersi dei fenomeni  conflittuali e distruttivi aumentati negli ultimi decenni.In somma, la violenza che viene dal Medio-oriente e che trova linfa nella mancata integrazione  nelle società occcidentali.
D.V.

Una parte della sinistra francese tenta di occultare il legame tra jihadismo e Islam in nome di valori antichi come l’antirazzismo e il relativismo culturale. È la pesante accusa che fa Gilles Kepel nel suo nuovo saggio pubblicato da Gallimard, “La Fracture”. Il noto orientalista, direttore della cattedra di Medio Oriente e Mediterraneo all’École Normale Supérieure, paventa una “frattura” sempre più profonda nella società francese tra un «nuovo proletariato di figli di immigrati manipolati contro le classi medie».
Ma non solo. Il rischio, secondo Kepel, è «procedere bendati», con una «cecità criminale» nella nuova battaglia contro il terrorismo perché certa sinistra tenterebbe di «minimizzare » la matrice islamica del jihadismo, non volendo riconoscere che esiste un problema dentro alla religione. In nome di valori di sinistra, come l’antirazzismo, Kepel sostiene che molti intellettuali e dirigenti politici tentano di occultare il fanatismo che si sta sviluppando nel mondo islamico, mettendo la testa sotto la terra con la «strategia dello struzzo».
Sono quelli che Kepel definisce «islamo-gauchistes», un’accusa che ricorda i “fiancheggiatori” negli anni del terrorismo rosso. Le contraddizioni rilevate da Kepel sono tante, da François Hollande che a lungo non ha voluto parlare di «terrorismo islamico » ai partiti di estrema sinistra che candidano donne con il velo. Un atteggiamento — continua Kepel — che scaturirebbe dalla storia coloniale della Francia e dal senso di colpa ereditato nei confronti delle popolazioni immigrate due o tre generazioni fa. Un meccanismo «perverso » — continua lo studioso — che impedisce di affrontare «la sfida mortale del jihadismo nel nostro paese».
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La copertina
L’allarme di Kepel è stato ripreso in copertina dell’Obs, storico settimanale della sinistra, alimentando un dibattito che va avanti da mesi. Anche il giornalista di Le Monde, Jean Birenbaum, aveva denunciato nel gennaio scorso il «silenzio religioso» (titolo del suo saggio) di certa sinistra francese. Birenbaum mette in luce contraddizioni nella teoria marxista sulle religioni come “oppio del popolo”, mentre il comunismo “è a sua volta una Chiesa”. Il saggista ricorda anche i casi di intellettuali di sinistra che hanno appoggiato rivolte popolari strumentalizzate dalla religione, dalla rivoluzione in Iran alla guerra di liberazione in Algeria. Mentre la destra non ha tabù sul tema, la sinistra è ancora divisa sul riconoscere o meno una matrice religiosa del terrorismo che ha colpito il paese nell’ultimo anno e mezzo. 

Differente  il punto di vista espresso da Olivier Roy, specialista dell’Islam politico e professore all’Istituto universitario di Fiesole,  che spiega il jihadismo con ragioni sociologiche — la povertà, la segregazione — e psichiatriche nei casi dei giovani più fragili e vulnerabili  in un nuovo saggio, “La Djihad et la mort”, nel quale sostiene che i giovani jihadisti esprimono prima di tutto una forma di dissidenza sociale, un nichilismo folle e violento che ha poco a che vedere con moschee e religione. È quella che Roy chiama «l’islamizzazione della radicalità»: l’ideologia dell’Isis non farebbe altro che «nobilitare» comportamenti di «sbandati», marginali che possono riciclarsi in martiri. Una tesi agli antipodi di quella di Kepel, che mette invece al primo posto la “radicalizzazione dell’Islam”. I due studiosi francesi continueranno ad affrontarsi in interviste e in libreria, rappresentando opposte fazioni.

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