LA FILOSOFIA DI BERGSON E LA LETTERATURA
di Marcello Mustè
Nel 1927 Henri Bergson fu insignito del Premio Nobel per la letteratura sia “per le sue ricche e feconde idee” sia “per la brillante abilità con cui ha saputo presentarle”. Come in altri casi (soprattutto, nel 1964, per il medesimo riconoscimento attribuito a Jean-Paul Sartre), in assenza di uno specifico premio destinato alla filosofia, la motivazione si riferiva tanto all’originalità del contributo speculativo quanto alla forma letteraria della sua espressione. Ma il rapporto di Bergson con la letteratura presenta altri aspetti, che riguardano la specifica teoria dell’arte e l’influenza esercitata sulla maggiore narrativa del Novecento, a cominciare da Marcel Proust e James Joyce.
Tra Proust e JoyceL’influenza di Bergson sulla grande letteratura del Novecento non riguarda soltanto la teoria dell’arte ma, più in generale, gli aspetti fondamentali della sua filosofia. Insieme agli esiti della psicoanalisi di Freud e della teoria della relatività di Einstein, la concezione bergsoniana della ‘durata’ penetra nella forma del racconto, rendendo possibile la frantumazione del tempo narrativo nel flusso di coscienza e, infine, la disintegrazione della stessa figura del personaggio. Anche a prescindere dai rapporti diretti che intercorsero fra i due (Bergson sposò una cugina di Proust, Louise Neuburger), non vi è dubbio che laRecherche proustiana, pur senza essere – come si è detto – un ‘romanzo bergsoniano’, risente dell’idea di una memoria spontanea, sensoriale, che trova se stessa saltando la dimensione logica della successione e dell’utilità contingente, e che dunque afferma un’unità sostanziale di passato e presente nel fluire ininterrotto della coscienza. In un modo per alcuni versi analogo, anche l’Ulysses di Joyce sembra risentire della dissoluzione, che Bergson aveva operata sul piano filosofico, del tempo esteriore e spazializzato, con la ricerca di un tempo profondo, attraverso la tecnica del monologo interiore e, forse soprattutto, con la radicale sperimentazione linguistica, che ricerca un registro espressivo capace di vincere il filtro del simbolismo ordinario, di aderire alla durata reale della psiche individuale, come accade, per esempio, nel monologo interiore di Mrs. Bloom.
Nel 1927 Henri Bergson fu insignito del Premio Nobel per la letteratura sia “per le sue ricche e feconde idee” sia “per la brillante abilità con cui ha saputo presentarle”. Come in altri casi (soprattutto, nel 1964, per il medesimo riconoscimento attribuito a Jean-Paul Sartre), in assenza di uno specifico premio destinato alla filosofia, la motivazione si riferiva tanto all’originalità del contributo speculativo quanto alla forma letteraria della sua espressione. Ma il rapporto di Bergson con la letteratura presenta altri aspetti, che riguardano la specifica teoria dell’arte e l’influenza esercitata sulla maggiore narrativa del Novecento, a cominciare da Marcel Proust e James Joyce.
Tra Proust e JoyceL’influenza di Bergson sulla grande letteratura del Novecento non riguarda soltanto la teoria dell’arte ma, più in generale, gli aspetti fondamentali della sua filosofia. Insieme agli esiti della psicoanalisi di Freud e della teoria della relatività di Einstein, la concezione bergsoniana della ‘durata’ penetra nella forma del racconto, rendendo possibile la frantumazione del tempo narrativo nel flusso di coscienza e, infine, la disintegrazione della stessa figura del personaggio. Anche a prescindere dai rapporti diretti che intercorsero fra i due (Bergson sposò una cugina di Proust, Louise Neuburger), non vi è dubbio che laRecherche proustiana, pur senza essere – come si è detto – un ‘romanzo bergsoniano’, risente dell’idea di una memoria spontanea, sensoriale, che trova se stessa saltando la dimensione logica della successione e dell’utilità contingente, e che dunque afferma un’unità sostanziale di passato e presente nel fluire ininterrotto della coscienza. In un modo per alcuni versi analogo, anche l’Ulysses di Joyce sembra risentire della dissoluzione, che Bergson aveva operata sul piano filosofico, del tempo esteriore e spazializzato, con la ricerca di un tempo profondo, attraverso la tecnica del monologo interiore e, forse soprattutto, con la radicale sperimentazione linguistica, che ricerca un registro espressivo capace di vincere il filtro del simbolismo ordinario, di aderire alla durata reale della psiche individuale, come accade, per esempio, nel monologo interiore di Mrs. Bloom.
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