Nel sistema ortogonale della mappa del centro città,nell'angolo
nord-occidentale trova posto il Donatello, affacciato sulla piazza
Indipendenza, da cui si raggiungono velocemente S.Marco e l'Annunziata..
Il personale, guidato dal vulcanico direttore,interpreta con sempiterna
perizia le caratteristiche dell'ospitalità turistica di una delle top
ten mondiali, arrangiando la destinazione di camere,nei meandri della
struttura divisa su due unità.Le camere appaiono dignitose, con ciò che
serve all'ospite.
La colazione è un pò limitata, sia pur con una buona scelta di tè.
Il boss Tommy Edoardina e Mark Cabbage...
Lorenzo Goodman ha recentemente dotato l'hotel Donatello di una discoteca , specializzata nel"tunza tunza": apertura ore 2.30
A voi altri racconti...
giovedì 26 marzo 2015
sabato 21 marzo 2015
Come ho visto l'eclisse da Porta Nuova a Milano...
La parola è di origine greca, ékleipsis, propriamente “abbandono”, “mancanza”, da ekléipo, “lascio”, “abbandono” (con allusione alla scomparsa del disco solare o lunare). Dal greco si originò il latino eclìpsis, e di qui una forma italiana regolare in -e, eclisse (come nave da navis e fine da finis). Ma qualcuno pensò bene d’introdurre una forma dotta rispettosa della finale i del latino, eclissi.
giovedì 19 marzo 2015
Quasi pronti per Firenze ?...
IIS L.COBIANCHI-VERBANIA
V.D’I. 23-24-25 MARZO FIRENZE
CLASSI 4 A –B LSA PROFF.VARINI-PESCIO
PROGRAMMA ( di massima)
Lunedì 23 marzo
h.7.00 partenza dalla stazione di VERBANIA PALLANZA /FONDOTOCE H.7.14, treno
regionale, arrivo a MILANO C.le previsto H.8.35
(SI
RACCOMANDA MASSIMA PUNTUALITA’ , PRESENTARSI IN SALA D’ASPETTO STAZIONE ENTRO LE H.7.00-BIGLIETTI GIA’ EMESSI,
TRENO IN PARTENZA DAL BINARIO 3, ATTRAVERSO SOTTOPASSAGGIO,PORTARSI VERSO LE CARROZZE DI TESTA TRENO….)
h.9.15 Partenza treno Freccia rossa 9517 MILANO c.- (posti
prenotati)arrivo previsto a FIRENZE 10.55
Trasferimento
dalla staz.di S.Maria Novella all’hotel Donatello(piazza Indipendenza), se possibile immediato
check-in o comunque deposito bagagli
Dopo piccolo
ristoro, trasferimento e visita al Museo Leonardo Da Vinci (zona Duomo); a
seguire trasferimento e visita ai Giardini di Boboli;
Rientro in
albergo, definitivo check-in , relax, cena
Martedì 24 marzo
h.7.30
Colazione
h.8.30
Accesso alla Galleria degli Uffizi
Ristoro
centro giornata
Percorso storico
centro città, Oltr'Arno,Madonna del Carmine,piazzale Michelangelo.
Rientro in
albergo, relax, cena
Mercoledì 25 marzo
h.7.30
Colazione
h.8.30
Accesso Basilica e Museo San Marco e/o San Lorenzo..
Check-out e r istoro mezzogiorno
h.15.00 FR 9532 Firenze
smn/Milano c.le -16.40
h.17.30 R Milano c.le/Verbania-Pallanza 18.44
Note
Ricordo che ingressi
musei, visite, pasti ore centrali delle tre giornate non sono compresi. E'prevista a persona una cauzione di 10 euro, che verranno restitutite se non saranno causati danni; e una tassa di soggiorno di e.3(1,5 a notte, con sconto studenti già compreso).Ricordo che all'origine è stato stabilito un patto amichevole perchè sia assicurata disciplina rispetto alle regole stabilite internamente, con ultima decisione da parte degli insegnanti accompagnatori.
Il programma di visite e
percorsi potrà subire cambiamenti .
martedì 10 marzo 2015
I tre volti del teatro illuminista del nord Italia
I tre volti
del Settecento: Goldoni, Parini ed Alfieri, provenienti da ambienti totalmente
diversi, operano la rivoluzione dell’epoca tramite l’”amor di se stessi”. La
modernità si fa teatro, con ideologie e radici proprie, ma con lo stesso
intento: denunciare una classe che ha perso completamente il lume della
ragione. Il che è leggermente obsoleto se consideriamo di trovarci proprio nel
secolo dell’Illuminismo.
1.
Ironica
beffa…
Carlo Goldoni (1707-1793) nasce in una Venezia che ancora “consuma i ricordi del proprio glorioso passato in un disincantato edonismo” (Ferroni). Arroccata nella sua testarda chiusura, si offre all’Europa come città-spettacolo, mostrando la sua raffinata decadenza a quanti ancora la considerano il più attivo centro editoriale italiano. Dopo una vita abbastanza travagliata, appare chiaro che i testi siano stati scritti per particolari occasioni teatrali, ma soprattutto vedono il passaggio ad un pubblico più ampio e difficile, eppure più controllabile. Sicuramente il “torchio” di “centocinquanta commedie in verso e in prosa” non ha una precisa collocazione, tant’è vero che spesso si usa la periodizzazione della sua esperienza comica. Il continuo passare dalla lingua al dialetto, e viceversa, lo porta a dare spazio ai diversi usi sociali del linguaggio, ma ciò che caratterizza maggior mente la sua opera è il rapporto fra ‘mondo’ e ‘natura’, col quale egli combatterà per tutta la vita senza sapere se assecondarlo od opporgli resistenza. Gli effetti facili e schematici, le caricature, le figure di contorno, gli intrecci e i vari equivoci sono chiarissimi i richiami alla commedia dell’arte, apparentemente lontani dall’idea di riforma che lo stesso autore aveva riposto in quell’iniziale contrasto. Quello del Goldoni è il cosiddetto ‘illuminismo popolare’, perché mira al progresso civile tramite la critica all’ipocrisia ed alla superstizione (evidente soprattutto nella Locandiera, con il tema della misoginia e del rimorso). Con forza, il teatro in generale, e quello goldoniano in particolare, offrono una quantità di modelli etici strabiliante, tutti al di là della moralistica ed arbitrariamente individuale concezione di positivo e negativo. La sua visione, intenzionalmente o meno, turba così quegli equilibri dei valori che la stessa vita ha creato, riavvicinandosi dunque all’idea di riforma.
Carlo Goldoni (1707-1793) nasce in una Venezia che ancora “consuma i ricordi del proprio glorioso passato in un disincantato edonismo” (Ferroni). Arroccata nella sua testarda chiusura, si offre all’Europa come città-spettacolo, mostrando la sua raffinata decadenza a quanti ancora la considerano il più attivo centro editoriale italiano. Dopo una vita abbastanza travagliata, appare chiaro che i testi siano stati scritti per particolari occasioni teatrali, ma soprattutto vedono il passaggio ad un pubblico più ampio e difficile, eppure più controllabile. Sicuramente il “torchio” di “centocinquanta commedie in verso e in prosa” non ha una precisa collocazione, tant’è vero che spesso si usa la periodizzazione della sua esperienza comica. Il continuo passare dalla lingua al dialetto, e viceversa, lo porta a dare spazio ai diversi usi sociali del linguaggio, ma ciò che caratterizza maggior mente la sua opera è il rapporto fra ‘mondo’ e ‘natura’, col quale egli combatterà per tutta la vita senza sapere se assecondarlo od opporgli resistenza. Gli effetti facili e schematici, le caricature, le figure di contorno, gli intrecci e i vari equivoci sono chiarissimi i richiami alla commedia dell’arte, apparentemente lontani dall’idea di riforma che lo stesso autore aveva riposto in quell’iniziale contrasto. Quello del Goldoni è il cosiddetto ‘illuminismo popolare’, perché mira al progresso civile tramite la critica all’ipocrisia ed alla superstizione (evidente soprattutto nella Locandiera, con il tema della misoginia e del rimorso). Con forza, il teatro in generale, e quello goldoniano in particolare, offrono una quantità di modelli etici strabiliante, tutti al di là della moralistica ed arbitrariamente individuale concezione di positivo e negativo. La sua visione, intenzionalmente o meno, turba così quegli equilibri dei valori che la stessa vita ha creato, riavvicinandosi dunque all’idea di riforma.
I suoi
personaggi sono plasmati con una violenza corrosiva che esce dagli schemi e
rende piacevole lo sperimentalismo teatrale.
L’irrequietezza
a fior di pelle procede in una climax ascendente di ripicche, scatti nervosi,
ribellioni ed esplosioni fino all’ happy ending, di solito un matrimonio che ha
il solo compito di sospendere le contraddizioni più apparenti. Questo mette in
luce quanto i rapporti siano in realtà solo esteriori e pieni di radicale
ostilità. E l’originalità sta proprio qui, nel piacere del vuoto, nella
crudeltà della vita che si accanisce intorno al nulla, e crea un profondo
malessere da cui trarre un’insolita gioia.
2.
… nobile o
no? …
Giuseppe
Parini (1729-1799) è invece lontano dal cosmopolitismo illuminato, si mantiene
sempre fedele alla tra dizione classica latina e greca, e si pone come poeta
‘civile’ col fine di difendere un moderato razionalismo (distante dunque dalla
riforma goldoniana) che rinnova i pregiudizi e rende reali i rapporti fra gli
uomini. Ciò che restituisce interesse al suo pensiero è il confronto fra
società positiva (e ideale) e quella ad egli contemporanea. Da qui emerge
ancora una volta – inaspettatamente – una prospettiva rivoluzionaria
che non aspira alla distruzione della nobiltà, ma essenzialmente alla critica
della “boria dei dotti” e dell’alterigia, del mancato ruolo di guida che ancora
le spetterebbe. Il suo classicismo cosiddetto ‘illuminato’ è l’educazione della
nobiltà, associata all’ostilità verso di essa fino al culmine nell’amore disinteressato
della cultura e nel disprezzo assoluto di ogni tipo di volgarità. Fra Il Giorno e
Le Odi vengono fuori il confronto continuo del mondo ‘sublime’ con
altri modi di esistenza, il ritratto fermo di personalità definite, e
il contrasto con la bellezza femminile e l’impossibile desiderio del vecchio,
in un rapporto deviato col mondo della nobiltà.
3.…
e
tragedie di sangue blu
Vittorio
Alfieri (1749-1803) riscopre la scelta volontaristica della tragedia legata al
desiderio di
un’espressione
originale, una comunicazione ‘nobile’ che porta al già noto impulso di
contrastare il mondo e la sua società. Alfieri si differenzia perché è un
nobile, e come tale nutre diverse ispirazioni. Il suo teatro è ‘da camera’, e
mostra lo sdegno verso la frivolezza della realtà contemporanea. Lo scontro con
la realtà lo porta al confronto con la politica: la sua è libertà intesa come
tensione a rompere le costrizioni della società illuminata, ma di fatto
assolutistica. E questo conflitto è evidentissimo nelle tragedie, in cui i
protagonisti sono l’uomo libero e il tiranno,e non
possono fare a meno l’uno dell’altro, in un continuo scontro fra eroi
‘positivi’ e ‘negativi’ contornati da contrasti familiari che in fondo si
rivelano essere un inquietante nodo personale ancora da sciogliere. Forse da
qui deriva l’idea di unire tutte le tragedie in un corpus unitario, in
modo che il
dramma autobiografico ne fosse la linea guida.
Quando
l’Alfieri morì, il Parini era spirato da quattro anni, e il Goldoni da dieci.
Il secolo dei Lumi vive così fra commedia e tragedia, fra ricerca della gioia
ed espressione di un profondo disagio, la comune avversione per una nobiltà
vuota, volgare, incapace e ormai anacronistica. Un borghese, un popolano ed un nobile
seppelliscono il secolo cui sono vissuti sotto il palco dell’ironia.
Carola Cecchi
Carola Cecchi
mercoledì 4 marzo 2015
Programma fiorentino
V.D’I. 23-24-25 MARZO FIRENZE
CLASSI 4 A –B LSA PROFF.VARINI-PESCIO
PROGRAMMA ( di massima)
Lunedì 23 marzo
h.7.00 partenza dalla stazione di VERBANIA PALLANZA /FONDOTOCE H.7.14, treno
regionale, arrivo a MILANO C.le previsto H.8.35
(SI
RACCOMANDA MASSIMA PUNTUALITA’ , PRESENTARSI IN SALA D’ASPETTO STAZIONE ENTRO LE H.7.00-BIGLIETTI GIA’ EMESSI,
TRENO IN PARTENZA DAL BINARIO 3, ATTRAVERSO SOTTOPASSAGGIO….)
h.9.15 Partenza treno Freccia rossa MILANO- (posti
prenotati)arrivo previsto a FIRENZE 10.55
Trasferimento
dalla staz.di S.Maria Novella all’hotel Byron(via della Scala), se possibile immediato
check-in o comunque deposito bagagli
Dopo piccolo
ristoro, trasferimento e visita al Museo Leonardo Da Vinci (zona Duomo); a
seguire trasferimento e visita ai Giardini di Boboli;
Rientro in
albergo, definitivo check-in , relax, cena
Martedì 24 marzo
h.7.30
Colazione
h.8.30
Accesso alla Galleria degli Uffizi
Ristoro
centro giornata
Percorso storico
centro città, Madonna del Carmine ,, San Lorenzo...
Rientro in
albergo, relax, cena
Mercoledì 25 marzo
h.7.30
Colazione
h.8.30
Accesso Basilica e Museo San Marco
Check-out e r istoro mezzogiorno
h.15.00 FR 9532 Firenze
smn/Milano c.le -16.40
h.17.30 R Milano c.le/Verbania-Pallanza 18.44
Note
Ricordo che ingressi
musei, visite, pasti ore centrali delle tre giornate non sono compresi.
Il programma di visite e
percorsi potrà subire cambiamenti .
domenica 1 marzo 2015
Firenze, 1
Siamo a venti giorni dal viaggio d'istruzione a Firenze.Ecco la prima
puntata del grand tour di Alvar Gonzales-Palacios...immergetevi nel
racconto, liberate l'immaginazione, e cominciate a pregustare i l vostro
tour in questa città ricca di storia e d'arte....
Da Roma a Firenze la distanza non è lunga eppure sono due luoghi del tutto diversi, quasi che le capitali della Santa Sede e del Granducato fossero remote. Il Lazio è brusco, severo; più clementi i colli toscani popolati di ulivi, foglie cangianti dal verde all’argento quando soffia il vento, come in un verso del Poliziano o del Magnifico, non ricordo più bene. Ma io guardo i cipressi che sempre «una gentil pietade avean di me». In Italia li si dice alberi adatti ai cimiteri ma a me sembrano magnifici obelischi viventi.
Si percorre la strada che costeggia la Certosa del Galluzzo, la via Senese, i Giardini del Poggio Imperiale e ci si inoltra in un universo di pietra, la sterminata facciata di Palazzo Pitti, via Maggio più delicata nella sua bicromia di pietra serena grigia e calcare bigio, fino a via dei Serragli. Alloggio in fondo al cortile di uno dei palazzi Antinori, tre stanzine silenziose: il palazzo apparteneva a un ramo della famiglia toscana che a metà Ottocento ebbe il ducato di Brindisi. In quegli anni Giuseppe Poggi riaccomodò l’intero edificio con elegante buonsenso. Fu lui, l’Haussmann fiorentino, a risanare l’intero centro storico, distruggendo non poco. Ma lo si perdona se si fa il giro del viale dei Colli e si arriva al piazzale Michelangelo, uno dei luoghi più belli d’Europa. Già conoscevo bene l’edificio in cui abito, ci viveva Urlrich Middeldorf, direttore dell’Istituto tedesco di storia dell’arte. Middeldorf (1901-1983) aveva studiato con grandi maestri a Monaco e a Berlino, soprattutto con Wölfflin ma oltre a essere un esponente della “pura visibilità” si interessava di ogni cosa artistica e di tanto ancora. Il giorno in cui mi ricevette mi parlò di letteratura e dell’influsso che il Cavalier Marino aveva avuto sull’arte barocca. Erano altri tempi ma nemmeno allora era frequente una tale devozione al proprio lavoro: Middeldorf seguiva con curiosità quel che cercavo di fare, indicandomi fonti poco note o documenti pubblicati in riviste rare; insegnando imparava, appagando la sua inesauribile curiosità. Quando cominciai a interessarmi ai tessuti mi invitò nella sua casa (che vedo oggi dalla finestra) e aperti i tiretti di un grande mobile mi fece esaminare con occhi e mani le centinaia di frammenti che aveva raccolto in mezzo secolo. Per entrare nel suo appartamento, dove visse lunghi anni con la moglie Gloria, si passava da un ambiente che ospitava pezzi archeologici raccolti da Giovanni Gaetano Antinori verso la metà del Settecento tra i quali spiccavano molti avanzi etruschi.
Dall’altra parte di via dei Serragli, quasi di fronte a dove
sono ora, si trova Palazzo Feroni, più volte arricchito lungo i secoli
finchè acquistò il suo aspetto odierno nel tardo Settecento per mano
dell’architetto Zanobi del Rosso. I Feroni erano facoltosi, avevano
cappella di famiglia alla Chiesa dell’Annunziata con opere del migliore
artista fiorentino del barocco, Giovanni Battista Foggini, e fecero le
cose in grande. Il cortile del palazzo è ancora splendido con quella
leggera trascuratezza che è segno di antica passione per marmi e piante.
Vi andavo spesso a studiare con una mia compagna di università, nipote
di uno dei più famosi antiquari del primo Novecento, Salvatore Romano.
In anni successivi, quando un appartamento a pian terreno del palazzo
rimase sfitto, lo consigliai agli amici Evelina e Virgilio Gaddi che vi
abitarono per un ventennio: dal cortile ombroso si passava ad ampie
stanze con affreschi neoclassici e a un giardino semplice ma grazioso.
Piazza del Carmine in pieno inverno e al cadere della sera ha un senso di vuoto quasi desolato. La facciata incompiuta della chiesa non fa indovinare come essa nasconda non solo la Cappella Corsini, dove trionfa il Foggini, ma anche uno dei maggiori monumenti del Rinascimento, la Cappella Brancacci affrescata da Masolino e da Masaccio. A due passi, in un casamento verso Borgo San Frediano c’era lo studio di Luigi Baldacci, uomo inquieto, talvolta mordace ma critico letterario di grande finezza e ossessionato intenditore di lirica. Nei pressi, a via Santa Monaca, lavora Fausto Calderai, l’arbiter elegantiarum della Firenze d’oggi: è un mio amico giovane ma a ben pensarci sono trentasette anni che lo conosco e a lui devo l’aver avvicinato una Firenze diversa da quella dei miei primi anni.
Dopo l’alluvione del 1966, non lontano da Piazza del Carmine, acquistai un modestissimo quartierino in via della Chiesa dirimpetto all’Albergo dei Poveri. Ci sono passato ieri, mezzo secolo dopo: è meno squallido di quanto allora mi apparisse ma sulla spoglia facciata dell’immobile, al numero 93, è sempre affissa la lapide in ricordo di un poeta inglese, più famoso nell’Ottocento di quanto lo sia oggi, Walter Savage Landor che vi morì nel 1864. Se ritorno su via dei Serragli e giro a sinistra, anziché come avevo fatto prima a destra, sono in men che non si dica in Piazza Santo Spirito. Mi trovo davanti Palazzo Guadagni attorniato da panconi di pietra su cui ai miei tempi sedevano vecchietti avvinazzati che parlavano bestemmiando di ciò che non bazzicavano più, donne e calcio, accanto ai baroccini dove si vendeva e si vende ancora frutta e verdura. Il palazzo era sede del Kunsthistorisches Institut dove conobbi la maggior parte degli storici dell’arte dell’epoca e dove passai mesi e anni a studiare i primitivi toscani tra Spinello Aretino e Lorenzo Monaco con il mio compagno di università Luciano Bellosi e con Marvin Eisenberg. L’edificio, costruito per la famiglia Dei, è attribuito a Simone del Pollaiolo detto il Cronaca ma altri lo credono di un architetto più importante, Bacio d’Agnolo, al quale si deve uno dei più bei campanili fiorentini, quello, appunto, nella stessa piazza.
Grand Tour tra i leoni fiorentini
Da Roma a Firenze la distanza non è lunga eppure sono due luoghi del tutto diversi, quasi che le capitali della Santa Sede e del Granducato fossero remote. Il Lazio è brusco, severo; più clementi i colli toscani popolati di ulivi, foglie cangianti dal verde all’argento quando soffia il vento, come in un verso del Poliziano o del Magnifico, non ricordo più bene. Ma io guardo i cipressi che sempre «una gentil pietade avean di me». In Italia li si dice alberi adatti ai cimiteri ma a me sembrano magnifici obelischi viventi.
Si percorre la strada che costeggia la Certosa del Galluzzo, la via Senese, i Giardini del Poggio Imperiale e ci si inoltra in un universo di pietra, la sterminata facciata di Palazzo Pitti, via Maggio più delicata nella sua bicromia di pietra serena grigia e calcare bigio, fino a via dei Serragli. Alloggio in fondo al cortile di uno dei palazzi Antinori, tre stanzine silenziose: il palazzo apparteneva a un ramo della famiglia toscana che a metà Ottocento ebbe il ducato di Brindisi. In quegli anni Giuseppe Poggi riaccomodò l’intero edificio con elegante buonsenso. Fu lui, l’Haussmann fiorentino, a risanare l’intero centro storico, distruggendo non poco. Ma lo si perdona se si fa il giro del viale dei Colli e si arriva al piazzale Michelangelo, uno dei luoghi più belli d’Europa. Già conoscevo bene l’edificio in cui abito, ci viveva Urlrich Middeldorf, direttore dell’Istituto tedesco di storia dell’arte. Middeldorf (1901-1983) aveva studiato con grandi maestri a Monaco e a Berlino, soprattutto con Wölfflin ma oltre a essere un esponente della “pura visibilità” si interessava di ogni cosa artistica e di tanto ancora. Il giorno in cui mi ricevette mi parlò di letteratura e dell’influsso che il Cavalier Marino aveva avuto sull’arte barocca. Erano altri tempi ma nemmeno allora era frequente una tale devozione al proprio lavoro: Middeldorf seguiva con curiosità quel che cercavo di fare, indicandomi fonti poco note o documenti pubblicati in riviste rare; insegnando imparava, appagando la sua inesauribile curiosità. Quando cominciai a interessarmi ai tessuti mi invitò nella sua casa (che vedo oggi dalla finestra) e aperti i tiretti di un grande mobile mi fece esaminare con occhi e mani le centinaia di frammenti che aveva raccolto in mezzo secolo. Per entrare nel suo appartamento, dove visse lunghi anni con la moglie Gloria, si passava da un ambiente che ospitava pezzi archeologici raccolti da Giovanni Gaetano Antinori verso la metà del Settecento tra i quali spiccavano molti avanzi etruschi.
Piazza del Carmine in pieno inverno e al cadere della sera ha un senso di vuoto quasi desolato. La facciata incompiuta della chiesa non fa indovinare come essa nasconda non solo la Cappella Corsini, dove trionfa il Foggini, ma anche uno dei maggiori monumenti del Rinascimento, la Cappella Brancacci affrescata da Masolino e da Masaccio. A due passi, in un casamento verso Borgo San Frediano c’era lo studio di Luigi Baldacci, uomo inquieto, talvolta mordace ma critico letterario di grande finezza e ossessionato intenditore di lirica. Nei pressi, a via Santa Monaca, lavora Fausto Calderai, l’arbiter elegantiarum della Firenze d’oggi: è un mio amico giovane ma a ben pensarci sono trentasette anni che lo conosco e a lui devo l’aver avvicinato una Firenze diversa da quella dei miei primi anni.
Dopo l’alluvione del 1966, non lontano da Piazza del Carmine, acquistai un modestissimo quartierino in via della Chiesa dirimpetto all’Albergo dei Poveri. Ci sono passato ieri, mezzo secolo dopo: è meno squallido di quanto allora mi apparisse ma sulla spoglia facciata dell’immobile, al numero 93, è sempre affissa la lapide in ricordo di un poeta inglese, più famoso nell’Ottocento di quanto lo sia oggi, Walter Savage Landor che vi morì nel 1864. Se ritorno su via dei Serragli e giro a sinistra, anziché come avevo fatto prima a destra, sono in men che non si dica in Piazza Santo Spirito. Mi trovo davanti Palazzo Guadagni attorniato da panconi di pietra su cui ai miei tempi sedevano vecchietti avvinazzati che parlavano bestemmiando di ciò che non bazzicavano più, donne e calcio, accanto ai baroccini dove si vendeva e si vende ancora frutta e verdura. Il palazzo era sede del Kunsthistorisches Institut dove conobbi la maggior parte degli storici dell’arte dell’epoca e dove passai mesi e anni a studiare i primitivi toscani tra Spinello Aretino e Lorenzo Monaco con il mio compagno di università Luciano Bellosi e con Marvin Eisenberg. L’edificio, costruito per la famiglia Dei, è attribuito a Simone del Pollaiolo detto il Cronaca ma altri lo credono di un architetto più importante, Bacio d’Agnolo, al quale si deve uno dei più bei campanili fiorentini, quello, appunto, nella stessa piazza.
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