mercoledì 25 febbraio 2015

Ottocento:le tracce



IIS L.Cobianchi-Verbania,…………………….alunna/o…………………………cl.4°

1.Storia-Il pensiero risorgimentale italiano

Dopo l’esperienza napoleonica di riunificazione d’Italia, benché sotto governo francese, fin dalla prima metà dell’Ottocento ,al passo con i tempi ,si manifestano idee di unità e d’indipendenza in varie versioni. Analizza, anche servendoti dei passi seguenti, quali furono le più importanti opinioni, quali pregi e difetti avevano, quali si affermarono e quali no, quali considerazioni ti senti di fare rapportandole all’attualità del nostro Paese.

 (Gli italiani)Vogliono libertà, indipendenza ed unione. Poichè il grido del 1789 ha rotto il sonno de’ popoli, hanno ricercato i titoli coi quali potevano presentarsi alla grande famiglia europea, e non hanno trovato che ceppi; divisi, oppressi, smembrati, non han nome, nè patria; hanno inteso lo straniero a chiamarli iloti delle nazioni; l’uomo libero esclamare visitando le loro contrade: non è che polvere! Han bevuto intero il calice amaro della schiavitù; han giurato di non ricominciare…..
E v’ha una terza via, Sire, che conduce alla vera potenza e all’immortalità della gloria. V’è un terzo alleato più sicuro e più forte per voi che non son l’Austria e la Francia. E v’ha una corona più brillante e sublime che non è quella del Piemonte, una corona che non aspetta se non l’uomo abbastanza ardito per concepire il pensiero di cingerla, abbastanza fermo per consecrarsi tutto alla esecuzione di siffatto pensiero, abbastanza virtuoso per non insozzarne lo splendore con intenzioni di bassa tirannide.. Ponetevi alla testa della nazione e scrivete sulla vostra bandiera: Unione, Libertà, Indipendenza!
Mazzini,Lettera a Carlo Alberto,1831

Romani!
La forza brutale ha sottomesso la vostra città; ma non mutato o scemato i vostri diritti. La repubblica romana vive eterna, inviolabile nel suffragio dei liberi che la proclamarono, nella adesione spontanea di tutti gli elementi dello Stato, nella fede dei popoli che hanno ammirato la lunga nostra difesa, nel sangue dei martiri che caddero sotto le nostre mura per essa. Tradiscano a posta loro gl'invasori le loro solenne promesse. Dio non tradisce le sue. Durate costanti e fedeli al voto dell'anima vostra, nella prova alla quale Ei vuole che per poco voi soggiacciate; e non diffidate dell'avvenire. Brevi sono i sogni della violenza, e infallibile il trionfo d'un popolo che spera, combatte e soffre per la Giustizia e per la santissima Libertà.

G.Mazzini, Lettera ai Romani,5 luglio 1849


"E qual più bello spettacolo può affacciarsi alla mente di un Italiano, che la sua patria una, forte, potente, devota a Dio, concorde e tranquilla in se medesima, rispettata e ammirata dai popoli? ……. Veggo infine la religione posta in cima di ogni cosa umana; e i principi, i popoli gareggiar fra loro di riverenza e di amore verso il romano pontefice, riconoscendolo non solo come successore di Pietro, vicario di Cristo e capo della Chiesa universale, ma come doge e gonfaloniere della confederazione italiana, arbitro fraterno e pacificatore di Europa, istitutore e incivilitore del mondo, padre spirituale del genere umano, erede e ampliatore naturale e pacifico della grandezza latina.

V.Gioberti



«Uomini frivoli, dimentichi della piccolezza degli interessi che li fanno parlare, credono valga per tutta        confutazione del principio federale andar ripetendo che è il sistema delle vecchie repubblichette. Risponderemo ridendo, e additando loro al di lá d’un Oceano l’immensa America»
Cattaneo, Antologia

«Gli stati a piú centri popolosi, gli stati situati su vaste estensioni di territorio, dove il corso dei fiumi e dei monti intercettando la libera azione di una sola metropoli, ne crea parecchie di forze equivalenti, sono federali, hanno capitali moltiplici, a seconda della popolazione e della ricchezza, e si riuniscono col mezzo di una dieta, spesso nomade, e mancando l’uniformitá imposta dall’alto, la libertá regna sola con moto che parte dal basso>>
G.Ferrari, Scritti politici




IIS L.Cobianchi-Verbania,…………………….alunna/o…………………………cl.4°

2.,Storia-La città industriale – le nuove teorie urbane nel sec.XIX

Saggio breve :  IL secolo XIX  vede affermarsi,anche se fra difficoltà, il mondo a dominio della borghesia imprenditoriale. Questo comporta grandi  innovazioni economiche che trasformano società e politica, con mutamento delle classi e dei loro rapporti. Uomo e donna, famiglia, casa, campagna, città,fabbrica,relazioni , si trovano investiti da  questa transizione e di fronte ai problemi che sorgono ci sono  pensatori, filosofi,economisti filantropi che pensano a strutture di progresso. Esamina, comparandoli,i testi e gli esempi sottostanti, collegali alle realtà e alle problematiche storiche di quel periodo,accenna brevemente ai personaggi   ed esprimi u n tuo giudizio sulla realizzabilità e vivibilità degli assetti proposti, anche secondo il tuo sentore e immaginando seti piacerebbe vivervi..

Charles FOURIER (1772-1837), FALANSTERIO 1808

Fourier nel 1808 pubblica “Théorie des quatre mouvements” e, nel 1822) ”Traité de l'association domestique-agricole”. La realizzazione dell'armonia avviene attraverso sette stadi: considera l'umanità collocata tra quarto (barbarie) e quinto stadio (civiltà); seguirà il sesto (garantismo) e il settimo (armonia). Nel garantismo le città “pubbliche” saranno ordinate e regolate da un dettagliato “codice edilizio”.
Nel primo periodo, la città è concentrica costituita da tre corone, la densità edilizia è decrescente dall'interno verso l'esterno (le aree scoperte si raddoppiano e triplicano). La prima cerchia è la città centrale, la seconda prevede i sobborghi e le grandi fabbriche, la terza i viali e la periferia. Per lo stadio finale dell'armonia si abbandonerà la città e si vivrà nel falansterio (gli elementi del falansterio saranno ripresi da Le Corbusier nell’unité d'habitation).
Falansterio :“il luogo dovrà essere provvisto di un bel corso d'acqua, percorso da colline e adatto a colture variate, addossato ad una foresta e poco lontano da una grande città (v. new towns), ma abbastanza per evitare gli importuni.”Gli spazi pubblici e privati sono alternati e, quindi, è alternata la vita privata e comunitaria.
Ogni falansterio è un'unità produttiva autonoma, che integra campagna e città (v. garden city). Le falangi prevedono 1620 ab. (Il numero deriva dalla teoria che «fissa a 810 il numero dei caratteri distinti per formare la Grande Armonia domestica»; più 192 vecchi e bambini, 450 non attivi -per malattia, viaggio, noviziato o insufficienza di carattere-,
168 complementari in rinforzo alle classi attive.) Il reddito personale è compreso tra 20.000 e
50.000.000 franchi. I vecchi sono alloggiati al piano terra, i ragazzi al mezzanino e gli adulti nei piani superiori. Al centro del falansterio, nella Place de Parade ci sono i "servizi" pubblici: la Tour de Ordre con l'orologio, il telegrafo ed i piccioni viaggiatori.

Robert OWEN (1771-1858) ARMONIA 1825
Nel 1816 fonda l’istituzione per la formazione del carattere Nel 1817 scrive “Report to the Committee for the relief of the manufacturing”. Per sanare la disoccupazione, le possibilità sono:
Diminuire l'uso dell' energia meccanica; Milioni di esseri umani devono morire di fame, per permettere l'attuale livello produttivo; Trovare un'occupazione vantaggiosa per i poveri e i disoccupati, a cui il lavoro meccanico deve essere subordinato, invece di essere indirizzato a sostituirlo. Nel 1825 propone (e realizza in USA) New Harmony, un villaggio per una comunità autosufficiente che lavora in campagna ed in officina, con all’interno tutti i servizi necessari. Il modello materiale è in un insediamento per 800 e 1.200 persone, circondato da 4-600 ettari di terreno. La pianta del villaggio è un grande quadrilatero edilizio, diviso in settori dagli edifici pubblici (cucina, refettorio, depositi, scuola e biblioteca).
Tre lati destinati alle case, il quarto ai dormitori per tutti i bambini che eccedano i due per famiglia, o che abbiano più di tre anni.
All’esterno del quadrilatero orti e giardini, circondati da strade, più distanti, schermati da una zona alberata, i laboratori e le industrie. Il piano urbanistico è sviluppato in ogni sua parte, dalle premesse politico-economiche al programma edilizio e al preventivo finanziario.

James Silk Buckingham (1786-1855) in National Evils and Pratical Remedies, with a Plan of a Model Town, pubblicato a Londra nel 1849, propone un nuovo modello di città da ripetere in serie per combattere la disoccupazione. Victoria, la prima di queste nuove città, chiamata così in onore della regina d'Inghilterra, è un quadrato di un miglio di lato ed è destinata ad ospitare 10.000 persone.Nella città è prevista un'esplicita divisione di classi sociali e di ruoli, che si rispecchia anche nel modello urbanistico. Le abitazioni sono infatti disposte in sette schiere concentriche: nel centro della città ci saranno le spaziose abitazioni delle classi ricche, mentre gli operai di rango inferiore vivranno nel cerchio più esterno, in prossimità delle fabbriche (situate in spazi esterni alla città). Anche le scelte stilistiche per gli edifici ricalcheranno la differenza tra classi. Nella città è previsto ogni genere di servizio sociale, e per la sua realizzazione si utilizzeranno le tecniche più avanzate: una torre di trecento piedi illuminerà tutta la città dalla piazza centrale.Buckingham dà grande importanza agli aspetti igienici della città. Victoria infatti, come le città ideali del Rinascimento, nasce dal desiderio di ordine, che si contrappone al disordine circostante, al caos della città industriale:
I principali obiettivi sono stati di unire il massimo grado di ordine, spaziosità e igiene, nella massima abbondanza di aria e luce e nel più perfetto sistema di fognature, col comfort e la convenienza di tutte le classi.
(da: J. S. Buckingham, National Evils and Pratical Remedies, in L. Benevolo, Le origini dell'urbanistica moderna, p. 171)
Questo fatto è esemplificativo di come, dopo il 1848, nella elaborazione di nuovi modelli ideali di città si ponga l'attenzione principalmente agli aspetti urbanistici, a discapito di quelli politico-sociali che infatti nella Victoria di Buckingham e nella Hygeia di Richardson (che era medico e studioso di problemi sociali della medicina) quasi non compaiono.



Il Villaggio Crespi d’Adda 1878-1920

Crespi d’Adda è una cittadina fondata dal padrone della fabbrica per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Ai lavoratori venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari. In questo piccolo mondo perfetto il padrone "regnava" dal suo castello e provvedeva come un padre a tutti i bisogni dei dipendenti: dentro e fuori la fabbrica e"dalla culla alla tomba", anticipando le future tutele dello Stato. Nel Villaggio potevano abitare solo coloro che lavoravano nell'opificio, e la vita di tutti i singoli e della comunità intera "ruotava attorno alla fabbrica stessa", ai suoi ritmi e alle sue esigenze.


lunedì 23 febbraio 2015

Addio a Luca Ronconi: attore e regista, maestro del teatro italiano

La sua assenza nel teatro italiano si sentirà enormemente, assenza culturale e umana perchè con Ronconi se n'è andato un grande maestro dell'esperienza teatrale contemporanea, l'artista della più matura riflessione sulle possibili articolazioni del linguaggio drammaturgico contemporaneo, timido, ritirato, umanissimo e geniale, capace di dare forma al bisogno di senso di questi nostri tempi. ,

Ronconi era nato a Susa in Tunisia nel 1933. Per caso, perchè il padre, che presto abbandonerà lui e la madre, era lì a lavorare. Tornato a Roma, casa in via Moserrato proprio nel centro dove sua madre aveva preso in affitto una parte di appartamento da una ricca signora, si era diplomato all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica nel 1953. Il teatro era stata la sua passione fin da bambino, raccontava. Era la madre, donna forte, ormai separata dal marito ("non ho mai voluto avere un rapporto con lui" diceva Ronconi), maestra di scuola, ad averlo avvicinato ai libri ("Mi leggeva Dante") e al teatro e il picolo Luca una volta cresciuto aveva finito per trovare lì, sul palcoscenico, la sua cuccia, il luogo in cui riusciva a stare bene, a sentirsi in relazione con gli altri e ad aprire il suo mondo segreto, riservato, poco propenso alle esibizioni. "La mia prima volta da spettatore non l'ho mai dimenticata, è fra le mie memorie più vive. Mia madre mi portò in un teatro di Roma a vedere una commedia. Non saprei dire che cosa fosse. Era una commedia in genovese con Gilberto Govi. Ricordo che si parlava di una gallina, ricordo che mia madre me ne parlava, ricordo che ero in uno stato di sovreccitazione".

Ronconi aveva esordito come attore in Tre quarti di luna di Luigi Squarzina, accanto a Vittorio Gassman. Erano tempi in cui, secondo la leggenda,  piacevano i bulli, piaceva Corrado Pani, non lui che era timido e chiuso. Anche se, sempre la leggenda, racconta di serate brave con compagni di brigata come Enrico Lucherini, Flora Clarabella, Roberto Capucci, Paolo d'Espagnet per le strade della capitale. Recita ancora per qualche anno appena uscito dall'Accademia, ma capisce presto che è la regia, l'analisi dei testi, il lavoro sull'attore la sua vera vocazione. Inizia a lavorare come regista nel 1963, con la compagnia di Corrado Pani e Gianmaria Volonté. Ma il suo primo capolavoro nel 1969 è l'Orlando furioso di Ariosto, nella versione di Edoardo Sanguineti: uno spettacolo immaginifico per chi lo vide, con gli attori che recitavano in contemporanea in spazi diversi spostandosi su enormi oggetti e carrelli scenici. Cose d'avanguardia se ne erano viste in teatro in quegli anni, ma quello spettacolo era una cosa completamente nuova per come lucidamente scardinava i linguaggi della scena e li forzava con esiti mai visti. Fu un successo enorme con echi mondiali, e da subito lo proietta nell'empireo dei grandi registi europei, lui poco più che trentenne accanto a grandi come Strehler, Stein da cui lo separava la vocazione sperimentale, l'ossessione dell'artista che vuole provare e lavorare su terreni inesplorati che fossero testi letterari "piegati" al teatro o testi dichiaratamente irrapresentabili che lui, ingegno analitico, speculativo, oltre che grande uomo di cultura, riusciva a "sciogliere" sul palcoscenico.
Di Ronconi andrebbe ricordato tutto, perchè tutto è stato importante e decisivo per l'evoluzione del teatro e del lavoro dell'attore: il biennio 1977 - 1979 del laboratorio al Metastasio di Prato dove fece il bellissimo La torre di von Hofmannsthal 1978 e dove sperimentò un nuovo modo di produrre, firmando capolavori indimenticabili, Ignorabimus di Holz 1986, Tre sorelle di Cechov, cui seguirono spettacoli in altri spazi teatrali come L'Affare Makropoulos, del 93, (al Teatro di Genova) dove fa invecchiare di centotrent'anni Mariangela Melato (poi ringiovanita a sei anni di età in Maisie nel 2002 al Piccolo) una delle sue attrici e attori "fedeli" cui andrebbero aggiunti Maria Paiato, Umberto Orsini, Riccardo Bini, Massimo Popolizio, Massimo De Francovich, Paolo Pierobon e diverse generazioni di interpreti che lavorando con lui si sono sentiti come alla Sorbona.

Dall'89 arriva finalmente anche  il riconoscimento ufficiale (i suoi rapporti con l'establishment fino a questo momento non sono stati affatto sereni) al suo lavoro di regista e al suo ruolo fondamentale nel teatro europeo: viene nominato direttore allo Stabile di Torino dove resterà fino al 90 firmando tra i tanti un altro capolavoro, Gli ultimi giorni dell'umanità di Karl Kraus al Lingotto (1991), un altro dei suoi spettacoli "impossibili" dove l'azione scenica occupa non solo tutto lo spazio dell'ex-fabbrica, ma gli spettatori girano seguendo le diverse azioni in contemporanea: una ricostruzione del periodo della Grande Guerra magica, suggestiva e di grande impatto "civile". Da Torino Ronconi si sposta al Teatro di Roma dal 1994 al 1998, e lì nel 1996 tra i tanti lavori firma Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda. Nel 1999 alla morte di Giorgio Strehler, con cui c'era sempre stato un rapporto di reciproca stima, ma a dovuta distanza, Ronconi approda al Piccolo Teatro di Milano, accanto al direttore Sergio Escobar. Lui è il direttore artistico e subito la sua impronta "ardita" si sente. Il primo anno mette in scena un testo non teatrale cone Lolita di Nabokov. A proposito di Strehler dice: «Non è vero che tra noi c’era gelosia. Ci vedevamo poco. Avevamo dodici anni di differenza, ma di fatto eravamo coetanei. Il conflitto tra noi era una leggenda: eravamo solo diversi, lui era la personalità che tutti sappiamo, io mi tengo più in disparte. Mi piace credere che all’ammirazione e rispetto che ho sempre avuto per lui corrispondesse una stima se non per le cose che faccio, per il modo con cui affronto il mio lavoro, anche nel teatro che lui fondò». C'era da giurarci, visto che nel 2002 sempre al Piccolo dirige in una ex fabbrica, Infinities, tratto da un testo scientifico del cosmologo John David Barrow: cinque spettacoli in contemporanea da vedere come in un labirinto organizzato con logica matematica. Una "impresa", una cosa incredibile. Dal Piccolo non si staccherà più, anche quando in  anni recenti Ronconi lascerà la carica di direttore artistico per restare il regista stabile e consulente artistico del teatro. Al Piccolo lascia gli spettacoli della maturità dove la vena sperimentale si fa più pacata ma non meno determinata che in passato: il Candelaio di Giordano Bruno, Quel che sapeva Maisie di Henry James, Infinities di John David Barrow,  Prometeo incatenato di Eschilo, Le Baccanti di Euripide, Le rane di Aristofane, il bellissimo Professor Bernhardi di Arthur Schitzler, Il ventaglio di Goldoni, fino all'ultimo Lehman trilogy  di Stefano Massini con un gruppo di attori formidabili, tra cui Massimo Popolizio e Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Francesca Ciocchetti, Paolo Pierobon fino al giovane Fabrizio Falco.

Ronconi è stato anche uno dei più bravi e amati registi di lirica, uno sui tutti Il viaggio a Reims dell'edizione pesarese al Festival Rossini con Claudio Abbado o il Guglielmo Tell scaligero con Riccardo Muti e proprio in questi giorni sarebbe dovuto venire a Roma, per la prima volta impegnato all'Opera, per una Lucia di Lammermoor. Tra le tante onoreficenze, svariate le lauree honoris causa.

"Mi piacciono i boschi, le lepri, i campi coltivati, le volpi, i torrenti, i cinghiali, gli ulivi, le stelle. Ed è per questo che sono andato a vivere in una casa in Umbria, in un paesino che si chiama Casa del Diavolo, dove posso vedere tutte queste cose", era tra le poche cose che raccontava di sé. E lì in Umbria con Roberta Carlotto aveva fondato il Centro di Santa Cristina, una scuola di perfezionamento pagata con soldi di tasca sua, un luogo ameno dove "studiare" il teatro, un luogo per la creatività che solo Ronconi poteva realizzare.Lì a Santa Cristina, tra i boschi e il verde della campagna, in una pace irreale e dolcissima, dove è seppellita anche la mamma, verrà ora sepolta la sua salma per volontà dello stesso Ronconi. Tra i pensieri più caldi, intimi e belli di Ronconi: "Ho imparato a conoscere il mondo attraverso il teatro. Da adolescente ero completamente chiuso su me stesso. Poi facendo il regista, non l'attore, ho imparato a conoscere gli altri e me stesso".
E il teatro non lo dimenticherà.. Domani, domenica, i suoi attori, Massimo Popolizio, Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon, Massimo de Francovich,  lo ricorderanno alle 16 dal palcoscenico prima dello spettacolo. E la Scala, sempre domani, terrà la bandiera a mezza asta sulla sua facciata.

mercoledì 11 febbraio 2015

E' il progresso, si stampi!


Mai forse l'Inghilterra fu così prossima alla rivoluzione come nei decenni precedenti l'ascesa al trono della regina Vittoria (1837). Certo, estendendo, anche se non di molto, il numero degli aventi diritto al voto, il Reform Act del 1832 mise fine ai peggiori abusi del vecchio sistema politico. Ma gli accesi dibattiti sulla riforma avevano rivelato una nazione sull'orlo di un abisso, profondamente turbata da manifestazioni di massa spesso sfociate in violenti tumulti. D'un tratto, il mondo decoroso della provincia inglese descritto da Jane Austen, popolato perlopiù da uomini e donne delle classi medio-alte, cedeva il passo alle strade affollate della Londra di Dickens, con la tremolante illuminazione a gas che proiettava le ombre inquietanti di personaggi come il Fagin di Oliver Twist.
Insieme alle apprensioni sociali, si nutrivano però anche grandi speranze per un futuro di maggiori libertà civili e di progresso tecnologico. Un clima colto con arguzia da una caricatura del 1828, appartenente alla celebre serie di vignette intitolata The March of Intellect, che raffigura un automa gigante. È un mostro che ricorda i dipinti di Arcimboldo: due lampade a gas per occhi, una macchina da stampa a vapore come corpo, la testa fatta di libri, con sopra l'edificio della London University a mo' di corona, ossia la prima università britannica, fondata nel 1826, che ammetteva studenti senza distinzioni di sesso, razza o fede religiosa. Incarnava la grande macchina dell'intelletto, simbolo della disponibilità universale del sapere, che nel suo incedere implacabile impugnava un'enorme scopa con cui spazzava via l'ordine stabilito e cambiava ogni cosa. E che James A. Secord, attento studioso dell'impatto delle teorie scientifiche sulla società inglese del XIX secolo, ha scelto come copertina del suo libro.
Siamo all'alba dell'età vittoriana, tra gli anni Venti e Trenta dell'Ottocento, quando le innovazioni tecnologiche, come appunto la macchina da stampa a vapore, avevano reso i libri più economici e accessibili a un pubblico di massa. Fu in questo contesto che nacquero movimenti come la Society for the Diffusion of Useful Knowledge, animati dalla convinzione, di matrice baconiana, che il sapere doveva essere di pubblica utilità. Non sembravano esserci dubbi: l'atteggiamento razionale della scienza era l'unico rimedio al malessere sociale, politico e religioso del paese. Ecco perché bisognava favorirne la diffusione: la scienza aveva il potere di trasformare non solo il modo di leggere, ma anche i pensieri più intimi e le azioni delle persone.
Al culmine di questi cambiamenti, ci fu un proliferare di libri che riflettevano sulla natura e sul significato della scienza, dando luogo a un più ampio dibattito che coinvolgeva questioni di natura politica e religiosa. Non sfuggiva infatti che le nuove scoperte potevano essere usate sia per sostenere sia per demolire istituzioni e concezioni tradizionali.
Furono libri influenti e controversi. Apparvero tutti in una manciata di anni, tra il 1830 e il 1836, e proponevano tutti una visione del futuro basata sulle possibili conseguenze della scienza per la vita quotidiana. Secord li analizza in dettaglio uno per uno, prestando attenzione al modo in cui furono presentati, al prezzo di copertina, alla qualità della carta, al formato e, soprattutto, a come vennero letti dai contemporanei. E nell'immergersi nel vortice di idee e di reazioni che sollevarono, ci restituisce una vivida rappresentazione di «un momento storico unico» in cui il futuro della civiltà sembrava a portata di mano.
Ma proprio sul tipo di futuro che ci si doveva aspettare, le opinioni erano assai diverse. Così, quando nel 1830 uscirono postume le Consolations in Travel, or the Last Days of a Philosopher, i lettori si trovarono di fronte a un'opera piuttosto curiosa. L'autore era Humphry Davy, il più celebrato uomo di scienza dell'epoca, a lungo presidente della Royal Society, che aveva scoperto nuovi elementi chimici e inventato la lampada di sicurezza per i minatori. La stessa persona che ora nelle Consolations, il suo testamento intellettuale, si lanciava in ardite disquisizioni sull'immortalità, sul ruolo dei grandi uomini nella storia e nella scienza, senza risparmiarsi viaggi fantastici su altri pianeti e incontri visionari di varia natura. Era la risposta di Davy alla crisi, che prendeva le distanze dai tentativi di democratizzare la conoscenza, facendo appello invece a quei pochi spiriti eletti cui bisognava affidare il destino della nazione.
Una concezione top-down del sapere dunque, condivisa anche da Charles Lyell, sebbene con altre finalità. Lyell intendeva anzitutto rivendicare il carattere di scienza alla geologia, la più controversa delle discipline emergenti, liberandola dall'accusa di essere troppo speculativa e rifondandola su solide basi induttive. Fu con quest'ambizione che scrisse i Principles of Geology, pubblicati in tre volumi tra il 1830 e il 1833. Ma non era appunto a lettori comuni che Lyell si rivolgeva, esclusi a priori dalla scelta di mettere sul mercato l'opera a un prezzo troppo elevato. I suoi destinatari erano le classi medio-alte e le autorità politiche e accademiche; l'obiettivo rassicurarle che la geologia non costituiva affatto una minaccia per la religione, e la si poteva quindi inserire tra gli insegnamenti universitari, divulgandone poi i risultati presso il volgo. Un'impresa per nulla semplice, poiché la prima cosa che colpiva nei Principles era il rifiuto di considerare attendibile il racconto biblico. Per Lyell, la conformazione attuale della Terra non era il risultato di catastrofi geologiche come il diluvio universale, bensì di processi naturali e uniformi operanti su intervalli di tempo inimmaginabilmente più lunghi dei seimila anni contemplati da quel racconto.

Non tutti però approvavano la strategia elitaria di Davy e Lyell. Anzi, altri autori auspicavano che la scienza diventasse popolare e che i loro libri raggiungessero un pubblico quanto più ampio possibile. Il tono generale di tali opere era esemplificato dal Preliminary Discourse on the Study of Natural Philosophy (1831) dell'astronomo John Herschel. Un testo chiaro, equilibrato e molto economico, che ebbe pertanto un enorme successo. Ma che, a differenza di quanto pensiamo oggi, non fu considerato un contributo alla riflessione epistemologica sull'induzione. Per i numerosi lettori dell'epoca, come ci spiega Secord, il Discourse fu soprattutto un “manuale di comportamento”: una guida a pensare secondo i criteri di razionalità tipici della pratica scientifica.
A ispirare questi autori era la fede democratica che la scienza potesse essere esercitata da chiunque, forse perfino dalle donne. Lo dimostrava lo straordinario caso di Mary Sommerville, una matematica scozzese autodidatta, che nel 1834 si conquistò la ribalta con un'opera intitolata On the Connexion of the Physical Sciences. Un libro ambizioso, subito diventato un best seller, dove si proponeva una visione unitaria delle scienze, quando le discipline stavano giusto iniziando a definire i propri territori d'indagine. L'autrice non annunciava nuove scoperte, ma la sua originalità consisteva nello spaziare dall'astronomia alla fisica, dall'elettricità al magnetismo, con uno stile narrativo accattivante e accessibile, trattando argomenti complessi senza usare nemmeno un'equazione. Insomma, un libro alla portata di tutti, che la rivista popolare «Mechanics' Magazine» promuoveva ed esaltava: «Leggetelo! Leggetelo!»
La «Marcia dell'Intelletto», come sottolinea Secord, procedeva in realtà lungo sentieri non ancora del tutto esplorati, molti dei quali avrebbero condotto a vicoli ciechi. Eclatante, in tal senso, fu la parabola della frenologia, la “scienza” che sosteneva di individuare le attitudini morali e intellettuali dall'organizzazione del cervello quale risultava dalla forma esteriore del cranio. A decretarne il successo in Inghilterra fu The Constitution of Man di George Combe. Un'opera pubblicata nel 1828, ma che suscitò un enorme interesse soltanto nel 1836, quando venne ristampata in un'edizione economica, vendendo in pochi mesi 43.000 copie. La frenologia sembrava offrire la possibilità di prevenire i crimini, di riformare la scuola e più in generale la società. Queste potenziali applicazioni impressionarono politici e primi ministri, ma destarono anche tanto scetticismo, non privo di affilata ironia. Al punto che la frenologia fu parodiata come «Toe-tology», la scienza cioè che definiva il carattere degli individui dalla forma dei loro piedi. Secord ricostruisce con mano sicura il clima culturale dell'Inghilterra previttoriana, catturando l'intenso entusiasmo del pubblico di massa per la nuova letteratura scientifica in un'epoca in cui lo scienziato non esisteva ancora come una riconosciuta figura professionale. Mancava perfino il termine, che fu coniato da William Whewell nel 1834: scientist appunto, in analogia con artist e journalist. Ma, per quanto strano ci possa apparire, la parola non aveva affatto un valore positivo. Per Whewell, gli scienziati si occupavano soltanto di dati e di esperimenti, mentre spettava ai filosofi naturali come lui riflettere sulle implicazioni morali e metafisiche del loro lavoro. A suo avviso la differenza tra lo scienziato e il filosofo naturale era «come quella tra un grande generale e un buon ingegnere».
© RIPRODUZIONE RISERVATAJames A. Secord, Visions of Science: Books and readers at the dawn of the Victorian age , Oxford University

martedì 3 febbraio 2015

4 febbraio





Giunta provvisoria di Governo di Domodossola e della Zona liberata (La repubblica dell’Ossola)
Settembre-ottobre 1944


“La Repubblica dell’utopia”- Brigata Puglisi

4 febbraio 2015 –Teatro Sant’Anna-Verbania
Patrocinio dell’Assessorato alla Cultura e Spettacolo del Comune di Verbania








Con l’armistizio del settembre ’43, la monarchia sabauda aveva dichiarato la propria resa,il disimpegno rispetto all’alleato germanico e ripudiato il regime ventennale  fascista,  consegnando per altro il Paese alla fase più aspra e tormentata del conflitto su suolo italiano.
L’anno che trascorre è terribile, soprattutto nell’Italia del nord ,dove la dittatura fascista si è trasformata  in regime d’occupazione da parte germanica, contro cui combattono  nuclei di resistenza partigiana via via organizzati dal CLNAI.
 Il giugno del ’44 è stato un mese terribile per le forze partigiane, per l'Ossola ed il Verbano il peggiore in assoluto di tutto il periodo della Resistenza.
Con la seconda metà di luglio ha corso l'inversione di tendenza, reparti partigiani conseguono ovunque importanti successi; lungo le valli ossolane occupano centrali elettriche, fanno saltare i ponti di accesso alle valli .
Mentre l’estate sta per finire,in incontri  fra i principali capi partigiani Superti, "Justus" (Enea Demarchi), Di Dio e Cefis viene stabilito un piano d’azione mirante ad impadronirsi del territorio. Domodossola è ogni giorno più accerchiata, i trasferimenti dei reparti avvengono di notte, senza farsi notare. I nazifascisti sono circa 600, ben preparati e ben armati. Ma cominciano a cedere moralmente e fisicamente.. Nella notte tra il 7 e l'8 il comando tedesco, tramite personalità del clero, offre di trattare la resa al colonnello Moneta, l'unico ufficiale superiore militare di carriera all'interno delle formazioni partigiane. Nella serata del 9 Moneta, Di Dio, Cefis, Superti ed Armando Calzavara ("Arca") della "Piave" si riuniscono e decidono per la trattativa immediata. I tedeschi abbandonano la città.
Tutte le leggi e i corpi militari fascisti vennero sciolti in soli 2 giorni. Salò reagì tagliando i rifornimenti all'intera valle, ma, dopo alcune incertezze, la piccola repubblica ottenne l'appoggio della Svizzera.
Si  fondò così la Giunta provvisoria di Governo di Domodossola e della Zona liberata (G.P.G.) ,organo di amministrazione civile cui collaborarono  personaggi illustri come Umberto Terracini, Gianfranco Contini .A differenza di altre Repubbliche partigiane, la Repubblica dell'Ossola fu in grado, in poco più di un mese di vita, di affrontare non solo le contingenze imposte dallo stato di guerra, ma anche di darsi un'organizzazione articolata: venne istituita una Giunta provvisoria di Governo con commissari deputati all'amministrazione civile.
Il 10 ottobre i fascisti attaccarono con 5000 uomini e, dopo aspri scontri, il 23 ottobre riconquistarono tutto il territorio. La gran parte della popolazione abbandonò la Val d'Ossola per rifugiarsi in Svizzera, lasciando il territorio pressoché deserto, impedendo di fatto le forti rappresaglie che furono minacciate dai fascisti e dal capo della provincia in particolare. A tal proposito proprio il capo della provincia Enrico Vezzalini scrisse il famoso comunicato a Mussolini che recitava: "Abbiamo riconquistato l'Ossola, dobbiamo riconquistare gli Ossolani".
Nel corso della Resistenza furono molte le aree liberate dai nazifascisti, che si organizzarono in Repubbliche partigiane (tra le prime vi furono la Repubblica di Maschito, la Repubblica del Corniolo e la Repubblica di Montefiorino, ricordiamo in Piemonte le aree liberate in Val Sesia,nel cuneese, ad Alba, nel Monferrato). Secondo Roberto Battaglia, tuttavia, le più grandi e significative furono la Repubblica dell'Ossola e la Repubblica della Carnia.
Nella valutazione della maggior parte degli studiosi l'esperienza ossolana occupa un posto preminente per molteplici motivi. In primis per la vastità del territorio su cui il governo potette estendersi: il territorio conquistato dai partigiani comprendeva un'area di 1600 km², sei vallate, 32 Comuni e più di 80.000 abitanti. Inoltre, se è indubbio che le diverse formazioni partigiane ossolane, attraverso molteplici e valorose azioni militari, sono state le artefici della nascita della Repubblica dell'Ossola, tale vicenda non può essere confinata ad un mero fatto d'armi. Aldo Moro scrisse in occasione del XV anniversario:
« La Repubblica Ossolana ebbe un indiscutibile valore politico in quanto rivelò la carica spontanea dei valori civili del Movimento resistenziale, che non esauriva il suo impegno nella lotta per la liberazione della Patria dallo straniero, ma esprimeva l’aspirazione ad un ordine nuovo della Società, secondo le naturali vocazioni popolari alla democrazia, che la dittatura fascista non era riuscita a distruggere. »
(Aldo Moro, Lettera in occasione del XV anniversario della Repubblica dell'Ossola)


                                   “La Repubblica dell’utopia” e la “Brigata Puglisi”
La Brigata Puglisi è il nome di un gruppo di musicisti ,attrici, tecnici d’immagine e di suoni ,patrocinati dall'ANPI di Verbania, sezione Augusta Pavesi,che fa partire la propria attività  dalla rappresentazione  del 2011 ”Banditi o partigiani ?” , seguendo un filo emotivo e logico di resistenza  all’oppressione manifestatasi nel nostro Paese dall’Unità fino  alla Liberazione.
La rappresentazione suscitò consensi di pubblico  e critica che si estesero dalla  provincia fino ad una tournée in Sicilia.   
“La Repubblica dell’utopia”, termine preso in prestito  da Giorgio Bocca, nasce  dall’esortazione del Sindaco di Domodossola, Mariano Cattrini, raccolta dal gruppo e rappresentata per la prima volta nel 70°anniversario proprio a Domodossola nell’ottobre 2014,a cui fanno seguito nell’autunno le due rappresentazioni a Verbania.
Gli  artisti della Brigata Puglisi hanno dato vita a quest’opera, che ,come la precedente, sembra indicarci i l senso di un essere comune italiano e anche la sua problematicità.
Sfilano, al seguito  nella narrazione, le guide del coraggio resistenziale, Di Dio,Superti, Muneghina, Arca, tutti coloro che seppero osare.
La truppa che accompagna Ettore Puglisi, sono i musicisti  Giorgio Fassi, Roberto Sgaria, Matteo Bernocchi,Luca Maglio,il loro fuoco amico proviene da chitarre,flauti, fisarmoniche, batteria, è canto celebrativo, festoso ed elegiaco di un’epoca dove sentimento e ragione d’umanità  ebbero infine la meglio sui trucidi inni di battaglia, sui canti di una gioventù che da trent’anni, dal’14, andava alla morte (”la meglio gioventù la va sottoterra”) . Il nuovo  sfondo acustico dovette risuonare, variamente,in quella fine estate,ed autunno del’44, farsi poi drammatico,sofferto con la caduta della repubblica:l’audio prende la nostra attenzione, giungendo insieme alla visione.
Le immagini, proiettate da Domiziano Varini, ci portano dentro la scena che nelle piazze, vie, uffici, scuole della città ossolana ,evocava l’ipotesi di un mondo  civile futuro. Vediamo fisionomie che possiamo immaginare con noi, ai giorni nostri. Flavio Maglio coordina il complesso.
L'intensa presenza femminile, esprime un'umanità che si libera da secoli d'oppressione e subalternità,per ingentilire con il proprio carattere la società dell'avvenire. Le attrici Giuliana  Buggin e Olivia Curti, la giovanissima Petra, Lorenza Baruffaldi, figure,”personae” delle donne antifasciste e staffette partigiane ,nelle case di pietra,per i sentieri  valligiani e alpestri.

Nello spazio,nel tempo dell'attualità,la rappresentazione commuove,ricordandoci  quegli eventi: dopo la festa per il blitz della liberazione,il successivo esodo al ritorno dell'armata nazifascista,allora fotogrammi d'oggi si sovrappongono nella nostra mente ,da Lampedusa a Kobane, fino a Charlie Hebdo, neri d'Africa e curdi ,militanti della pace e della libertà di tutto il mondo inseguiti dal terrore con cui miliziani,politici,finanzieri , faccendieri dell'internazionale dell'estorsione,ricattano la loro,la nostra vita di gente che ricerca  ipotesi di esistenze discrete,fondamentalmente oneste e pacifiche,in cui ciascuno possa ricevere in equa  proporzione di quanto produca. L’utopia, appunto, come sempre…..
Cos'è infine questa commozione?E'sentore d'orgoglio per quella realizzazione d'allora qui in alto Piemonte e per quelle di tutti i tempi in ogni parte del mondo; è  in alternanza pianto, risentimento,  per la sopraffazione che continua,ritorna, come in un circolo vizioso, ostacolando le repubbliche,le liberazioni,con opzione di dittature aperte o mascherate.....
I presenti testimoniano l'affetto e l'idea sempiterna per un mondo migliore, anche nella notte economica della globalizzazione sregolata e micidiale... scintilla di r-esistenza, la cui energia si connette a quella di tutte le situazioni simili nel mondo.