giovedì 27 novembre 2014

Amleto e Don Chisciotte in cerca della saggezza

Cervantes e Shakespeare

Harold Bloom spiega perché il bardo inglese e lo scrittore spagnolo sono dopo Dante i principali autori occidentali

Amleto e Don Chisciotte in cerca della saggezza

(1547-1616) (1546-1616) Il principe di Shakespeare e il cavaliere di Cervantes, simboli della condizione umana MAESTRI Soltanto Dickens ha saputo raggiungere lo stesso fascino universale

Dal nuovo saggio di Harold Bloom, «La saggezza dei libri» (Rizzoli, pagine 382, euro 17) anticipiamo un brano tratto dal capitolo dedicato al confronto tra Cervantes e Shakespeare Cervantes e Shakespeare condividono il primo posto fra tutti gli scrittori occidentali vissuti dal Rinascimento a oggi. Gli individui più creativi degli ultimi quattro secoli sono shakespeariani o cervantiani o - più spesso - riprendono elementi di entrambi gli autori. In questo libro, mi propongo di considerarli come i maestri di saggezza della nostra letteratura moderna, alla pari dell' Ecclesiaste e del Libro di Giobbe, di Platone e di Omero. La fondamentale differenza tra Cervantes e Shakespeare può essere esemplificata mettendo a confronto Don Chisciotte e Amleto: sia il cavaliere sia il principe sono alla ricerca di qualcosa di indefinito, per quanto possano asserire il contrario. Qual è il vero obiettivo della ricerca di Don Chisciotte? Penso che non ci sia una risposta. Quali sono gli autentici motivi che spingono Amleto? Non ci è dato di saperlo. Poiché la ricerca del magnifico Cavaliere di Cervantes ha uno scopo e una risonanza cosmologica, nessun obiettivo sembrerebbe al di là della sua portata. La frustrazione di Amleto è data dal fatto che gli sono concessi soltanto Elsinore e la tragedia della vendetta. Shakespeare compose un poema illimitato, in cui solo il protagonista trascende ogni limite. Cervantes e Shakespeare - che morirono quasi nello stesso istante - sono i principali autori occidentali, almeno da dopo Dante, e nessuno scrittore moderno o contemporaneo è mai riuscito a eguagliarli, né Tolstoj né Goethe, Dickens, Proust, Joyce. Non basta certo il contesto in cui vissero a spiegare la loro grandezza: l' Età dell' oro spagnola e l' Età elisabettiano-giacobina inglese hanno un' importanza secondaria quando ci sforziamo di apprezzare appieno ciò che questi due autori ci danno. W. H. Auden vedeva in Don Chisciotte un ritratto del Santo cristiano, l' esatto opposto di Amleto, che «non ha fede né in Dio né in se stesso». Per quanto le sue parole suonino perversamente ironiche, Auden era serio e penso che abbia preso una cantonata. Contro la sua tesi posso riprendere Miguel de Unamuno, il mio critico preferito del Don Chisciotte. Per Unamuno, il Santo cristiano è Alonso Chisciano, mentre Don Chisciotte è l' iniziatore dell' autentica religione spagnola, il chisciottismo. Herman Melville fonde le figure di Amleto e Don Chisciotte in quella del capitano Achab (con l' aggiunta di un pizzico del Satana di Milton, per rendere il tutto più saporito). Achab vuole vendicarsi della Balena bianca, mentre Satana, dal canto suo, distruggerebbe Dio, se soltanto potesse farlo. Stando a quanto dice G. Wilson Knight, Amleto è per noi un ambasciatore di morte. Don Chisciotte afferma che il fine della sua ricerca è quello di eliminare l' ingiustizia. E l' ingiustizia più radicale, il vincolo che tiene prigioniero l' uomo, è proprio la morte. Liberare i prigionieri è quindi il modo in cui, di fatto, Don Chisciotte combatte contro la morte. Non è possibile individuare con precisione la presenza di Shakespeare all' interno della sua opera, nemmeno nei Sonetti. È proprio questa quasi invisibilità a stimolare le ricerche di quegli zeloti che credono che le opere di Shakespeare siano state scritte da chiunque altro, tranne che dallo stesso Shakespeare. Per quel che mi risulta, nel mondo ispanico non ci sono congreghe che si sforzano di dimostrare che il Don Chisciotte sia stato scritto da Lope de Vega o da Calderón de la Barca. La presenza di Cervantes nel suo grande libro è talmente marcata che non possiamo fare a meno di riconoscere come, nell' opera, ci siano tre personalità irriducibili l' una all' altra: il Cavaliere, Sancho e lo stesso Cervantes. Con tutto ciò, quant' è astuta e sottile la presenza di Cervantes! Anche nelle sue pagine più spassose, il Don Chisciotte rimane estremamente sobrio. È ancora Shakespeare a fornirci un' illuminante analogia: anche quando è più melanconico, Amleto non abbandona mai i suoi giochi di parole o il suo umorismo inglese e lo sconfinato umorismo di Falstaff è tormentato dagli indizi che lasciano presagire il rifiuto che lo attende. Proprio come Shakespeare non si lascia vincolare dai precisi limiti dei generi drammaturgici, così il Don Chisciotte è tanto una tragedia quanto una commedia. Per quanto segni per sempre la nascita del romanzo moderno dal poema in prosa medievale e per quanto rimanga tuttora il migliore fra tutti i romanzi mai scritti, ogni volta che lo rileggo lo trovo più triste; ed è proprio questo suo carattere a trasformarlo nella «Bibbia spagnola», per riprendere l' espressione con cui Unamuno definì quest' opera, la più grande fra tutte le opere di narrativa. Tra gli scrittori di romanzi ci sono George Eliot ed Henry James, Balzac e Flaubert o il Tolstoj di Anna Karenina. Il Don Chisciotte potrà anche non essere un testo sacro, ma ci contiene a tal punto che - come con Shakespeare - non ci è possibile, per così dire, uscirne in modo da guardarlo dall' alto, in prospettiva. Noi siamo all' interno di questo grande libro, con il privilegio di poter ascoltare gli splendidi dialoghi tra Don Chisciotte e il suo scudiero, Sancho Panza. A volte facciamo tutt' uno con Cervantes ma, più spesso, siamo gli invisibili vagabondi che accompagnano la sublime coppia tra avventure e sconfitte. Se, nell' Occidente postrinascimentale, dobbiamo scegliere un terzo autore dal fascino universale, la nostra scelta non può ricadere che su Dickens. Tuttavia Dickens non vuole trasmettere ai suoi lettori una «conoscenza ultima dell' uomo», quel genere di saggezza che Melville trovava in Shakespeare e, forse, anche in Cervantes. La prima rappresentazione teatrale del Re Lear ebbe luogo in concomitanza con la pubblicazione della prima parte del Don Chisciotte. Per quanto ne dica Auden, anche Cervantes - come Shakespeare - ci presenta una forma laica di trascendenza. Don Chisciotte si considera come un cavaliere di Dio, ma ciò non gli impedisce di continuare a inseguire i capricci della sua volontà - una volontà, tra l' altro, gloriosamente eccentrica. Re Lear chiede aiuto ai numi celesti, ma solo perché li vede come vede se stesso, dei vecchi. Malconcio per gli scontri con realtà che sono ancora più violente di lui, Don Chisciotte si trattiene comunque dal sottomettersi all' autorità della chiesa e dello Stato. Quando infine cessa di rivendicare la propria autonomia, non gli rimane che tornare a essere Alonso Chisciano il Buono,e l' unica azione che gli resta da compiere è quella di morire. Il maestro americano Harold Bloom è nato a New York nel 1930. E' considerato il più autorevole critico letterario americano. Insegna all' Università di Yale ed è autore di oltre venticinque libri, tradotti in tutto il mondo. In Italia sono usciti, tra gli altri, «Il canone occidentale» (Bompiani), «Come si legge un libro (e perché)», «Shakespeare. L' invenzione dell' uomo». «Il genio» (tutti editi da Rizzoli). Il nuovo volume, «La saggezza dei libri», nasce da decenni di studi e riflessioni confluiti nella convinzione che la letteratura abbia uno scopo decisivo: aiutarci a raggiungere la saggezza. Dalla Bibbia a Omero, da Cervantes a Shakespeare, da Montaigne a Freud, Bloom guida il lettore attraverso una serie di esempi letterari in grado di dare un senso alla nostra vita.
Bloom Harold
Pagina 37
(6 ottobre 2004) - Corriere della Sera


Nel 1612, l'autore di Giulietta e Romeo scrisse Storia di Cardenio
Il testo andò perduto durante l'incendio che distrusse il Globe Theatre

"Ecco il Chisciotte firmato Shakespeare"
Giallo sul ritrovamento di un dramma

DAL nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI


<B>"Ecco il Chisciotte firmato Shakespeare"<br>Giallo sul ritrovamento di un dramma</B> Don Chisciotte e il fido scudiero visti da Picasso
È PROBILMENTE l'accoppiata più forte della letteratura mondiale: il padre di tutti i commediografi e quello di ogni narratore, William Shakespeare e Miguel Cervantes. Immaginiamo che l'autore di Giulietta e Romeo abbia scritto un dramma ispirato dal Don Chisciotte di Cervantes.

Immaginiamo che questo dramma sia andato in scena soltanto due volte, al tempo di Shakespeare, e poi il testo sia scomparso in un incendio del Globe Theatre di Londra; che quattro secoli più tardi un direttore della Royal Shakespeare Company riesca miracolosamente a ritrovare il dramma andato perduto e decida di metterlo in scena con una produzione ispano - britannica, in omaggio ai due formidabili scrittori uniti dalla singolare vicenda.

È una storia che fa sognare e che diventerà realtà, stando a quanto annunciato l'altro giorno dal direttore della Royal Shakespeare Company, Gregory Doran, a Madrid. Ma è una storia che contiene anche un mistero: cosa ha esattamente ritrovato, il signor Doran?

"Certamente non un manoscritto polveroso su uno scaffale", dice un portavoce della Royal Shakespeare Company interpellato da Repubblica qui a Londra. Per capirne di più, come in un giallo che si rispetti, conviene fare un passo indietro. Qualche notizia certa su un'opera di tal genere esiste. Il Don Chisciotte arriva in Inghilterra nel 1612, sette anni dopo la pubblicazione in Spagna, tradotto in inglese da John Shelton. Basandosi su un episodio del romanzo di Cervantes, quello stesso anno Shakespeare scrive un dramma intitolato Storia di Cardenio, aiutato da un altro commediografo, John Fletcher.

Il "Cardenio" viene messo in scena due volte l'anno seguente al Globe Theatre, che viene però distrutto pochi mesi più tardi da un incendio (quello che i turisti visitano sulle rive del Tamigi è una copia) in cui vanno bruciati molti originali delle commedie del grande bardo, tra cui anche quella ispirata dal Don Chisciotte. Da allora si perdono le tracce del manoscritto, al punto da insinuare perfino il dubbio che sia mai esistito.

Quarant'anni dopo la prima rappresentazione, nel 1653, uno storico dell'arte racconta di avere visto una copia del "Cardenio" firmata sul frontespizio da Shakespeare e Fletcher. Poi il giallo fa un altro balzo in avanti: nel 1727 il drammaturgo Lewis Theobald sostiene di avere scritto il suo dramma Double falshood (Doppia menzogna) traendo ispirazione dal "Cardenio".

E veniamo al presente. Già nell'ottobre scorso Doran accennò vagamente al "ritrovamento" dell'opera perduta di Shakespeare. L'altro ieri, secondo quanto riporta il quotidiano spagnolo El Mundo, è stato più esplicito: "Siamo riusciti ad autenticare uno dei manoscritti sulla cui veridicità si facevano infinite supposizioni. Siamo riusciti a trovare degli originali affidabili. C'è un indizio molto chiaro. Confrontandolo con la prima edizione in inglese del Don Chisciotte, ci sono alcuni monologhi quasi identici. Shakespeare trascriveva spesso alla lettera dialoghi da testi originali, per esempio con Plutarco". Ma il giallo non verrà chiarito, né il mistero svelato, sino a quando il "Cardenio" ritrovato non andrà in scena, nel 2009.

(25 maggio 2007)

martedì 4 novembre 2014

Amleto




I Temi

      Si può fare di Amleto una lettura  superficiale  e giudicarla come  una semplice   tragedia della vendetta. Il padre di Amleto, re di Danimarca, è stato ucciso da  suo fratello, Claudio. Quest'ultimo, conculca  i  diritti di  successione di Amleto figlio, appropriandosi  a sua volta della corona e della moglie  di Amleto padre. Lo spettro di Amleto padre rivela tutta la macchinazione al figlio; tutti gli elementi della tragedia della vendetta sono dunque presenti.  Amleto ha un obbligo: vendicare l'omicidio, l’usurpazione  e l'adulterio. Ciò che fa uccidendo Claudio alla fine della tragedia.
Ma è chiaro che il tema della vendetta è soltanto un pretesto che Shakespeare utilizza per mescolare tutta una serie di temi universali, dei quali si può dare questo quadro sintetico:
- le relazioni padre-figlio, madre-figlio;
- le relazioni amorose nei suoi aspetti poetici ed angelicati (Amleto-Ofelia) e in quelli adulti e carnali (Claudio-Gertrude);
- le relazioni di forza al  vertice  di uno stato;
- la pazzia reale, la pazzia finta, la dissimulazione;
- la giovinezza e la vecchiaia;
- l'azione e l'inerzia;
- il potere è  corrotto o il potere corrompe?
- le grandi questioni esistenziali "To be or not to be"; l'esistenza di un dio;  
- il senso e il significato del teatro e la sua relazione paradigmatica con la vita: c'è tanta vita nel teatro quanto teatro nella vita.

Amleto eroe umano e teatrale
Tutti questi temi, ed   altri ancora, si trovano in Amleto. Ma è importante ricordarsi che Amleto è al centro di ogni tema  e che anzi è egli stesso che li  affronta e li  mette a fuoco. Non c’è nella storia della letteratura mondiale un personaggio così centrale, così ricco di sfumature, così complesso e sfuggente.
Le letture dell’ Amleto sono innumerevoli e dipendono dalla personalità del lettore della tragedia, e - trattandosi appunto di un’opera destinata alla rappresentazione-, dalla personalità del regista e soprattutto dell'attore chiamato a dargli vita.
Amleto è allo stesso tempo un personaggio che si impone a noi con la sua complessità ed il suo carattere misterioso, al limite dell’indecifrabile, e sul quale la nostra personalità può venire a modellarsi. È uno dei personaggi rari del teatro, forse il solo, che permetta uno scambio costante. Ciascuno di noi, indipendentemente dalla sua età, può riconoscersi in Amleto e può lavorare al mito di Amleto,  alla sua immagine.
Laurence Olivier ha detto che potrebbe recitare Amleto per cento anni e trovargli un nuovo senso ad ogni rappresentazione; il personaggio è ambiguo, quasi inafferrabile, in effetti, come lo è la lingua della pièce. Ma quest'ambiguità rafforza la ricchezza tematica e polisensa dell’opera più di quanto la  impoverisca; ed è precisamente questo mistero e questa ricchezza tematica che permette ad ogni lettore, ed ad ogni attore, di consegnarsi ad una lettura personale ed intima del personaggio, di fare propria la sua complessità, come avviene per ogni grande opera. 

Quali sono dunque le grandi caratteristiche di questo personaggio così affascinante e indimenticabile? Le interpretazioni sono millanta. Citeremo qui soltanto le principali.






Il dilemma e l'indecisione
      Gli eroi delle grandi tragedie classiche sono tutti posti davanti  a scelte  e  obbligati a prendere una o l’altra direzione. Ma  una volta che la   decisione è presa, il resto necessariamente segue, accompagnato da atti di nobiltà grandiosi o, per altro verso, di abiezione estremi. Nell’ Amleto, nulla è semplice, tutto è problematico. Il dilemma nel quale si inciampa è non di sapere  quale scelta egli deve fare, ma all'opposto se la farà. Secondo alcune interpretazioni, Amleto non giunge ad alcuna decisione e diffonde così l'immagine dell'individuo indeciso, inattivo, passivo, l’inetto romantico incapace di agire: al limite, il chiacchierone senza costrutto che si compiace delle parole. Jean-Louis Barrault lo ha definito "l'eroe dell'esitazione superiore."   È senza dubbio per questo che T. S.  Eliot vedeva nell’ Amleto una tragedia mancata poiché, diceva, essa presenta un personaggio " dominato da un pathos      incomprensibile   in quanto eccede i fatti così come appaiono."  Perché tanta emozione e così poca azione?  È la sua natura, diranno alcuni: ossia l'opposto esatto  di un Macbeth . Altri lo vedranno bloccato da un complesso di Edipo che fa di lui un adolescente attardato, un po' pazzo, calcinato in sterili  ruminazioni esistenzialiste (nessuno osa immaginare Amleto re!) ; altri ancora lo vedono sofferente   per un'overdose di castità. Dunque sospettano un dramma sessuale più che un dramma della volontà. E avanzano ipotesi di puritanesimo spinto se non di omosessualità.  Ma forse l’interpretazione che rende più giustizia ad un tale personaggio è affermare che   questo dramma  shakespeariano  tende in effetti  allo stesso tempo all'individualità estrema ed all'universalità   e  spinge a interpretare l’opera  come una rappresentazione simbolica della lotta tra l'uomo ed il suo destino, le sue tentazioni e le sue contraddizioni.

All' interpretazione di Amleto eroe inattivo se ne  oppone un'altra. Occorre osservare inizialmente che Amleto, per quanto loquace è in effetti  molto attivo. Se è vero che il filo dell'azione, in generale, gli è imposto da altri personaggi o dagli eventi, egli nei fatti agisce. Ascolta lo spettro (ciò che i suoi amici rifiutano di fare), assume un atteggiamento al limite del disprezzo riguardo al re, rinvia violentemente Ofelia, sventa uno dopo l'altro gli intrighi che mirano a scoprire il suo gioco, e  architetta  uno spettacolo teatrale che è soltanto una trappola nella quale spera di fare cadere il re;  aggredisce la   madre in una scena dalla violenza inaudita;  arriva alle mani con Laerte. Infine, e forse soprattutto per ciò che riguarda la  violenza fisica, che non è poco per un uomo tacciato di inazione - uccide Polonio,  invia i suoi amici Rosencrantz e Guildenstern alla morte, uccide il re ed è indirettamente responsabile della morte di Laerte.

Non è impossibile che Shakespeare abbia così voluto rovesciare le convenzioni della tragedia classica, troppo carica  di stereotipi e di parti assegnate una volta per tutte. Anche il suo Macbeth, il suo Otello o il  suo Bruto, e il suo re Lear, fin dal primo atto, sono  così bene imprigionati in atteggiamenti convenuti e dinamiche preordinate che ne risultano  perfettamente prevedibili; l'intrigo progredisce dalla causa all'effetto, con una  conclusione che ha dell’ inesorabile.
Nulla di tutto ciò in Amleto; Shakespeare ci sorprende ad ogni snodo d’azione;   l'imprevedibile   domina ad ogni atto ed anche la scena della mattanza  finale ha soltanto una relazione molto labile  con gli elementi iniziali del teorema  fornitici nel primo atto. Certamente, Amleto uccide il re ma lo uccide perché quest'ultimo, per sbaglio, ha appena ucciso Gertrude; ed è senz’altro curioso che in questo frangente non proferisca motto sull'assassinio del padre, che dovrebbe essere il movente e la conclusione logica della sua azione; com’ è altrettanto  curioso che  nessuno alla corte di  Danimarca   sembra commuoversi per questa  enorme carneficina  dove, in alcuni secondi, scompaiono tutti i personaggi principali del regno. Nessuno fuorché  Shakespeare, il quale  pur fingendo di mettere in scena i grandi temi della tragedia classica (la vendetta, la pazzia, la lotta per il potere, ecc.), forse ha  voluto scuotere le certezze che procurano ogni volta questi temi e   abbia  scelto, in ultima analisi, di presentare il solo tema che per lui ha un senso: il dubbio, l'incertezza. In ciò, sarebbe stato un precursore del teatro del ventesimo secolo: il teatro dell'assurdo nel 1601!


Amleto eroe tragico moderno

Amleto é stato recentemente analizzato come figura chiave nella drammatica svolta epocale dal mondo classico ( a dalle supposte certezze di quello medioevale ) verso i dubbi e le angosce della modernità, o più precisamente di quella civiltà che i neostoricisti americani definiscono early modern.
Al centro del dramma si posizione un eroe tragico, un eroe problematico, diviso e lacerato da contrasti interiori, posto in situazioni di irrisolta tensione e conflittualità.
Quando Amleto scopre che la realtà non coincide affatto coi suoi ideali, rimane disgustato. E’ un giovane colto, puro, animato da grandi ambizioni spirituali.
Incapace di sopportare il peso del male, offeso dal suo trionfo, egli nella malinconia trova rifugio, ma non riposo. La sua coscienza é fonte di innumerevoli pensieri, speculazioni sulla vita e sulla morte, dubbi, rimproveri, propositi. Egli dovrebbe obbedire al padre e alle leggi dell’onore, ma lo slancio é impedito dal pensiero malinconico della vanità del tutto, e la volontà é frenata da mille considerazioni. Il carattere nobile entra in conflitto con l’umore cupo: ciò che il primo accende, il secondo spegne. Il moralismo e il senso del dovere non riescono a prevalere perché, a parte l’effetto avvilente della malinconia, esigono il compimento di un’azione pur sempre orribile, un omicidio, per di più di difficile attuazione. Nessuno conosce infatti la colpa di cui si é macchiato re Claudio nei confronti del padre di Amleto, e quindi non si spiegherebbe un atto così turpe da parte del giovane.
L’omicidio apparirebbe sospetto, interessato, dal momento che non troverebbe sostegno in una motivazione plausibile: l’onore del principe verrebbe infangato, e la vendetta, lungi dall’essere considerata come un doveroso atto di giustizia, assumerebbe l’aspetto di un volgare assassinio.
Amleto viene a conoscere dal fantasma del padre le circostanze della sua morte, mentre versa in uno stato di afflizione e di amarezza. Claudio, in un colpo solo, ha spodestato il vecchio sovrano e il legittimo erede al trono, ha distrutto una famiglia, attirando a sé una donna che il figlio non immaginava capace di tanta insensibilità.
Tutto ripugna ormai l’animo di Amleto, che, deluso e impotente, generalizza, rivestendo di pessimismo e di sospetto ogni persona ( escluso il suo amico Orazio ), lui che pure per natura sarebbe un fiducioso. La repulsione per il vizio e l’ipocrisia imperanti nel mondo si fa repulsione per la vita stessa. Ma il suicidio é punito dalla religione e il senso del dovere assume le sembianze dello spettro paterno, che prima gli fa intendere e poi gli ricorda la necessità di consumare la vendetta.
Amleto é un uomo che ama e che pensa, e che intanto però non agisce, e se agisce lo fa con ingegno ( la finzione della follia e la recita dei commedianti) o per impulso ( l’uccisione di Polonio e la lite con Laerte nella fossa).
Non c’è pertanto una vera e propria connessione tra pensiero e azione: é evidente il suo stato di crisi. Si sente chiamato ad un compito per cui non è tagliato, e tuttavia è dotato di un animo nobile che gli impedisce di negarsi all’impresa. Non è che Amleto non sia capace di azione in assoluto, come la critica romantica per lungo tempo ha sostenuto con ostinazione: non é capace di compiere “quella” azione in quella particolare “ circostanza”. Egli ha in sé un desiderio di purezza così alto che la prospettiva di un eventuale scontro con il vizio, sia pure al fine di eliminarlo, gli appare difficile da accettare. Eppure sa bene che così non dovrà essere; perciò non si sottrae, pur avendone la tentazione: ma intanto rimanda il momento risolutivo.
Se Amleto dopo quattro secoli continua ad attrarre e a commuovere é perché non é altro che la summa della vita. Forza e debolezza, impulsività e calcolo, sensibilità e riflessione: tutto é estremo in lui, che con la sua bontà d’animo e il suo idealismo si pone sulla scena a testimoniare, assieme a un dramma personale, i conflitti e le aspirazioni di ogni uomo che abbia una concezione alta dell’esistenza e intanto debba sperimentarne la corruttibilità.
Amleto é uomo moderno perchè dubita, facendo suo quel principio che valse a Cartesio la prerogativa di fondatore del Razionalismo.
Il genio di Shakespeare, lavorando sul racconto di Belleforest e sulla tragedia di Kyd, ne ha fatto una figura più tormentata, una figura della vita interiore ricca e sfumata: moderna quindi. L’autore é consapevole del profondo mistero della vita e della morte, e lo mette in scena. La sua arte sa essere impetuosa e delicata, e loquente e scarna, arguta e commuovente.
Non c’é corda che non tocchi, non c’é registro che non usi. Perchè la vita é complessa, appunto, e non riducibile ad una forma fissa.
Amleto, personaggio storico rivestito di tante leggende, é giunto fino a noi per chiederci di interpretarlo, per sfidarci ad un confronto. Con la sua debolezza, con i suoi dubbi, ci rispecchia. Morendo, come ogni eroe, ci induce a domandarci una volta in più che cosa sia mai la vita.