giovedì 30 ottobre 2014

IL PURGATORIO e IL PARADISO nella Divina Commedia

IL PURGATORIO e IL PARADISO nella Divina Commedia
Mercoledì 12 e 26 NOVEMBRE ore 18.00
Il Paradiso e il mondo della luce: i cieli, i beati,
l
Empireo
con temi e personaggi e lettura di passi.
Dove e quando
Biblioteca di Stresa,
 
dae,
ore 18.00
Sistema Bibliotecario Verbano
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Cusio
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Ossola, Via Vittorio Veneto 138, 28922 Verbania, tel. 0323 401510
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e
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giovedì 16 ottobre 2014

La Repubblica dell'utopia-ven.7 novembre a Verbania, Teatro Sant'Anna


LA REPUBBLICA DELL’UTOPIA, sera del 15 ottobre 2014, Teatro Galletti di Domodossola.

Per chi come me è nato negli anni ’50,l’infanzia fu vissuta nel sentore d’esser stati generati da una giovane madre, e padre, che s’erano incontrati  nei cuori  giovani ,che avevano ritrovato la speranza con la Liberazione.
Solo sette anni prima, quello che sarebbe diventato mio padre, con altri giovani ventenni o poco più , sfuggiva ai rantolanti , mortiferi comandi di un regime sorto sul culto del teschio a San Sepolcro e destinato allo stesso modo a finirvi.
La corona dei monti prealpini, dallo Zeda e Marona attraverso la Valgrande,fino all’alta Ossola,divennero il baluardo roccioso di questa fuga, di questa r-esistenza. Dall’inospitalità fredda della montagna si apriva  l’unica ospitalità possibile per l’antifascismo militante oppresso.
Nel cuore intimo di quegli anni ,sprazzi di liberazione, di cui Domodossola, qui ,fu il battito più sentito.
A distanza di settantanni ,gli artisti della Brigata Puglisi hanno evocato quel sentore. Quell’emozione passa e ci coinvolge nel corso della rappresentazione proprio qui, nel teatro dove  trovò luogo reale la repubblica utopica dell’Ossola.
La presenza del sindaco Cattrini ,promotore dell’evento ,è sobria, stringata nella presentazione, controcorrente rispetto alle mode del vuoto narcisismo politico contemporaneo. E’ nello stile, potremmo dire,degli intellettuali come Vigorelli ,che per quaranta giorni organizzarono un embrione di nuova civiltà sociale, una piccola città-stato in suolo celtico-lepontino  , dove i fatti non rimanevano svuotati da termini magniloquenti quanto vani.
Ettore Puglisi, già autore-protagonista con la Brigata di “Banditi e partigiani” (Verbania, 2011),poliedrico musicista e cantautore, siciliano cresciuto a Verbania, rivolge inizialmente un omaggio alla sua terra d’origine nella figura dei fratelli Di Dio:come nell’opera precedente, sembra indicarci i l senso di un essere comune italiano ,che nell’emigrazione testimonia l’italianità e anche la sua problematicità. Sfilano al seguito , nella narrazione, le altre guide del coraggio, Superti, Muneghina, Arca, tutti coloro che seppero osare.
La truppa che accompagna Ettore, sono i musicisti  Giorgio Fassi, Roberto Sgaria, Matteo Bernocchi,Luca Maglio,il loro fuoco amico proviene da chitarre,flauti, fisarmoniche, batteria, è canto celebrativo, festoso ed elegiaco di un’epoca dove la canzonetta d’amore ebbe infine la meglio sui trucidi inni di battaglia, sui canti di una gioventù che da trent’anni, dal’14, andava alla morte,”la meglio gioventù la va sottoterra”. Quello sfondo acustico dovette risuonare, variamente,in quella fine estate,ed autunno del’44, farsi poi drammatico,sofferto con la caduta della repubblica:l’audio prende la nostra attenzione, giungendo insieme alla visione.
Le immagini, proiettate da Domiziano Varini, ci portano dentro la scena che nelle piazze, vie, uffici, scuole della città ossolana ,evocava l’ipotesi di un mondo  civile futuro. Vediamo fisionomie che possiamo immaginare con noi, ai giorni nostri.
L'intensa presenza femminile, a cui Ettore si dimostra per natura molto sensibile, esprime un'umanità che si libera da secoli d'oppressione e subalternità,per ingentilire con il proprio carattere la società dell'avvenire. Le attrici Giuliana  Buggin e Olivia Curti, la giovanissima Petra,la collaboratrice alla regia Lorenza Baruffaldi,figure,”personae” delle donne antifasciste e staffette partigiane ,nelle case di pietra,per i sentieri  valligiani e alpestri.
Nello spazio,nel tempo dell'attualità,questa sera a Domodossola,ci   commuoviamo,rimembrando quegli eventi: dopo la festa per il blitz della liberazione,il successivo esodo al ritorno dell'armata nazifascista,allora fotogrammi d'oggi si sovrappongono nella nostra mente ,da Lampedusa a Kobane, neri d'Africa e curdi inseguiti dal terrore con cui miliziani,politici,finanzieri , faccendieri dell'internazionale dell'estorsione,ricattano la loro,la nostra vita di gente con ipotesi di esistenze discrete,fondamentalmente oneste e pacifiche,in cui ciascuno riceva in equa  proporzione di quanto produca.
Nei tempi grami,quando la  follia del crimine palese o mascherato ha il sopravvento,non resta che la solitudine ,come in montagna, come per i partigiani , i fuggiaschi di ogni tempo ed epoca. Ma in montagna si colgono anche fiori, e il “fiore del partigiano”è la stella alpina, la stessa  del caduto della prima guerra ancora trent'anni prima,in Carnia o sul Carso, come in Ossola...e ci sarà sempre una giovane dalla bellezza commovente,che salendo per il sentiero troverà una croce e una stella,in una mattina tersa ed emozionata di un giugno...magari sarà l'unica a vederla,appartata..la stella lanuginosa  con stille di sangue vivo,quella stella che sa dell'amore della ragazza con il partigiano caduto, per parafrasare le toccanti parole e note che il friulano Arturo Zardini espresse un secolo  fa, nei tempi crudeli  della prima grande guerra.
Cos'è infine questa commozione?E'sentore d'orgoglio per quella realizzazione d'allora qui in alto Piemonte e per quelle di tutti i tempi in ogni parte del mondo; è  in alternanza pianto, risentimento,  per la sopraffazione che continua,ritorna, come in un circolo vizioso, ostacolando le repubbliche,le liberazioni,con opzione di dittature aperte o mascherate.....
I presenti, quasi un nucleo raccolto, testimoniano l'affetto e l'idea sempiterna per un mondo migliore, anche nella notte economica della globalizzazione sregolata e micidiale...nella notte ossolana un atomo, una scintilla di r-esistenza, la cui energia si connette a quella di situazioni simili nel mondo.
Dario Varini

mercoledì 8 ottobre 2014

Dante, PURGATORIO C.V.

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Purgatorio · Canto V
Io era già da quell' ombre partito,
e seguitava l'orme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando 'l dito,
una gridò: «Ve' che non par che luca
lo raggio da sinistra a quel di sotto,
e come vivo par che si conduca!».
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.
«Perché l'animo tuo tanto s'impiglia»,
disse 'l maestro, «che l'andare allenti?
che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti;
ché sempre l'omo in cui pensier rampolla
sovra pensier, da sé dilunga il segno,
perché la foga l'un de l'altro insolla».
Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
Dissilo, alquanto del color consperso
che fa l'uom di perdon talvolta degno.
E 'ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
cantando `Miserere' a verso a verso.
Quando s'accorser ch'i' non dava loco
per lo mio corpo al trapassar d'i raggi,
mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
e due di loro, in forma di messaggi,
corsero incontr' a noi e dimandarne:
«Di vostra condizion fatene saggi».
E 'l mio maestro: «Voi potete andarne
e ritrarre a color che vi mandaro
che 'l corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
com' io avviso, assai è lor risposto:
fàccianli onore, ed esser può lor caro».
Vapori accesi non vid' io sì tosto
di prima notte mai fender sereno,
né, sol calando, nuvole d'agosto,
che color non tornasser suso in meno;
e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
come schiera che scorre sanza freno.
«Questa gente che preme a noi è molta,
e vegnonti a pregar», disse 'l poeta:
«però pur va, e in andando ascolta».
«O anima che vai per esser lieta
con quelle membra con le quai nascesti»,
venian gridando, «un poco il passo queta.
Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,
sì che di lui di là novella porti:
deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?
Noi fummo tutti già per forza morti,
e peccatori infino a l'ultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti,
sì che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
che del disio di sé veder n'accora».
E io: «Perché ne' vostri visi guati,
non riconosco alcun; ma s'a voi piace
cosa ch'io possa, spiriti ben nati,
voi dite, e io farò per quella pace
che, dietro a' piedi di sì fatta guida,
di mondo in mondo cercar mi si face».
E uno incominciò: «Ciascun si fida
del beneficio tuo sanza giurarlo,
pur che 'l voler nonpossa non ricida.
Ond' io, che solo innanzi a li altri parlo,
ti priego, se mai vedi quel paese
che siede tra Romagna e quel di Carlo,
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
in Fano, sì che ben per me s'adori
pur ch'i' possa purgar le gravi offese.
Quindi fu' io; ma li profondi fóri
ond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea,
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
là dov' io più sicuro esser credea:
quel da Esti il fé far, che m'avea in ira
assai più là che dritto non volea.
Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,
quando fu' sovragiunto ad Orïaco,
ancor sarei di là dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco
m'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid' io
de le mie vene farsi in terra laco».
Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l'alto monte,
con buona pïetate aiuta il mio!
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch'io vo tra costor con bassa fronte».
E io a lui: «Qual forza o qual ventura
ti travïò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?».
«Oh!», rispuos' elli, «a piè del Casentino
traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,
che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
Là 've 'l vocabol suo diventa vano,
arriva' io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini', e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò vero, e tu 'l ridì tra ' vivi:
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
gridava: ``O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui l'etterno
per una lagrimetta che 'l mi toglie;
ma io farò de l'altro altro governo!".
Ben sai come ne l'aere si raccoglie
quell' umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove 'l freddo il coglie.
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento
per la virtù che sua natura diede.
Indi la valle, come 'l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,
sì che 'l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a' fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;
e come ai rivi grandi si convenne,
ver' lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l'Archian rubesto; e quel sospinse
ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce
ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse».
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via»,
seguitò 'l terzo spirito al secondo,
«ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellata pria
disposando m'avea con la sua gemma».