SORDELLO DA GOITO
Sordello da Goito, del territorio di Mantova, è
stato uno tra i più importanti poeti europei “Trovatori” dell'Italia
settentrionale. Nel basso medioevo il trovatore o trovadore o trobadore
era un compositore ed esecutore di poesia lirica occitana o “lingua d'oc”,
detta anche “provenzale”, una lingua romanza parlata in Occitania, vasta
regione storica comprendente gran parte del sud della Francia, la catalana Val
d'Aran in Spagna, le Valli Occitane in Italia e le “isole linguistiche” della Calabria
e di Guardia Piemontese. I Trovatori,
non utilizzando il latino, lingua degli ecclesiastici, e
introducendo l'occitano, sono stati i poeti che aprirono la strada alla poesia
in lingua volgare.
Sordello
nacque all'inizio del XIII secolo da una famiglia appartenente alla piccola
nobiltà, essendo il padre “Miles” presso il Castello di Goito. Giullare di
corte (poeta, attore, intrattenitore), Sordello ebbe una vita movimentata e
intensa. Amante della bella vita e delle donne, visse nelle corti più note
d'Europa, dove si distinse per la sua lealtà cavalleresca e le sue capacità
tattiche e organizzative. Dopo essere stato a Ferrara, presso la corte di Azzo
d'Este, si spostò a Verona, alla corte di Ezzelino III e Alberico da Romano,
sposandosi nel frattempo con Otta degli Strasso, di nobile famiglia. Nel 1229
lasciò la corte da Romano e, per varie vicende politiche, si recò in
Spagna, Portogallo e in Provenza dove, dal conte Raimondo Berengario IV, fu
insignito della nomina di Cavaliere e assegnati alcuni feudi.
Alla
morte di Berengario, Sordello rimase con il suo erede Carlo I d'Angiò fino al
1265 quando, al suo seguito, ritornò in Italia, dove il
12 marzo 1269, elevato al rango di "miles" (uomo d'armi) e "familiaris" (uomo di corte), per l'appoggio e i servizi prestati con tanta fedeltà, ricevette
i castelli di Monte S. Silvestro, Pili, Paglieta,
Monteodorisio con il Casale di Castiglione (oggi S. Lorenzo di Vasto), in
un'unica contiguità territoriale su tratturi, per una rendita di 157 once d'oro. Sordello
ricevette l'investitura dei feudi "per anulum" a Foggia, ma non ne rimase soddisfatto e lo si capisce dall'agire del re, che,
un mese dopo, nel tentativo di accontentarlo, gli aggiunse Civitaquana e Ginestra.
Ma Sordello ambiva alla Contea di Chieti, conferita, il 30 giugno stesso, al nobile francese Radulfo (o Raul o Rodolfo) De Courtinay (Cortinacio) per averlo
appoggiato contro gli Svevi, e Sordello accettò di scambiare i feudi ricevuti con il
castello di Palena,
di uguale valore, ma con mulini e lanifici.
Carlo
d'Angiò non avendo soddisfatto l'ambizione di Sordello, disse di lui: SORDELLO HO TENUTO CARO, ONORATO SEMPRE. GLI DONAI GUALCHIERE,
MULINI, ALTRI BENI. CHI GLI DONASSE UNA CONTEA GRATO NON GLIENE SARIA (traduzione dall'originale a cura dello Storico
Candido greco - Versione corrente: Sordello ho tenuto caro, onorato sempre.
Gli donai Lanifici, Mulini e altri beni. Anche se qualcuno gli donasse una
Contea, non glie ne sarebbe grato o contento. Il 1269 è ritenuto anche l'anno della morte di
Sordello, avvenuta probabilmente in maniera violenta, vista la collocazione che
Dante ne fa nella Divina Commedia. Il possesso dei nostri feudi fu di certo
solo nominale e per pochi mesi, ma sufficiente per fare di Monte S. Silvestro e
Pili due altri fiori all'occhiello della storia della Città Atessa.
DANTE E SORDELLO
Di Sordello ci restano 42 liriche ed il poemetto
didascalico Ensenhamen d'onor
(Precetti d'onore). Il testo più famoso è il Compianto in morte di ser Blacatz, elogio funebre di un signore provenzale.
Ma la sua fama è dovuta principalmente al ritratto
che poeticamente Dante Alighieri ne delinea nei canti VI, VII, VIII del
Purgatorio.
Il canto sesto si svolge nell'Antipurgatorio, dove
le anime dei negligenti (coloro che trascurarono i propri doveri spirituali)
attendono di poter iniziare la loro espiazione.
Virgilio indica a Dante un'anima solitaria che guarda verso di loro, che potrà
indicare la via più facile da percorrere. I due si avvicinano, e Dante è
colpito dall'aspetto dignitoso ed austero di quell'anima, che seguiva i loro
passi solo con lo sguardo. Virgilio si accosta chiedendo indicazioni sul
cammino, ma l'anima invece di rispondere chiede chi siano e di dove. La
risposta di Virgilio inizia con la parola "Mantua", Mantova! E' sufficiente la sola parola perché l'anima
esca dal suo atteggiamento di severo distacco: balza in piedi esclamando di
essere suo concittadino. Sordello e Virgilio si abbracciano. L'imprevisto
abbraccio, suscita in Dante un'energica ed amara apostrofe all'Italia, definita
serva, luogo di dolore, nave senza guida, bordello, dove dominano guerre e
contese anche fra gli abitanti di una stessa città.
Ma vedi là un'anima che, posta
sola soletta, inverso noi riguarda: quella ne 'nsegnerà la via più tosta».
Venimmo a lei: o anima lombarda,come ti stavi altera e disdegnosa e nel mover
de li occhi onesta e tarda! Ella non ci dicea alcuna cosa,ma lasciavane gir,
solo sguardando a guisa di leon quando si posa. Pur Virgilio si trasse a lei,
pregando che ne mostrasse la miglior salita; e quella non rispuose al suo
dimando,ma di nostro paese e de la vita ci 'nchiese; e 'l dolce duca
incominciava «Mantua...», e l'ombra, tutta in sé romita,surse ver' lui del loco
ove pria stava, dicendo: «O Mantoano, io son Sordello de la tua terra!»; e l'un
l'altro abbracciava. Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere
in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!
(Purgatorio, canto VI, versetti
60-78)