Apple, la Cina e i costi umani per iPad e iPhone
Incidenti mortali, suicidi e turni di 24 ore sette giorni su sette nella fabbriche dove vengono prodotti tablet e telefono
Dal nostro inviato Paolo Salom
La fabbrica della Foxconn in Cina (Epa)
PECHINO - Semplici eppure geniali. Oggetti di cui non si può più
fare a meno: iPad, iPod, iPhone, per citare soltanto i più noti, i più
apprezzati, i più rincorsi. Oggetti dalle linee pulite entrati
nell’immaginario collettivo. Tecnologia cult che contribuisce a
modificare il nostro stile di vita. Ma anche, come un moderno, perverso
contrappasso, lo stile di vita chi li produce in conto terzi, ovvero
milioni di lavoratori cinesi costretti a rispettare turni estenuanti in
condizioni che nessuno, in Occidente, potrebbe nemmeno figurarsi, tanto
meno accettare. È il New York Times a far cadere un velo che,
per la verità, appare davvero sottile, su una realtà al limite
dell’incredibile con una lunga e dettagliata inchiesta
cui, finora, la Apple, principale committente di prodotti che ne hanno
decretato l’inarrivabile successo degli ultimi dieci anni (utili a 13
miliardi di dollari), non ha voluto replicare ufficialmente.
L'INCHIESTA- Questa realtà parla di incidenti, spesso mortali,
nelle differenti aziende che lavorano per il gigante americano
dell’elettronica stilosa. Con un’attenzione particolare alla Foxconn, se
non altro perché è la più grande fabbrica della Repubblica Popolare (un
milione e 200 mila tra operai e addetti) che, oltre a quelli della
Apple, assembla i prodotti di industrie come Amazon, Dell,
Hewlett-Packard, Nintendo, Nokia e Samsung. La Foxconn, entrata nelle
cronache per una «epidemia» di suicidi tra i suoi dipendenti, ha il suo
centro nevralgico a Chengdu, metropoli di 12 milioni di abitanti nella
provincia del Sichuan, ma ha fabbriche ovunque in Cina e, scrive il New York Times, dai suoi capannoni esce il 40% di tutti i prodotti di elettronica venduti nel mondo con svariati marchi. TURNI MASSACRANTI- Ma i «gioielli» restano ovviamente i colorati oggetti partoriti dal genio del compianto Steve Jobs. Che probabilmente ignorava le condizioni in cui venivano realizzati se è vero che, in passato, aveva lodato la struttura produttiva cinese: «Le loro fabbriche hanno mense, cinema, piscine», aveva detto durante un convegno. Vero, verissimo. Soltanto che il prezzo pagato dai lavoratori è al di là di ogni immaginazione (occidentale). Basta leggere il cartello che mette in guardia gli operai, come una riedizione del dantesco «Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate». Dice: «Lavorate duramente oggi o duramente trovatevi un altro lavoro domani». Poi il New York Times elenca con precisione come lavorano i dipendenti: turni sulle 24 ore, sei giorni su sette, 12 ore per turno, senza potersi mai sedere, punizioni per i ritardatari, costretti a scrivere umilianti lettere di scuse, dormitori affollati all’inverosimile.
LA DIFESA- La Foxconn si difende negando di «maltrattare gli operai» e anzi affermando di «rispettare le leggi della Repubblica Popolare». D’altro canto, la Apple ha varato un codice di condotta aziendale che vieta di servirsi di fornitori che impongano condizioni disumane ai dipendenti. Evidentemente, fa capire il New York Times, non sempre queste condizioni vengono verificate puntualmente. Altrimenti la Foxconn non sarebbe tra i fornitori della Casa di Cupertino. Quando il britannico Mail on Sunday ha pubblicato un'inchiesta sui metodi impiegati in un impianto della Foxconn a Shenzhen (turni infiniti e persino punizioni fisiche, come l’obbligo di fare flessioni in stile caserma), alcuni dirigenti della Apple si sono detti «scioccati: non sapevamo che cosa succedesse davvero in Cina, tutto questo deve essere cambiato».
«APPLE NON SI PREOCCUPA» - Nella realtà, poco può essere modificato seguendo la logica del profitto imposta dall’industria fondata da Jobs. Perché i margini per il fornitore sono esigui e possono aumentare soltanto riducendo i costi di produzione. In Cina questo viene fatto a spese dei lavoratori, costretti a turni inaccettabili, a utilizzare prodotti chimici pericolosi, a subire soprusi per lavorare di più e meglio. «Una volta che la Apple ha scelto un fornitore - spiega al New York Times un anonimo (ex) manager - difficilmente si preoccupa se il codice di condotta è rispettato come garantito prima di firmare il contratto». Essenziale, prima di tutto, è che iPod e iPad siano a regola d’arte. O che gli iPhone piacciano al pubblico. Che nulla sa del sudore e della sofferenza nascosti nei circuiti interni.