venerdì 28 settembre 2012

Apple, la Cina e i costi umani per iPad e iPhone

Apple, la Cina e i costi umani per iPad e iPhone

Incidenti mortali, suicidi e turni di 24 ore sette giorni su sette nella fabbriche dove vengono prodotti tablet e telefono

Dal nostro inviato  Paolo Salom


La fabbrica della Foxconn in Cina (Epa)La fabbrica della Foxconn in Cina (Epa)
PECHINO - Semplici eppure geniali. Oggetti di cui non si può più fare a meno: iPad, iPod, iPhone, per citare soltanto i più noti, i più apprezzati, i più rincorsi. Oggetti dalle linee pulite entrati nell’immaginario collettivo. Tecnologia cult che contribuisce a modificare il nostro stile di vita. Ma anche, come un moderno, perverso contrappasso, lo stile di vita chi li produce in conto terzi, ovvero milioni di lavoratori cinesi costretti a rispettare turni estenuanti in condizioni che nessuno, in Occidente, potrebbe nemmeno figurarsi, tanto meno accettare. È il New York Times a far cadere un velo che, per la verità, appare davvero sottile, su una realtà al limite dell’incredibile con una lunga e dettagliata inchiesta cui, finora, la Apple, principale committente di prodotti che ne hanno decretato l’inarrivabile successo degli ultimi dieci anni (utili a 13 miliardi di dollari), non ha voluto replicare ufficialmente. L'INCHIESTA- Questa realtà parla di incidenti, spesso mortali, nelle differenti aziende che lavorano per il gigante americano dell’elettronica stilosa. Con un’attenzione particolare alla Foxconn, se non altro perché è la più grande fabbrica della Repubblica Popolare (un milione e 200 mila tra operai e addetti) che, oltre a quelli della Apple, assembla i prodotti di industrie come Amazon, Dell, Hewlett-Packard, Nintendo, Nokia e Samsung. La Foxconn, entrata nelle cronache per una «epidemia» di suicidi tra i suoi dipendenti, ha il suo centro nevralgico a Chengdu, metropoli di 12 milioni di abitanti nella provincia del Sichuan, ma ha fabbriche ovunque in Cina e, scrive il New York Times, dai suoi capannoni esce il 40% di tutti i prodotti di elettronica venduti nel mondo con svariati marchi.
TURNI MASSACRANTI- Ma i «gioielli» restano ovviamente i colorati oggetti partoriti dal genio del compianto Steve Jobs. Che probabilmente ignorava le condizioni in cui venivano realizzati se è vero che, in passato, aveva lodato la struttura produttiva cinese: «Le loro fabbriche hanno mense, cinema, piscine», aveva detto durante un convegno. Vero, verissimo. Soltanto che il prezzo pagato dai lavoratori è al di là di ogni immaginazione (occidentale). Basta leggere il cartello che mette in guardia gli operai, come una riedizione del dantesco «Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate». Dice: «Lavorate duramente oggi o duramente trovatevi un altro lavoro domani». Poi il New York Times elenca con precisione come lavorano i dipendenti: turni sulle 24 ore, sei giorni su sette, 12 ore per turno, senza potersi mai sedere, punizioni per i ritardatari, costretti a scrivere umilianti lettere di scuse, dormitori affollati all’inverosimile.
LA DIFESA- La Foxconn si difende negando di «maltrattare gli operai» e anzi affermando di «rispettare le leggi della Repubblica Popolare». D’altro canto, la Apple ha varato un codice di condotta aziendale che vieta di servirsi di fornitori che impongano condizioni disumane ai dipendenti. Evidentemente, fa capire il New York Times, non sempre queste condizioni vengono verificate puntualmente. Altrimenti la Foxconn non sarebbe tra i fornitori della Casa di Cupertino. Quando il britannico Mail on Sunday ha pubblicato un'inchiesta sui metodi impiegati in un impianto della Foxconn a Shenzhen (turni infiniti e persino punizioni fisiche, come l’obbligo di fare flessioni in stile caserma), alcuni dirigenti della Apple si sono detti «scioccati: non sapevamo che cosa succedesse davvero in Cina, tutto questo deve essere cambiato».
«APPLE NON SI PREOCCUPA» - Nella realtà, poco può essere modificato seguendo la logica del profitto imposta dall’industria fondata da Jobs. Perché i margini per il fornitore sono esigui e possono aumentare soltanto riducendo i costi di produzione. In Cina questo viene fatto a spese dei lavoratori, costretti a turni inaccettabili, a utilizzare prodotti chimici pericolosi, a subire soprusi per lavorare di più e meglio. «Una volta che la Apple ha scelto un fornitore - spiega al New York Times un anonimo (ex) manager - difficilmente si preoccupa se il codice di condotta è rispettato come garantito prima di firmare il contratto». Essenziale, prima di tutto, è che iPod e iPad siano a regola d’arte. O che gli iPhone piacciano al pubblico. Che nulla sa del sudore e della sofferenza nascosti nei circuiti interni.
Paolo Salom

giovedì 13 settembre 2012

I GIOVANI, PROTAGONISTI DEL MONDO CHE CAMBIA



I giovani, protagonisti del mondo che cambia
di Bruno Forte     Cronologia articolo 9 settembre 2012       Commenta

È drammatico il dato sulla disoccupazione giovanile nel nostro Paese. Un giovane su tre, fra chi ne avrebbe le potenzialità, è senza lavoro, con prospettive incerte anche sull'immediato avvenire. Impegnarsi per creare opportunità ai giovani è compito prioritario nell'agenda delle cose da fare, come ha riconosciuto con chiarezza il presidente Monti. Il governo dovrà certo fare la sua parte, ma sarebbe illusorio pensare che il problema si risolva unicamente dall'alto.
Mai come in questo campo si richiede una sinergia ampia e convinta, dalle famiglie alla scuola, dalla società civile alla comunità ecclesiale, dalle imprese ai sindacati, dalle amministrazioni locali alle agenzie che operano sul territorio al servizio del bene comune. È importante, però, che i primi protagonisti di questo sforzo corale siano proprio i giovani.
Come? Vorrei rispondere a questa domanda partendo da un'immagine biblica, tratta dal libro dei Numeri (cap. 13), dove si narra degli esploratori mandati da Mosè a visitare la terra promessa. Ritornando, essi portano il grappolo d'uva, il melograno e il fico e, nel raccontare quello che hanno visto, trasmettono una tale, convinta emozione, che tutto il popolo decide di affrontare il rischio di entrare in una terra dove abitano i giganti. È l'immagine di quello che dovrebbero fare i giovani di fronte alle sfide della crisi in atto. Come gli esploratori, i giovani non sono i capi del popolo, non sono Mosè, né Aronne; essi non sono neanche i sacerdoti o i leviti, e neppure la grande massa costituita dalle famiglie, dagli anziani, dai bambini. I giovani sono per loro natura gli esploratori, mandati a scoprire il futuro di tutti. Chi entrerà nella terra promessa, chi la vedrà e la farà sua? Chi ne intuisce già i tratti, ne avverte il sapore e il profumo? Sono i giovani. In questo senso, aveva ragione Giovanni Paolo II nel dire che sono loro le sentinelle del mattino, che annunciano con i loro sogni e le loro attese il giorno che verrà. Sono loro i primi destinatari di quel sì di Dio al mondo, di cui parla spesso Benedetto XVI. I giovani anticipano il futuro, ce lo fanno assaggiare. Ecco perché un adulto che abbia perso il contatto coi giovani diventa presto vecchio; e chi è rimasto a contatto con loro conserva una carica stupefacente di giovinezza e di speranza.
Mi chiedo, allora, quali caratteristiche dovranno avere questi esploratori della terra promessa. Come agli inviati del libro dei Numeri, è chiesto ai giovani di raccontare un mondo ai più sconosciuto: essi devono essere dei narratori. Narrare non significa aver capito tutto, voler spiegare tutto, descrivere ogni dettaglio. Narrare vuol dire comunicare un'esperienza vissuta in maniera così intensa da risultare contagiosa di futuro. È questo che mi aspetto dai giovani: che aiutino tutti noi a conoscere, attraverso i loro racconti - che sono i loro "sogni diurni", le loro attese e speranze - un mondo che per tanti aspetti non conosciamo, quello che condividono ogni giorno nelle scuole, negli ambienti di vita, con i loro amici, con quanti sanno dialogare con loro. Da questo mondo ci separa spesso una distanza, che ci rende difficile capirlo. È evidente, peraltro, che non si può imparare la lingua degli altri senza conoscerli. Chi conosce la lingua dei giovani, chi sta esplorando il mondo che deve venire, sono anzitutto loro, i giovani stessi. Perciò, noi adulti abbiamo bisogno di loro, perché senza di loro non potremo parlare al futuro; è grazie a loro, se accettano di coinvolgersi nell'avventura di sognare insieme e di organizzare la speranza, che anche noi potremo parlare al domani e costruirlo con loro. Il mio appello è allora a coinvolgere i giovani nello sforzo creativo del progetto, necessario ad aprire le vie del domani di tutti. Gli organismi di partecipazione (ad esempio scolastica) sono importanti, ma non bastano. Occorre un livello ulteriore di ascolto e di condivisione.
Oltre a essere i narratori della speranza, i giovani, come gli esploratori della terra di Canaan, sono chiamati a considerare lucidamente il desiderio e le sfide della conquista. Quando presentano il melograno, il fico e l'asta con i grappoli d'uva, gli esploratori lo fanno per dire: «Guardate che bello, questi sono i frutti della terra promessa», una terra di cui si sono innamorati. Essi descrivono qualcosa per cui vale la pena di rischiare. Vorrei chiedere allora ai giovani: non narrateci l'ovvio, lo scontato; narrateci, invece, quello che nella vita vi fa sognare. Narrateci le vostre speranze, i vostri desideri; siate i trasmettitori di un'esperienza che solo l'amore dischiude, perché solo se si guarda con amore la terra della promessa di Dio, si può anche vedere il grappolo d'uva e il melograno e il fico. Aiutateci a sognare con voi un sogno anche arduo, ma possibile! Proprio per questo, come fecero gli esploratori della terra promessa, non tacete a voi stessi e agli altri le difficoltà dell'impresa. Il vostro sogno sia a occhi aperti, tanto da risultare interprete lucido e razionale della realtà! Bisogna scommettere sulle capacità dei giovani: ad essi non dobbiamo solo chiedere di trasmetterci un'emozione, ma anche di aiutarci a pensare, di proporci delle sfide, di farci valutare senza ambiguità le difficoltà dell'impresa. Nella terra promessa ci sono i giganti, le grandi agenzie che puntano solo al profitto e non esitano a scarificare ad esso i più deboli, a cominciare dai giovani! Non si può, né si deve tacere sulle difficoltà, le sfide, le prove che vanno affrontate. Amare i giovani significa chiedere loro sacrifici sensati, impegnarli a prepararsi, a studiare, a esercitarsi nel dono di sé. Guai a stimolarli solo a fare bella figura, ad apparire! I giovani vanno educati e devono educarsi a capire i problemi, a esaminarli e ad affrontarli insieme con gli altri, a lavorare sodo per superarli.