giovedì 18 agosto 2016

Terre spezzate

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3 giorni fa ... Terre. Un viaggio straordinario per capire il grande caos del mondo arabo spezzate
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Scott Anderson, giornalista, scrittore, appassionato studioso del mondo arabo, ha lavorato un anno e mezzo per scrivere il più lungo e approfondito reportage nella storia del New York 
Times  su quella che si può definire la guerra mondiale araba. Ora  in contemporanea anche
per i 
 lettori di Repubblica.


giovedì 11 agosto 2016

Un'estate con Baudelaire


C'immaginiamo quanto siano saturi ,i recenti  "maturati ", dei programmi scolastici appena dismessi, algoritmi, leggi della fisica, autori di letteratura ecc.
Tuttavia può anche affiorare il gusto di approfondire, o riprendere, qualche suggestione letteraria o poetica incontrata durante l'ultimo anno d'istruzione media-superiore....

Un’estate con Baudelaire, di Antoine Compagnon.  Il libello, recentemente pubblicato in Italia da Garzanti nella traduzione di Camilla Panichi, prosegue la fortunata esperienza di Un’estate con Montaigne: in entrambi i casi i contenuti, tratti da un programma radiofonico di successo, sono stati poi pubblicati in forma di saggio.
Un’estate con Baudelaire si apre con una gioiosa e provocatoria premessa iniziale:
Cosa c’è di più bizzarro del trascorrere un’estate con Baudelaire? […] il poeta del crepuscolo, dell’ombra, del rimpianto e dell’autunno
Il testo si configura fin da subito come guida alla scoperta di uno dei più eminenti autori francesi e come vero e proprio invito alla lettura (e alla riscoperta) delle sue opere:  “Ho deciso di trattare Baudelaire senza la presunzione di dover dire tutto, cercando [...] di riportare nelle librerie un maggior numero di lettori affinché ritrovino la strada dei Fiori del male e dello Spleen di Parigi” .
Già nelle prime pagine, dilagano non solo la perpetua nostalgia baudelariana del sole che dardeggia sul mare – dono che solo la fugace estate sa regalare – ma anche il costante rimpianto per la “bella estate dell’infanzia, la bella estate perduta per sempre”.  
La figura materna, la signora Aupick, è in effetti protagonista del primo capitolo, dedicato alla lettura di un toccante e poco conosciuto componimento dei Fiori del male, in cui traspare la malinconia nei confronti di una effimera condizione di felicità primigenia, ormai definitivamente tramontata:  “Non ho dimenticato, vicino alla città, la nostra casa bianca, piccola e tranquilla. [...]. E il sole la sera [...] sembrava, grande occhio spalancato nel cielo curioso, contemplare le nostre cene lunghe e silenziose”
Del resto l’età infantile, “il bel tempo delle tenerezze materne”si rivela un intimo paradiso di breve durata, repentinamente stroncato dal secondo matrimonio di Caroline Baudelaire con Jacques Aupick e destinato a lasciar spazio a un malinteso dolente che tra madre e figlio non cesserà mai.
Si pensi, in questo senso, a Benedizione, prima lirica dei Fiori del male: “Allorché [...] il Poeta appare in questo mondo attediato, sua madre impaurita e carica di maledizioni stringe i pugni verso Dio che l’accoglie pietoso”.
Nel capitolo conclusivo, compare significativamente – quasi a chiudere il cerchio del mundi muliebris del poeta – anche Mariette, la serva e la donna che, “nei suoi anni da orfano”, dette al poeta quell’affetto che la madre, rigida e riservata, gli concedeva solo con parsimonia”.
Evocare la tenerezza di Baudelaire nei confronti della serva generosa risulta utile per stemperarne la discussa misoginia, che ben emerge nelle pagine del libro che Compagnon dedica alle donne amate, odiate e cantate dal poeta. Non solo gli affetti familiari – Caroline, Mariette, il padre troppo presto scomparso – trovano spazio in Un’estate con Baudelaire, ma anche i rapporti sociali e artistici del poeta, da quello controverso con Victor Hugo, fino all’ammirazione per Delacroix e all’amicizia con Manet.
Sono infine presenti riflessioni di più ampio respiro, che mirano a indicare il poeta flâneur quale testimone insigne dell’età moderna.  Si parte dalle considerazioni sulla perdita dell’aureola nel celebre apologo tratto da Lo Spleen di Parigi, che “consacra Baudelaire come uno dei più lucidi osservatori della desacralizzazione dell’arte nel mondo moderno”, per arrivare alla lettura di A una passante, lirica dei Fiori del male che reinterpreta il tema dell’incontro di stilnovista memoria alla luce dei ritmi frenetici della metropoli e dona allo sguardo della vedova protagonista, ben diversa dalla Beatrice dantesca, “la dolcezza che incanta e il piacere che uccide”.  
E ancora, accanto al fango e all’oro che una controversa Parigi riserva al poeta-straccivendolo dotato del suo personale uncino, la penna – “Ti amo, infame capitale!” scriverà Baudelaire in un progetto di epilogo dello Spleen di Parigi - Compagnon si sofferma sullospleen baudelairiano che rende la vita dura e pesante, come la pietra delle piramidi:  “Già tu non sei più, o materia vivente, che un granito circondato da un vago spavento, assopito nel fondo di un Sahara brumoso”  e sulla bellezza che per il poeta, ormai trasfigurato dalla noia in una sfinge, una piramide, un cimitero, “un vecchio camerino pieno di rose passe”, è sempre bizzarra e triste:  “Ho trovato la definizione del Bello, – del mio Bello. È qualcosa di ardente e di triste, qualcosa di un po’ vago, che lascia corso alla congettura”.
Un’estate con Baudelaire è un piccolo vademecum estivo per scoprire aspetti molteplici della personalità poetica e artistica di Charles Baudelaire, e soprattutto per gustare, ancora una volta, la bellezza senza tempo della sua poesia.
Una lettura da consigliare vivamente non solo nel periodo estivo, ma soprattutto in settembre, ai maturandi impegnati in una “fantastica scherma” con un poeta duplice, dolentemente indolente e sempre paradossale, di cui pare doveroso rispettare e conoscere tutte le contraddizioni.

Madre dei ricordi, amante delle amanti,
o tu che assommi tutti i miei piaceri, tutti i miei doveri.
Ricorderai la bellezza delle carezze,
la dolcezza del focolare, l’incanto delle sere,
madre dei ricordi, amante delle amanti?
C. Baudelaire, Il balcone

(la recensione è di Elisa Lucchesi)

venerdì 5 agosto 2016

Il sicomoro di Palmira



Mi chiedi com’era l’infanzia a Tadmor?  La rivedo in un vetro di finestrino che rimandava il riflesso di mia madre…cammina in giardino e quando si china, la sua mano lavora una gobba di una piccola aiuola ,e io apro il vetro e sento l’odore umido della terra smossa…
Nel  1992 ebbi un posto fra i guardiani del sito, che i greci chiamavano Palmira …. Nell’aria un po’  di pace e prosperità,allora, per il nostro Paese!
Ben accolti, venivano frotte di turisti, ad ammirare  con entusiasmo le meravigliose rovine dell’antica città sorta  presso l’oasi del deserto, dove le carovaniere per l’Oriente  sostavano e dove tanti  popoli si erano succeduti, sempre meravigliandosi per la Sposa  del deserto. Un luogo unico,dove una donna ,la regina Zenobia era divenuta Augusta, sfidando il grande Impero di Roma. 
Tutti i visitatori ignoravano, come noi stessi facevamo finta di ignorare, che nella città nuova dov’ero nato  , vi era la più terribile prigione, le cui porte verso l’interno rimpicciolivano via via , per spalancarsi poi su un inferno di cui i condannati dal regime diventavano combustibile. Polvere e fuoco per molta parte dell’anno, in qualche mese un gelo che bruciava altrettanto la pelle…
Anche Khaled, il direttore,   dava di spalle all’orrore…lo ricordo in piedi, sui gradini del tempio di Baal ,innamorato della meraviglia che aveva davanti, orgoglioso di mostrarla al mondo; a noi dava con autorità ordini precisi, bastava eseguirli e le giornate scorrevano senza problemi. Lo stipendio era buono. Seguivamo i precetti della Fede, ma ci dicevano di essere sempre ospitali, amichevoli, con questa gente d’occidente, che portava un flusso di entrate ininterrotto, con i vari tour. Dovevamo essere amichevoli, anche se i loro modi erano molto diversi; si vedevano donne giovani , e anche meno giovani, molto scoperte e a vederle sentivamo una rabbia e insieme  un languore dentro , come il respiro mozzato;qualcuna di loro si offriva ,come una sharmuta  e c’era chi , come Nizar aveva ceduto alla tentazione e ci raccontava storie che ci mandavano fuori di senno. Le rose  e lo  scudiscio , ci diceva e fantasie torride scorrevano lungo i  nostri sensi.
Khaled era sempre presente ,s’intratteneva con archeologi europei, lui aveva la forza del Partito  e del Presidente dalla sua parte,e questa passione totale per cui viveva.
Sono stati quasi vent’anni così…. Al padre era succeduto il figlio, Bashar, sembrava che nel Paese le cose potessero ancora migliorare; Asma , la moglie, insegnava un nuovo riguardo per le nostre  donne.... poi nella primavera del 2011 è successo quel che è successo, è stato l’inizio dell’inferno  anche per il nostro popolo ,le notizie che arrivavano diventavano sempre più preoccupanti , disordini, morti, battaglie…Qui non c’era gran movimento, ci sentivamo protetti dai vecchi templi dai riflessi rosati, dall’isolamento dell’oasi nel deserto , dal fatto che qui non si compivano che imprese pacifiche.
Vidi a volte Khaled questionare, anche aspramente, con qualche collega europeo. Il direttore imprecava, che  la rivolta era stata organizzata ,che l’Arabia Saudita, la Turchia, avevano ordito questo complotto, che  gli americani la sostenevano…l’archeologo si opponeva: Bashar avrebbe dovuto cessare le violenze, consentire elezioni libere, anche se, certo,le cose non erano facili, ma, insomma , la minoranza non poteva continuare ad esercitare un dittatura sulla popolazione sunnita, sui curdi. Bastava pensare soltanto alla vicina prigione di Tadmor, il cui semplice nome faceva tremare le vene,per le brutalità, le torture inflitte a chi appena  esprimeva qualche idea diversa..… Ma a  Khaled interessava solo il sito, era ormai  vicino agli ottant’anni  , e apprezzava solo  ciò che il regime aveva fatto  per Palmira. Di altro non voleva sapere.
Sono stati mesi e mesi  d’inquietudine, di smarrimento…sembrava di tornare indietro di millenni, il vuoto intorno a Palmira; l’isolamento dell’oasi ,che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione aveva reso quasi simbolico, diventava invece  di nuovo reale..le notizie dalla tv, da internet, si percepivano qui con un senso di mistero. Tornavamo a guardare la polvere che il vento levava sul deserto con ansia, con preoccupazione per  quello che si nascondeva dietro. Da sempre cammellieri , contrabbandieri, banditi, avevano percorso le sabbie a sudovest dell’Eufrate, ma mai avevano portato minaccia a Tadmor .. come potevano portare minaccia dove c’era l’inferno della  più terribile prigione di Asad?
Il regime di Bashar era in difficoltà , attaccato e biasimato da varie  parti . Come si sospettava, con la rivolta era iniziata anche  l’attività di gruppi organizzati, estremisti e terroristi, molti provenienti da oltre confine, forze nemiche del regime. Si cominciò a sentire dei modi atroci in cui applicavano  la shari’ah .
A Rakka, più a nord, uno di questi gruppi, Daesh, aveva preso il controllo di un territorio non dappoco ,e avevano proclamato il Califfato, la legge islamica più integrale. I  tour, che già si erano diradati, cessarono del tutto…non si videro più le frotte di occidentali vocianti, i pullman, i baksheesh..Perchè ? chiedevo..Non è più sicuro, per americani, francesi ,occidentali ,mi rispondevano i tecnici con cui si era costruita negli anni familiarità..Ce ne andiamo anche noi,Ahmad, il rischio è grave…no, non credo voi corriate pericolo, questo patrimonio interesserà mantenerlo anche ai fanatici, caso mai arrivassero fin qui..Ma un altro invece era molto meno ottimista : Ricordati cos’è successo ai Buddha di Bamyan, in Afganistan, questi fanno la tabula rasa!
Lo stato d’animo, fra noi, divenne da guardingo,sempre più angosciato, sgomento. Un ingegnere italiano ci parlò di una storia , “Il deserto dei Tartari”, dove , diceva,” in un forte isolato dei soldati attendono una misteriosa invasione” . Rimasi molto colpito, da quella storia, mi sentivo in  un identico stato d’animo.  Molto spesso avevo l'idea che quel tempo sospeso  dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così il resto della  vita. Sarebbero arrivati per noi  rinforzi, come alla fortezza Bastiani?
Purtroppo non i rinforzi giunsero, ma arrivarono le camionette con le lugubri insegne nere  di Daesh, i miliziani si materializzarono come avvoltoi famelici, diavoli.
Non sono stato eroico, neanche un po’. Cosa potevo fare? Ero poco più di nessuno..ho indossato la tuta più logora, stando attento che non avesse qualche marca del mercato occidentale…pensate che un giovane, poco più di un ragazzo, era stato ucciso, solo perché portava dei calzoni corti, quelli che chiamano bermuda, e capelli sfumati,con un taglio all’occidentale!  continuavo a tenere  pulito, passando la ramazza, facendo finta di non capire, di passare inosservato, di non interessare a nessuno..
Se qualche sgherro mi chiedeva qualcosa, lo assecondavo subito… dicevo tutto quello che sapevo, ma cosa volete che sapessi? Ho aperto  qualche magazzino, tanto per risparmiargli la fatica di far saltare le serrature, ma c’erano arnesi, sacchi di cemento, piastrelle…mi chiedevano  perché lavoravo in quel luogo dove non c’era niente del vero Islam, dove erano aperte le porte per gli infedeli occidentali…ho risposto  che sono  cresciuto nella città, senza nessuno, e che mi hanno  portato lì a pulire, fin da ragazzo,  e solo  così non sono  morto di fame …Mi hanno messo a pulire la mensa, dove si cuocevano  cibi in abbondanza, c’erano molti avanzi, di montone, di grano, verdure, mi potevo nutrire a  sazietà..c’erano ambiti di divertimento, voci levate, risate, vedevo delle giovani che prese, spogliate, erano costrette a danze oscene, ad atti osceni… le rose e  lo scudiscio  …ma  le rose erano sparite   ..e poichè la sura IV, An-Nisa, consente di prender per mogli le schiave, ma non il libertinaggio, allora s’improvvisavano false  nozze....
Per Khaled, il Direttore, è stato terribile … violenze,  torture, ma  lui non rivelò mai ciò che i carnefici volevano sapere, e infine il corpo fu trovato, massacrato e decapitato.
Un uomo oltre gli ottant’anni, distrutto insieme alle meraviglie che aveva contribuito a tenere nel loro splendore, per tanti anni, e che ora erano diventate polvere di storia,null’altro. Lo hanno lasciato agli avvoltoi, ai corvi…
Dunque non erano  arrivati i rinforzi..erano arrivati i Tartari …l’ingegnere italiano che mi aveva raccontato questa storia era ormai lontano, per  sua fortuna, io volevo  chiedere a lui o  a chi l’ha scritta come sarebbe andata se il finale della storia fosse stato questo … forse mi direbbe che, come il tenente Drogo, anch’io avrò raggiunto uno scopo  se saprò sconfiggere la paura di morire.
Stavo lì, e tremavo . Non avevo  il coraggio di tentare la fuga, per dove? c’è deserto da ogni parte, c’è guerra da ogni parte.. aspettavo che il Sole inghiottisse la Luna, che la sua luce si spegnesse, le piante morissero fino alle loro radici e  la terra si squarciasse … stavo lì , nella mia vigliaccheria e vergogna … come un’eco muta, sentivo dentro di me orecchie assordate da urla di ogni parte.. pensavo di rifugiarmi  sotto la polvere per sfuggire ai diavoli del deserto, di farmi  una corazza con una corteccia  di sicomoro, come quella  dove dicono si fosse rifugiato Musa, prigioniero della gabbia numero 6…
E poi sono arrivati i russi e gli iraniani , con loro l’esercito di Bashar, risorto negli ultimi mesi…le rovine, dolenti, sfregiate, respirano,guardano un po’ stranite questi nuovi liberatori…mi ha telefonato l’archeologo italiano:” Ahmad, forse torniamo!”..lo spero, perché io sto tremando di nuovo, per il timore che qualcuno non mi denunci di aver collaborato con Daesh, di aver mangiato i loro avanzi!

Dario Varini