mercoledì 20 agosto 2014

I massacri dell'ISIS e la resistenza kurda

I massacri dell'ISIS e la resistenza kurda

  • Categoria: Internazionale
  • Pubblicato: Martedì, 19 Agosto 2014 17:12
Pubblichiamo un dossier sulla resistenza kurda a cura  dell'Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia. Per noi il terrorismo dell'ISIS è il frutto dell'imperialismo americano ed europeo. Dopo aver allevato gli estremisti islamici, gli USA mandano soldati ed armi ai partiti kurdi iracheni loro alleati storici mentre la resistenza kurda siriana e il PKK in Turchia sono considerati terroristi. Noi abbiamo una diversa idea di terrorismo e sappiamo distinguere il terrore dalla resistenza. Questo dossier è stato redatto dai movimenti kurdi che per l'imperialismo devono essere distrutti.

Con questo dossier desideriamo condividere con voi informazioni importanti sulla guerra in corso in Siria ed Iraq. Come potrete cogliere da queste informazioni c'è una vasta guerra che sta accadendo in Medio Oriente e in particolare in tutto il Kurdistan.
Il report mostra anche che i terroristi di ISIS stanno effettuando un massacro su vasta scala contro il popolo curdo e gli altri gruppi etnici e religiosi (sciiti, cristiani, yezidi etc.) nella regione. I curdi sono impegnati in una guerra legittima di autodifesa per porre fine a questa sporca guerra contro l'umanità. Stanno combattendo ISIS con armi e tecnologie militari limitate e hanno soltanto la forza di volontà e il sostegno delle popolazioni. La tragedia è che i curdi sono stati lasciati soli in questa guerra che minaccia l'umanità. Nonostante questo i curdi sono determinati a resistere.
La resistenza curda per l'umanità e una vita ugualitaria
Sin dall'inizio della guerra in Siria tre anni fa (2011), lo Stato Islamico d'Iraq e del Levante (ISIS), fra gli altri gruppi terroristici, è diventato un flagello per il nostro paese, il Kurdistan, il Medioriente e per il mondo intero. Questa crescita è degenerata con le politiche ostinate e miopi di Turchia, Qatar, Arabia Saudita e alcuni paesi occidentali. Perseguendo una politica de “il nemico del mio nemico è mio alleato”, questi stati hanno contribuito a rafforzare ISIS, un mostro che non diffonde altro che ferocia e morte. Gli attacchi barbari di ISIS contro il popolo curdo e le sue conquiste nel Kurdistan occidentale (Kurdistan siriano) durante gli ultimi due anni, sono state in gran parte inosservate fino a quando, il 10 giugno 2014, essi hanno conquistato Mosul (Iraq), attirando l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale. Con la recente appropriazione di armi pesanti, ISIS allora si è concentrato di nuovo sul Kurdistan occidentale, con l'intento di massacrare il popolo curdo nel Cantone di Kobane, uno dei tre stati autonomi dichiarati nel Kurdistan occidentale un anno fa insieme a Cizre e Efrin. Tuttavia il popolo curdo si è mobilitato in massa e ha offerto un sostegno unanime alle Unità di protezione del popolo, le YPG e le YJA (le forze militari di quei tre cantoni), favorendo una resistenza storica e respingendo ISIS dall'area. E' stato dopo questa disfatta contro le forze armate curde che i gruppi terroristi hanno attaccato il Kurdistan del sud (Kurdistan iracheno). Dal 3 agosto ISIS sta attaccando una delle zone più antiche e sacre della nazione curda, Sinjar (Şengal) e il suo circondario, massacrando curdi yezidi, fedeli della più antica religione curda. A seguito di questi attacchi più di 50.000 curdi yezidi hanno trovato rifugio sulle montagne di Sinjar. Più di 300.000 tra donne, bambini e anziani sono stati sfollati. Migliaia di donne, il loro numero non è chiaro, sono state rapite e ridotte in schiavitù o sono state vittime di stupri. Questa gente sulle montagne di Sinjar sta adesso affrontando la fame e la sete. Quasi 300 bambini sono morti per malnutrizione e disidratazione e questo numero continua ad aumentare ogni giorno. Secondo i rapporti, centinaia di donne hanno commesso suicidio allo scopo di non finire nelle mani di ISIS. Con i barbari attacchi contro popoli, religioni e comunità del Kurdistan e del Medioriente, i terroristi di ISIS hanno commesso crimini contro l'umanità e hanno portato morte e distruzione in ogni casa nella regione. Decapitazioni, migrazioni forzate, sequestro di terra e proprietà, aggressioni sessuali contro le donne, mutilazioni di ragazze, l'abbandono di bambini alla fame e alla morte sono in corso a Kobane, Mosul, Sinjar, nel campo rifugiati governato dalle Nazioni Unite di Maxmur come in altre aree del Kurdistan. Ogni cosa di valore storico, inclusi i centri religiosi, il patrimonio e l'arte, sono presi di mira da ISIS.
Le forze di difesa curde stanno proteggendo i popoli nella regione
Gli Stati Uniti e l'Unione Europea stanno finalmente riconoscendo la crisi umanitaria e hanno offerto aiuto. È evidente che questo non li assolve dal ruolo che hanno giocato nel rafforzamento di ISIS. Le ben sperimentata politica imperialista del dividere e dominare non ha portato a niente ma ha prodotto conflitti religiosi tra i diversi popoli di questa antica regione. I popoli curdi, armeni, arabi, turcomanni e assiri della regione hanno formato una comune forza di difesa contro queste politiche e attacchi. I curdi e le altre comunità oppresse e gruppi religiosi stanno utilizzando i propri mezzi e le proprie forze per resistere agli attachi contro i valori umani e la decenza. Di fronte all'artiglieria pesante e alla superiorità tecnica posseduta da ISIS, le forze di difesa curde si stanno difendendo con armi ed equipaggiamento limitato. Guerriglieri donne e uomini che sono impegnati in questa legittima difesa nel Kurdistan occidentale e del sud, non stanno solo combattendo per gli uomini e le donne curde, non soltanto per le donne e i popoli del Medioriente, ma per gli uomini e le donne che stanno combattendo per il progresso, la libertà e la democrazia in tutto il mondo. In effetti sono impegnati in una lotta esistenziale per l'onore e il senso morale. Sfortunatamente non possiamo parlare di una lotta internazionale contro ISIS e simili organizzazioni terroriste, fino a quando i poteri che le sostengono non saranno disvelati e verranno adottate contro di loro sanzioni da parte della comunità e delle potenze internazionali. Agli stati in questione, Qatar, Arabia Saudita e Turchia, deve essere chiesto conto e devono essere adottate sanzioni economiche e sanzioni politiche fino a quando non recidano tutti i legami con ISIS. La principale responsabilità di tutte le organizzazioni internazionali, ed in particolare delle potenze internazionali, dovrebbe essere quella di sostenere la resistenza dei popoli sotto attacco e delle forze curde di difesa che stanno resistendo ai terroristi di ISIS. Questa è una resistenza storica per la democrazia e l'umanità.
Contesto militare degli attacchi di ISIS a Şengal
Negli ultimi due mesi, dalla caduta di Mosul il 10 giugno 2014 da parte delle forze estremiste di ISIS dello Stato islamico d'Iraq e di Siria (ISIS), la situazione nelle regioni curde di Siria e Iraq si è deteriorata rapidamente. Il conflitto siriano ha fornito lo sfondo agli attuali attacchi di ISIS a Şengal (in arabo: Sinjar), Rabia, Makhmur e Hewler (in arabo: Erbil). Dalla metà del 2013, ISIS è stato impegnato in un conflitto armato contro i curdi nelle tre regioni autonome della Siria settentrionale. Questo è diventato un sotto-conflitto distinto e separato nel più grande conflitto armato in Siria. Per oltre un anno pesanti scontri si sono ripresentati ai numerosi fronti attraverso le tre regioni curde di Efrin, Kobane (in arabo: Ayn Al-Arab) e Cizirê (in arabo: Al-Jizirah), tra le forze armate curde, le Unità di difesa del popolo (YPG), e ISIS. Dopo la caduta di Mosul il 10 giugno 2014, il gruppo estremista è stato in grado di rafforzare i suoi attacchi alle regioni curde di Siria, trasferendo artiglieria pesante, carri armati e armamenti pesanti da Mosul alle proprie basi di Jarablus, Tal Abyad e Raqqah in Siria. Da queste tre località, gli armamenti pesanti sono stati utililzzati nelle pricipali offensive contro le regioni curde di Kobane, tra giugno e la fine di luglio 2014. Trovandosi di fronte a una minaccia per la propria esistenza a causa degli attacchi di ISIS, la popolazione di Kobane si è mobilitata in massa per proteggere se stessa e la propria amministrazione autonoma. Le YPG hanno avuto successo alla fine nel respingere gli attacchi di ISIS sui tre fonti, dopo l'eroica resistenza lunga un mese. Quando i suoi piani militari sono falliti a Kobane, ISIS ha aperto un nuovo fronte a Cizirê, avviando un'offensiva sulla città di Hasakah e il suo circondario, che si trova in stretta prossimità con il confine siriano-iracheno. Dopo giorni di aspri scontri con le unità delle YPG, l'offensiva di ISIS è stata costretta ad arretrare e eventualmente a fermarsi. La città adesso è totalmente sotto il controllo delle unità delle YPG.
Gli attacchi nel sud Kurdistan (Iraq)
Il 3 agosto 2014, uomini armati di ISIS hanno attaccato la terra di origine dell'antica comunità yezida, situata a meno di 50 km dal confine siriano-iracheno, a ovest di Mosul nel distretto di Şengal (Sinjar). ISIS ha preso il controllo di Şengal città, entro 24 ore dal ritiro delle forze peshmerga dalle loro posizioni. I combattenti di ISIS non hanno fatto nessuna distinzione tra civili e combattenti nella regione di Şengal. Quando non erano rimaste forze curde peshmerga, hanno lanciato attacchi sistematici e indiscriminati sulla popolazione civile. Il numero esatto dei morti, feriti e ostaggi e persone scomparse è ancora ignoto, tuttavia, rapporti locali parlano di 1500-2000 civili morti a seguito di esecuzioni sommarie, uccisioni, fame e disidratazione. Quando la linea di difesa curda è caduta a Şengal, la comunità yezida è stata soggetta ad attacchi brutali, sistematici e senza limiti. Militarmente, i comandanti di ISIS hanno riunito le loro forze e l'artiglieria pesante per un'offensiva alla città di confine di Rabia. Gli attacchi genocidi contro i curdi yezidi, in associazione agli attacchi di ISIS a Rabia e il ritiro delle forze peshmerga, hanno spinto le unità armate delle YPG a intervenire immediatamente dal Kurdistan occidentale (Siria) per proteggere i civili in fuga e aprire corridoi umanitari per la popolazione bloccata sul monte Şengal. Questo intervento critico delle YPG nelle prime ore del conflitto ha salvato migliaia di vite e ha impedito a ISIS di controllare una porzione maggiore di territorio nelle aree rurali a ovest di Şengal. Compresa la città strategica di confine di Rabia. Nel frattempo, il comandante militare dell'Unione delle comunità del Kurdistan (KCK), Murat Karayilan, il 4 agosto 2014, ha affermato in un video comunicato che anche le Forze di difesa del popolo (HPG) avrebbero dovuto intervenire per proteggere i curdi yezidi, e combattere insieme alle altre forze curde, incluse le YPG e i peshmerga, contro ISIS. Il giorno successivo, il 5 agosto 2014, membri di ISIS hanno avviato un'attacco nel distretto del campo di Maxmur, con una popolazione di 13.000 curdi provenienti dal Kurdistan settentrionale (Turchia). Il campo rifugiati è stato sotto protezione ufficiale delle Nazioni Unite dal 1998. La direzione del campo aveva evacuato donne e bambini il 4 agosto 2014, come parte di misure di sicurezza preventive. Pesanti scontri sono seguiti nella regione di Maxmura tra i combattenti curdi delle forze HPG, YPG e peshmerga contro ISIS. Da allora sono anche stati riferiti aspri scontri e bombardamenti attorno al campo rifugiati di Maxmur. Le forze unificate sono state in grado di respingere gli attacchi di ISIS e adesso hanno il pieno contollo della città.
Nuovi attacchi di ISIS al confine con il Kurdistan iraniano
L'11 agosto 2014, rapporti hanno confermato che elementi di ISIS hanno conquistato la città di Jalaula, a meno di 40 km dal confine iracheno-iraniano. Pesanti scontri continuano in prossimità di Jalaula tra forze peshmerga e ISIS. Il 10 agosto 2014 ci sono stati i tre maggiori attacchi suicidi di ISIS contro posizioni peshmerga, che hanno ucciso decine di persone. L'offensiva di ISIS a Jalaula nell'Iraq del nord-est segna una nuova dinamica in questa regione d'Iraq, che pone una minaccia imminente per la sicurezza delle città curde di Kirkuk, Khaneqin e Halabja. Inoltre, pone un ampio rischio regionale per una ricaduta del conflitto in Iran. Le forze militari iraniane hanno rafforzato la loro presenza lungo il confine per evitare una eventuale cooperazione tra ISIS e arabi sunniti che vivono in Iran. Un attacco di ISIS a Kirkuk, città ricca di petrolio, potrebbe innescare un nuovo flusso di rifugiati e sfociare in nuove uccisioni di massa. ISIS cercherà di aumentare il controllo sulle risorse energetiche e le infrastrutture economiche allo scopo di rafforzare il suo potere regionale e stabilire la sua struttura semi statale. D'altra parte le forze curde di HPG e i peshmerga hanno dichiarato uno stato di emergenza e formato un coordinamento di difesa unificata per proteggere la regione di Kirkuk, la quale è abitata da curdi, turcomanni, arabi, cristiani e sciiti che vivono insieme. Proteggere Kirkuk sarà centrale negli sforzi futuri di pace e sicurezza nella più grande regione.
Minoranze religiose e etniche sotto minaccia in Kurdistan
Il ricco tessuto etnico e religioso del Kurdistan si è formato nel corso di migliaia di anni di convivenza tra popoli diversi. Questa convivenza è adesso sotto grande minaccia. Nonostante le loro differenze, questi gruppi condividono similitudini cullturali, sociali, politiche, economiche e psicologiche e vedono le loro differenze come una ricchezza. Senza interferenza esterna hanno vissuto generalmente in pace. Tuttavia all'inizio del 20° secolo il progetto di stato nazionale (si veda il patto di Sykes-Picot del 1916) è stato affondato come un pugnale nel cuore del Medioriente. Questa politica della creazione di nazioni omogenee ha seminato odio e inimicizia tra i popoli, e come risultato curdi, armeni, assiri, turkmeni, keldani e altri popoli si trovano ad affrontare un genocidio fisico e culturale. È ora evidente che confini immaginari e progetti politici imposti dall'esterno non soddisfano i bisogni dei popoli e non hanno avuto successo. Queste politiche imperialiste hanno radicato la guerra nel Medioriente e le vittime sono ancora una volta i popoli e i gruppi religiosi. Il movimento curdo di liberazione crede in una cultura durevole di convivenza nella regione, e ha sviluppato un progetto di vita comune inclusivo piuttosto che esclusivo. Questo progetto è stato messo in pratica nel Kurdistan occidentale (Siria settentrionale), dove come modello è stata proclamata l'autonomia democratica, e le differenti etnie, popoli e gruppi religiosi stanno condividendo in pace il potere e la regione. Sin dall'inizio sono stati fatti tentativi per soffocare questa rivoluzione, con ISIS in prima linea in questi attacchi. Pertanto ISIS e le potenze che lo stanno sostenendo sono il nemico comune dei popoli della regione. Storicamente, il colonialismo e il nazionalismo sono stati usati per dividere, indebolire e qui dominare i popoli. Adesso, è il “cappello” dell'Islam che viene usato per attaccare la regione. Di seguito si fornisce una lista dei gruppi etnici e religiosi più colpiti dagli attacchi di ISIS e dalla guerra nella regione.
Ezidi (Yezidi)
La maggior parte della popolazione yezida vive nel Kurdistan iracheno, dove il loro numero è di circa 500.000. Sono particolarmente concentrati nell'Iraq settentrionale, nella provincia di Ninive. Le due più grandi comunità sono a Shekhan, a nordest di Mosul, e a Şengal, vicino al confine siriano e a circa 80 chilometri da Mosul. Gli yezidi in Siria vivono principalmente in due comunità, una nella zona della Cezira ed altri nel Kurd-Dagh. Oggi probabilmente ci sono in Siria tra i 12.000 e i 15.000 yezidi circa. Gli Yezidi sono un'etnia curda con un sistema di credenze religiose yezida. Al di fuori di Şengal, gli yezidi sono concentrati nelle aree a nord di Mosul e nella provincia sotto il controllo curdo di Dohuk. Per gli yezidi la terra ha un significato religioso profondo, e fedeli di tutto il mondo -esistono comunità residue in Turchia, Germania, e altrove- si recano in pellegrinaggio alla città santa curdadi Lalesh. ISIS ha raggiunto Şengal nell'agosto 2014 a seguito del ritito delle truppe peshmerga. Come risultato, 200.000 residenti hanno disperatamente abbandonato le loro case per timore di attacchi fondati sulla base del loro credo religioso. In seguito, 200.000 residenti, donne e bambini sono stati sistematicamente presi di mira, i bambini separati dalle loro famiglie, e presi in ostaggio. Le prime testimonianze di persone che erano riuscite a fuggire da Şengal hanno parlato di stupri, molestie sessuali, violenze di genere e la presa in ostaggio di centinaia di ragazze e donne yezide. Il destino di più di 1500 donne nel distretto è sconosciuto alla data di redazione di questo rapporto. Quegli yezidi che non hanno trovato una via di fuga, sono stati intimati di convertirsi all'Islam o di affrontare la morte. Il giorno successivo, il 4 agosto 2014, l'esodo di massa della comunità yezida aveva creato un disastro umanitario. Approssimativamente 500.000 di loro sono stati intrappolati sul monte Şengal senza nessun accesso a acqua, cibo, medicine e riparo mentre le unità di ISIS avevano circondato la regione. Nelle 72 ore successive, tra il 4 e il 7 agosto, molti yezidi inclusi bambini sono morti durante la fuga per disidratazione, stanchezza, fame e mancanza di medicine. Un rappresentante dell'UNICEF, Marzio Babille, ha dichiarato il 5 agosto: “Le famiglie che hanno abbandonato la zona necessitano immediatamente di assistenza urgente. Famiglie tra cui 25.000 bamnini sono ora bloccati sulle montagne circostanti a Sinjar, e sono in disperato bisogno di aiuti umanitari, tra cui acqua potabile e servizi igienico-sanitari".
Assiri & Cristiani caldei
Gli assiri sono considerati essere una delle popolazioni indigene del Medio oriente. La loro terra è situata nella zona attorno al Tigri e all'Eufrate nel Kurdistan del sud (Iraq settentrionale). Gi Assiri tradizionalmente provengono dall'Iraq, dalla Turchia sud orientale, dall'Iran nord occidentale, e dalla Siria nord occidentale. C'è una popolazione significativa in Siria, dove si stima che vivano 877.000 Assiri. C'erano circa 500.000 cristiani in Iraq - una cifra che è diminuita di quasi 300.000 negli ultimi cinque anni. A un certo punto c'era oltre un milione di cristiani che vivevano lì, prevalentemente nel Kurdistan del sud. World Watch Monitor ha riferito che ISIS si è spostato nelle zone cristiane nei pressi di Mosul e ha occupato il villaggio assiro e caldeo di Qaraqosh, entrando nel monastero di S.Benam. ISIS ha avvisato i residenti cristiani di Mosul, in special modo le donne, di indossare il velo islamico. L'agenzia stampa internazionale AINA ha riferito che 200.000 assiri hanno lasciato l'area della piana di Ninive adesso controllata da ISIS, i cui jihadisti sono saliti verso nord -dalla città di Mosul conquistata un mese fa- per iniziare a sterminare coloro che non erano musulmani sunniti abitanti nelle zone circostanti. AINA ha aggiunto che Qaraqosh, la più grande città cristiana della nazione, è ora completamante svuotata di assiri.
I turcomanni
La regione ospita anche molte comunità turcomanne. I turcomanni parlano turco ma non dai tempi dell'Impero Ottomano. La maggioranza dei turcomanni sono sciiti e di conseguenza un bersaglio per l'ISIS. La città turcomanna di Amerli, con una popolazione di 200.000 abitanti, da giugno è stata circondata da ISIS, ma eroicamente continua a tenerli fuori nonostante venga attaccata quotidianamente. Se ISIS conquista questa città, probabilmente giustizierà molte persone, se non tutti gli uomini, in quanto sono sciiti eterodossi kakai, considerati “idolatri”. Il cibo si sta esaurendo e la popolazione è alla disperata ricerca di qualcuno per aprire un corridoio di evacuazione. Nonostante affermi di sostenere i turcomanni, lo stato turco non ha fatto nulla per proteggere la comunità turcomanna contro ISIS. E' chiaro che il governo turco ha abbandonato i turcomanni in favore dei propri interessi economici. Rapporti dei media internazionali mostrano chiaramente che la Turchia sta sostenendo direttamente e indirettamente ISIS in Siria e Iraq. Il confine tra Turchia e Siria è diventato una via di attraversamento per i militanti di ISIS, e la Turchia ha fornito cure mediche e sostegno militare a ISIS per attaccare i curdi. Non sorprende che il Ministro degli esteri, in un'intervista data di recente, il 7 agosto 2014, ha dichiarato: “ISIS non è gruppo terroristico, anzi sono persone che sono arrivate insieme come movimento di reazione”.
Sciiti e alawiti
Nonostante il rischio che ISIS rappresenta per yezidi, turcomanni, cristiani e altre minoranze del Paese, il rischio per la maggioranza di musulmani sciiti in Iraq è molto più diffuso. Nel loro tentativo di creare un califfato islamico che si estende dalla Siria all'Iraq, ISIS ha preso di mira gli sciiti in entrambi i paesi. Nel mese di giugno, il gruppo ha affermato su Twitter di aver ucciso almeno 1.700 sciiti in quel mese. Come molte delle minoranze in nella provincia di Ninive, sciiti e alawiti sono stati etichettati come infedeli da ISIS. La maggior parte di Baghdad è prevalentemente sciita, ma grandi porzioni di territori occidentali e settentrionali dell'Iraq ospitano popolazioni di maggioranza sunnita. Shabak curdi Decine di shabak curdi dalla pianure di Ninive si sono uniti all'afflusso di rifugiati nella regione del Kurdistan. Uno shabak rifugiato ha detto che i militanti islamici hanno ucciso 20 membri della loro comunità negli ultimi giorni. La maggior parte di chi è stato salvato ora è stato collocato nelle città di Duhok e Zakho Kakai Diversi gruppi di minoranza sono a rischio estremo anche in questa zona. I kakai sono una setta eterodossa legati all'Islam sciita, probabilmente dal 14 ° secolo. ISIS li uccide ogni volta che li cattura. Sono sotto attacco nei pressi di Kirkuk e Tuz Khurmatu, che ora è circondata da forze di ISIS.

martedì 12 agosto 2014

Con gli yazidi

PAYSH KHABUR — Dire che hanno bisogno di tutto può sembrare una frase banale e forse anche esagerata per descrivere gruppi di profughi in fuga. In genere, anche i più disperati sparsi negli angoli oscuri della Terra posseggono qualche soldo, un gioiello, una collana di valore nascosti nelle scarpe, nella culla del figlio; oppure possono ricorrere a un parente, a un amico residente da qualche parte che a un certo punto potrà dare una mano. Ma è senz’altro pertinente nel caso degli yazidi. «I cristiani iracheni almeno hanno la solidarietà delle Chiese e la comunità internazionale che li aiuta. Noi siamo soli, non abbiamo nessuno», dicono stremati. Un fiume di naufraghi perseguitati dalle brigate del cosiddetto «Califfato», con tante storie individuali di orrore e paura.
Arrivano al ponte sul Tigri che segna il confine tra le regioni curde siriane e quelle irachene presso il villaggio di Faysh Khabur letteralmente senza niente. Non hanno nulla, né soldi, né vestiti di ricambio, né cibo, né medicinali. In molti casi persino le ciabatte e le magliette che indossano sono state donate dai guerriglieri del Ypk, i curdi siriani, che dal momento della loro discesa dalla montagna di Sinjar verso la Siria li hanno scortati per 250 chilometri sino al punto di rientro in Iraq. Da qui un servizio di minibus gratuito (non saprebbero come pagare) li porta ai campi di tende in allestimento dell’Onu e nei centri raccolta urbani sparsi tra le cittadine di Dahuk e Zakho. Hanno abbandonato i vecchi e gli infermi che non potevano camminare per una settimana a oltre 1.200 metri di quota senza alcun rifugio. Resti di umanità braccata, ossessionati dal fantasma dello sterminio. «E’ una replica contemporanea del genocidio in Bosnia, della pulizia etnica anni Novanta, riadattata in chiave mediorientale», denunciano all’ufficio Unicef di Dohuk. Le parole dei profughi sembrano confermare.
«La notte tra il tre e quattro agosto ho ricevuto due telefonate dai miei parenti residenti nella cittadina di Sinjar, una trentina di chilometri da Tel Azir, il mio villaggio. Mi hanno detto che dovevamo scappare subito. I pazzi criminali del Califfato stavano sequestrando le nostre donne e fucilando gli uomini in massa. Dovevamo salire sulla montagna dove loro non arrivano con i gipponi. In meno di due ore eravamo in marcia. Davanti a noi le brigate dei peshmerga (i militari dell’enclave curda irachena, ndr) erano già in rotta. Da lontano abbiamo sentito nel buio che gli islamici usavano i megafoni sui minareti delle moschee per imporre il loro ultimatum: se non ci fossimo convertiti, ci avrebbero ucciso», ricorda Kheri Dakhil, studente 24enne che è riuscito a condurre oltre venti famigliari verso la salvezza. Sua sorella minore, elenca i nomi delle amiche che non ce l’hanno fatta: «Sono state catturate subito. Gli islamici cercano le ragazze più giovani. Le separano dal marito e dai figli, se sono sposate. Così hanno preso Ghalia Barakat di 33 anni; Hadu Dakhilluwarde di 28 anni; Khalifa Sharaf di 32 e mia cugina 32enne Zere».
Mirza Kholo, 28 anni, è un pastore del villaggio di Khanassor. Appare consumato dalla fatica, con rughe profonde a segnare la fronte, le labbra rotte dalla disidratazione, i pantaloni della tuta infangati, la maglia bucata. «Non abbiamo bisogno di aiuto, non c’è più nulla da perdere», mormora rassegnato. Ha perso 250 tra pecore e capre, oltre la casa e i campi coltivati a grano. «Sulle montagne di Sinjar c’erano alcuni pozzi per l’acqua. Ma non bastavano alle migliaia di sfollati che si erano accampati tutto attorno. Era importante avere le proprie riserve e tenerle in disparte», dice. Sino all’ultimo si era tenuto l’asinello per il trasporto di tre giare d’acqua che hanno tenuto in vita lui e trenta famigliari. Ma poi ha dovuto abbandonare anche quello. A sua volta racconta degli omicidi di massa. Gli islamici riprendono le esecuzioni con i telefonini e le diffondono subito in Rete per moltiplicare l’effetto terrore. Vicino lui la nipote dodicenne menziona la zia e le cugine prese dagli islamici: Gole Halaravo, 70 anni; Hamsha 32 anni; Linda 28. Hussein Hissa, 28enne impiegato in una compagnia edile turca residente nel villaggio Gherezar, indica una decina di bambini feriti, alcuni gravemente con i volti gonfi e gli arti rotti, che si lamentano mostrando i bendaggi di fortuna. «Le loro famiglie scappavano su trattori e minibus, quando i guerriglieri hanno sparato con armi pesanti. I mezzi si sono rovesciati, ci sono stati almeno quattro morti. E per sei giorni i bambini si sono accodati alla nostra fuga senza alcuna assistenza medica. Solo pochi minuti fa sono stati bendati», dice. Un anziano ricorda di avere visto la fucilazione a sangue freddo di otto uomini davanti alle loro abitazioni, quindi il «rapimento di 14 ragazze di età compresa tra i 13 e 24 anni». All’ombra di folti cespugli verdi stanno accoccolate tre ragazze, due sono sorelle, Sahar Hassan di 15 anni e Wanza di 17, assieme all’amica Ghula Aio di 18. Hanno visto il rapimento di due sorelle loro amiche nella casa vicina nel villaggio di Sipaieshekh: la ventenne Halima Haji e la 17enne Adiba di 20. «Abbiamo sentito che gli uomini armati urlavano al padre che doveva convertirsi. Ma lui non voleva. Abbiamo visto che allora prendevano le nostre amiche. Le obbligavano a stare in un gruppo di altre donne prigioniere. Noi siamo scappate con i nostri famigliari. Si sono sentiti spari in lontananza. Poi siamo rimaste sette giorni a camminare per le montagne. Ci dicevano che gli americani gettavano dal cielo acqua e cibo. Ma c’erano troppi profughi. Quando arrivavamo noi tutto era stato già preso».
Lorenzo Cremonesi
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