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Un Nobel all'Europa del «metodo Monnet»
All'epopea dei militari è subentrata quella, altrettanto pericolosa, dei mercati della speculazione finanziaria, la quale sembra oggi rinverdire la paura e disseppellire tragiche passioni della memoria in una crisi senza speranza, che ha toccato soprattutto il Paese simbolo della civiltà europea e dell'origine della democrazia, cioè la Grecia. Sulla possibilità di un allontanamento della Grecia dall'Europa, val forse la pena di paragonare l'attuale Unione europea all'Olimpo degli dei greci. Cacciato Marte (Ares), il dio della guerra, l'Europa sembra invece oggi caduta nel dominio di Mercurio (Hermes), il dio del commercio, delle comunicazioni, «predone, ladro di buoi e ispiratore di sogni», come lo descrive l'Inno Omerico a Hermes.
Quest'ultima crisi costituisce la miglior prova che dal '45 in poi si sia presentata per la verifica del "metodo Monnet" sulla unificazione europea. Jean Monnet, uno dei padri fondatori, aveva proposto di procedere gradualmente con misure tecnocratiche di integrazione economica, sicuro che queste avrebbero portato all'unificazione politica, sia pur attraverso momenti di crisi, che egli considerava "grandi opportunità di unificazione". Possiamo oggi tranquillamente affermare che l'Europa e i Trattati nascono soprattutto dalla paura di crisi devastanti.
Dagli anni Quaranta agli anni Settanta del secolo scorso, la spinta all'integrazione fu dovuta soprattutto alla guerra fredda e alla necessità di contrastare la minaccia sovietica, richiamata continuamente dalla presenza dell'Armata Rossa nella Germania dell'est e nella Berlino divisa. La spinta successiva, è bene ricordarlo, fu quella che culminò nella caduta del muro di Berlino nell'89 e portò alla conseguente riunificazione delle due Germanie nel Novanta, con la spinta decisiva di Mitterrand verso il completamento della Comunità economica europea e del Mercato unico, che potesse annullare in una più unita Europa gli storici istinti tedeschi al dominio.
È così, poi, che tedeschi e francesi, come ha sottolineato Peter Sloterdijk, si sono di fatto sempre più allontanati gli uni dagli altri, da un punto di vista culturale, psicologico, e politico, mentre la loro coesistenza e la loro amicizia hanno trovato conferme a livello delle relazioni ufficiali. Non pare a me, infatti, un caso, che pur dopo il Trattato di Roma, l'8 giugno 1962, i due grandi uomini di Stato, Charles de Gaulle e Konrad Adenauer assistettero insieme nella Cattedrale di Reims alla Messa di riconciliazione che anticipò il Trattato di amicizia franco - tedesco. Il cinquantenario del 2012 ha visto l'incontro tra il Presidente Hollande e la Cancelliera Merkel, che contrariamente a quanto avevo auspicato su queste colonne, è caduto nell'indifferenza generale e in una cerimonia di assoluta vacuità, certamente indegna di un Giubileo.
L'attuale crisi - che sta rendendo la Germania, sia pur timorosa che la caduta dell'euro metta a repentaglio la sua intera economia, e che poi ancora una volta essa venga accusata di distruggere l'Europa - viene tuttavia aggravata dallo stesso predominio tedesco sulle decisioni europee. Come ha ampiamente documentato in un articolo del 6 ottobre l'Economist, la Bundesbank, contrastando gli sforzi della Bce, sembra pronta ad accettare qualche soluzione di maggior controllo europeo sui sistemi bancari e interventi in aiuto dei debiti pubblici degli Stati più travolti dalla crisi, alla condizione che le regole vengano dettate in Europa dalle autorità tedesche. Così come vogliono anche il Parlamento e la Corte Costituzionale. Il tutto in aperto contrasto con il desiderio di Thomas Mann, che auspicava: «non un'Europa tedesca, ma una Germania europea».
La memoria e la paura aumentano la crisi. Ne è un'angosciante prova il falò di bandiere naziste ad Atene durante la visita della Cancelliera Merkel, nonché la sfilata di lavoratori in uniforme nazista. La stolta politica di austerity, oltre a costituire una catastrofe per l'intera Europa, ivi compresa nel medio-lungo periodo la stessa Germania, ha aggravato la depressione e ha allontanato soprattutto le giovani generazioni non solo dall'ideale europeo, ma dalla stessa politica, come dimostrano gli Indignados spagnoli, e purtroppo le stesse manifestazioni studentesche italiane di fronte ai tagli all'istruzione. Il ritorno della paura, il lento disgregarsi delle democrazie, inducono a riprendere l'opinione di Jean Monnet, che solo le crisi sono dei grandi strumenti di unificazione. In questo senso va accolto il messaggio straordinario all'Europa dato dal Comitato dei Nobel, che può costituire uno spunto di mobilitazione nelle élite culturali e politiche e nei popoli dell'Unione Europea, sicché l'unificazione, sempre più alimentata da concrete speranze, porti a riconsiderare centrale, come qualche segnale lo fa pensare, la lotta alla speculazione finanziaria e l'abbandono del credo esclusivo ed insensato alle sole politiche di austerity. Che la speranza europea provenga da Paesi del Nord, certamente non bisognosi della solidarietà europea è un grande stimolo e un auspicio di singolare ottimismo, in un periodo nel quale solo le parole e non i fatti paiono essere di segno positivo. In questa delicata fase della politica italiana e in attesa di vicine democratiche elezioni è un programma e una mobilitazione che i partiti politici non possono ignorare.