lunedì 27 dicembre 2021

Diario della pandemia. Natale'21 .Segue Giorgio Agamben, Intervento al convegno degli studenti veneziani l’11 novembre 2021 a Ca’ Sagredo - .

 

"Essi (gli esseri umani) muoiono in serie sulle strade, ad ogni epidemia d'influenza, ad ogni ondata di caldo, ad ogni errore di coloro che falsificano i loro alimenti, ad ogni innovazione tecnica che profitta ai vari imprenditori di un paesaggio urbano di cui sono i primi a fare le spese. Le loro provate condizioni di esistenza determinano la loro degenerazione fisica, intellettuale, mentale. Si parla loro sempre come a dei bambini obbedienti, a cui basta dire: “bisogna", perché siano disposti a crederlo. Ma soprattutto li si tratta come dei bambini stupidi, di fronte ai quali balbettano e delirano decine di specializzazioni paternaliste, improvvisate il giorno prima, che possono far lor ammettere qualsiasi cosa in qualunque modo gliela dicano; e così pure il contrario l'indomani. "

  Guy Debord, Panégyrique, tome premier, Gallimard, 1993 (prima ed.1989), p.25.

A quasi due anni di distanza dalla dichiarazione dello stato di emergenza causata della pandemia, e ormai in prossimità del terzo, le domande poste agli inizi dalla parte d’umanità in cui insorsero dubbi su origini, trattamento e uso ecc. del fenomeno ,si continuano a riproporre .
In quel tragico frangente, nel panico iniziale per i molti decessi, e nell’insufficienza degli apparati sanitari, vennero poste varie misure che in si dovevano ritenere necessarie, ma anche altre che apparvero immediatamente come segnale di un soprassalto degli organi di potere governativo in sospensione di libertà umane naturali, primarie. E' necessità data dai fatti, che sempre, di fronte a calamità, gli organi del potere debbano imporre norme più stringenti, malinconico segno dell'impossibilità di certo progresso, e chiara dimostrazione di sfiducia nelle capacità di autogestione da parte popolare?
Come esempio, la proibizione con sanzioni di movimenti anche strettamente individuali, in spazi solitari o in proprietà private, apparve quell’eccesso dell’ordine e della cautela che indiscutibilmente si rilevava come inquietante, rispetto alla democrazia e alla legge, come ipotizzarono fin dai primi momenti alcuni soggetti,
Dopo la primavera del ’20,con l’inizio dell’estate, ci si augurava che, come nei cicli normali stagionali, il contagio si andasse spegnendo. Bastò un mese o poco più, trascorso luglio , per revocare la speranza, già a metà agosto l’allarme tornava, rimanendo larvato durante la fine estate-inizio autunno, per poi riesplodere completamente da metà ottobre fino al maggio successivo. L’umanità veniva ricondotta a norme di clausura e controllo solo molto parzialmente ridotte rispetto alla prima fase della pandemia.
Con la fine inverno- primavera del’21 , nuovo ottimismo veniva infuso dalla disponibilità e somministrazione dei vaccini.
Si manifestava come conseguenza anche la dissidenza no vax, espressa da coloro che avevano fin dall’inizio negato la necessità dell’allarme rosso o percepito il progetto di un complotto di poteri dominanti, economici e sottintesi politici, ai fini di un controllo ancor più incrementato degli esseri umani e delle società, per disporne più arbitrariamente. .
L’estate è trascorsa con un senso di maggiore serenità, nella speranza che l’incremento delle vaccinazioni contrastasse in forma robusta la circolazione del contagio.
Il documento vaccinale, pur contestato da certa opinione, poteva essere anche visto come un passo importante verso una nuova normalizzazione, più sotto controllo da vari punti di vista, di segno positivo o negativo. 
Questa condizione di relativo ritorno alla normalità, rispetto al’20, si è protratta nel tempo dell’autunno di appena un mese o poco più rispetto al precedente (metà ottobre’20,metà novembre ’21), ed è poi tornato l’allarme ,dalle vaccinate Austria e Germania e non vaccinati Paesi dell’est, al Regno Unito.
Sembrava resistesse, nei maggiormente vaccinati Paesi sud-occidentali d’Europa, il baluardo del green pass, nel frattempo sostenuto dalla 3°dose per gli anziani
E’ stata dal Portogallo, questa volta, ad essere partita la pressione restrittiva, a fine novembre con l’obbligo del test in entrata anche per provenienti da Paesi dell’Ue, sia pur muniti di supergreenpass.
L’eccezione lusitana pareva isolata rispetto alle regole UE, finché anche il governo italiano, a metà dicembre introduceva le medesime misure, seguito da quello greco.
Rispetto alla fine anno’20 i governi hanno limato le restrizioni interne , varie delle quali sono superabili se muniti del green pass. Almeno fino ad oggi (27 dicembre)
Ma se fino a una decina di giorni fa, prendendo l’esempio italiano, il green pass funzionava da garanzia di riassicurate libertà più importanti, esso oggi ha perso di consistenza, quando la norma stabilisce che italiani in viaggio all’estero non possano rientrare in Patria, alla propria abitazione!! sia pur dotati di green pass,se non assicurati da un test negativo prodotto nello stato di partenza, anche se non presentassero sintomi, né disturbi, semplicemente perché positivi al tampone.
Questo cambiare repentinamente le regole in corso, senza mediazioni, rileva l’arbitrarietà di cui possono oggi disporre i governi nello stato di eccezione, che rischia di diventare la nuova regola permanente. Fino a privare cittadini del diritto al rientro in Patria, nelle proprie abitazioni, anche se palesemente in buona salute.
Pongo l’accento su questo fatto perché, così come la proibizione di accedere a proprietà private durante la fase del’20, oggi rimossa, ora questa imposizione appare gravemente lesiva delle libertà personali e universali di movimento. Un conto è chi si trovi in condizioni visibili di malattia e abbia diritto a cure sul posto; altro chi in stato di sanità, semplicemente reso incerto documentalmente da un test, si trovi il dovere di venir recluso per almeno una settimana, in terra straniera e con spese a carico.
Mi sembra questo un paradossale rovesciamento: che di fronte alla malattia, al diritto alla salute venga sovrapposto il dovere  .
E consideriamo anche questo aspetto. Che ciò avviene con più pesante misura oltreché in Austria e Svizzera e altri Paesi più rinserrati ,in Portogallo, Italia, Grecia, Paesi che dimostrano di aver dimenticato governi dittatoriali più o meno recenti. Perché Spagna, Francia e la stessa Germania, dov'è evidentemente più sentita democrazia, maggior importanza della popolazione, al momento ancora sostengono nel senso indicato la validità del green pass. (es. “Chiunque entri in Germania indipendentemente dal Paese di provenienza e dal mezzo di trasporto utilizzato, deve disporre, prima dell'ingresso o dell'imbarco, di una documentazione che dimostri di essere vaccinato, guarito o di esser risultato negativo ad un tampone antigenico o molecolare ”). La Germania ha introdotto dal 2 dicembre, quando i nuovi casi giornalieri erano oltre 74 mila, un lockdown per i non vaccinati, procedendo in modo diretto verso questa soluzione e traendone al momento beneficio in termini di recessione dei numeri dei contagiati. E ancora, 30 dicembre: Per chi entra in Germania da una zona ad alto rischio, se non completamente vaccinato o guarito è necessario osservare un periodo di quarantena a proprie spese per almeno dieci giorni dopo l'ingresso."
E'questo"o"trasformato in "e" dai governi portoghese,italiano,greco ecc. il "se non" annullato, a darci la misura della maggiore costrizione, in contraddizione con le stesse campagne promozionali delle vaccinazioni. L' ottativo, l"o"pzione viene soppressa e sostituita con una aggiunta di obblighi.
Pare machiavellico che questi governi mediterranei motivino la loro decisione sulla scorta di questa logica per altro indiscutibile : il vaccinato , più dosi ha preso, meno rischia; ma : può essere portatore asintomatico e contagiare ,magari in modo grave i non vaccinati benché muniti di test negativo (perché costoro ne hanno comunque l'obbligo, non disponendo di green pass).
Così questi governi decidono di non limitare del tutto la libertà di movimento di chi non voglia vaccinarsi, piuttosto che assicurarla meglio a chi ha preso il vaccino!
Così, dopo tanto aver denigrato i no vax, per la salvaguardia della loro salute l’Istituzione sottopone a maggior sacrificio i vaccinati. I saggi e obbedienti debbono sacrificarsi a pro dei renitenti.!! Nella logica tipica del "divide et impera", questi governi dimostrano di temere la la dissidenza no vax.
Un modo assai ambiguo di promuovere la vaccinazione, com’è stato fatto notare da molti e dalla stessa UE.
Per decine e decine d'anni persone influenzate o con raffreddore hanno socializzato, viaggiato e certo contagiato. E l'attuale fase parrebbe non essere più quella terrifica della fine inverno'20,o degli inizi '21.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità nove pazienti su dieci hanno disturbi comuni alle normali influenze stagionali , sintomi per lo più lievi, riconducibili al decorso delle normali influenze. Una conferma arriva dal progetto inglese «Zoe Covid», che rileva queste condizioni non più gravi. Ma intanto, il fenomeno del momento è il caos dei tamponi, imposti in quantità tale da non essere più gestibili dagli enti preposti, obbligando gli sfortunati incorsi in semplice sospetto di relazione con il contagio a code di lunga durata anche all'aperto , e immaginiamo, con temperature basse, quanto questo giovi alla salute!
Significa allora che in futuro, ad ogni inverno, all’arrivo dell’influenza stagionale, di qualsiasi ceppo sia, saremo costretti a questa campagna allarmistica, terroristica e a tutte le limitazioni ora imposte? O non sarebbe più sensato adottare misure di riguardo e protezione stabili, quali sono da secoli invalse, o magari recentemente introdotte, come la maschera, i l distanziamento, secondo il comune buon senso?
Vogliamo stare più assicurati di salute (….?) , ma costretti a forme di clausura e impedimento ,o vogliamo provare che vaccinati si possono evitare forme gravi e trascorrere caso mai lo stato di una semplice influenza di pochi giorni di disturbo, come sta avvenendo ora alla maggior parte dei contagiati ? Credo che si dovrebbe essere un po' più liberi di scegliere. E 'invece questa indotta carenza di libertà che suscita l'idea di una dittatura sanitaria del CTS all'interno dei governi. Che invece dovrebbero essere sospinti a rinforzare possentemente le strutture sanitarie! Prendendo le risorse monetarie laddove eccedono, visibilmente nei redditi dichiarati o non.
Nazionalismo, protezionismo, sfiorando la xenofobia, la comunità di regole UE disdetta: questa la politica di Stati che si dimostrano deboli facendo i forti con i propri cittadini: Portogallo, Italia, Grecia, ecc.. Ci si domanda, che senso aveva (ed avrebbe ora) quando i governi italiani si univano (e si uniscono) alla critica comune rispetto alle scelte nazionaliste di Polonia e Ungheria anti migranti? Forse che , ragionando secondo i termini di chi vieta dicendo di farlo per necessità di causa, questi Paesi a loro volta deboli, con strutture inadeguate all’accoglienza, non presentano problemi simili a quelli che Portogallo, Italia e Grecia denotano oggi nel campo della Sanità, delle strutture ospedaliere interne? E che quindi operano per difendere i propri spazi e cittadini, come sostiene ora il governo italiano, insieme a quello portoghese, greco , svizzero ?
In relazione all'entrata dall'estero, anche Ue, in un Paese, la validità del greenpass, sostenuta ancora da Spagna, Francia, Germania ecc. è stata di fatto minimizzata da queste misure introdotte in vari Stati europei. L'Ue ha stigmatizzato queste disposizioni, perché sminuiscono il potere del documento e limitano per i l secondo anno consecutivo molte libertà. La perplessità rimane questa: se per non far circolare il virus non si debba permettere più agli uomini di circolare con una cosciente libertà.
Non si vogliono minimizzare i problemi. Non discutere la criticità. Ma se lo si fa, lo sia da un lato, come dall’altro. Ciò che si critica è l’eccesso, fra l’altro la dispoticità nel cambio di regole che soprattutto il ministero della salute e il governo italiano han dimostrato in questa fase. Propinare un’affermazione e di colpo negarla, mantenendo la medesima “allure” di autorità, di chi sa cosa si debba fare oggi (perché ieri affermava che si doveva fare diversamente, e non sa cosa affermerà domani).Senza cercare soluzioni più moderate, sfumate, intermedie, mediazioni; possibilità che permettano scelte meno limitate da parte dei cittadini, quelle che siano certamente coscienti e di cui questo governi dimostrano di non avere fiducia, palesando il senso di distacco delle caste politiche rispetto alla popolazione. Ci sarà certo chi in perfetto stile italiano alla Totò, può fingere di vaccinarsi con il braccio al silicone o l'ovatta interposta all'iniezione, chi falsificherà qualche documento. Ma continuando a fare di quest'erba un intero fascio, si offende la coscienza civica della maggioranza, in grado di adottare misure personali adeguate.
.Parte delle analisi scientifico-mediche e di quelle politico-economiche mantengono previsioni cupe, cupa è la sostanza di cui son fatte. La loro lingua l'imprigiona e imprigiona l'umanità, perché chi è prigioniero vuole prigionieri gli altri. Sta a noi, come natura nella natura, e come ciò che è bontà nell'essere umano, riaffermare la vita nel tempo che viene...un'altra lingua umana.
E’ di questi temi che il pensiero di Agamben ha trattato fin dal marzo del’20 e l’intervento recente presso gli studenti veneziani prosegue su questa strada. In quanto al greenpass, personalmente ne auspico la validità totale liberatoria, che era la premessa iniziale dell'operazione, su cui ora i governi citati hanno fatto un passo indietro, ma in funzione illibertaria.

 

 

Intervento al convegno degli studenti veneziani  l’11 novembre 2021 a Ca’ Sagredo 

Vorrei riprendere, per cominciare, alcuni punti che avevo provato a fissare qualche giorno fa per cercare di definire la trasformazione surrettizia, ma non per questo meno radicale, che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Credo che dobbiamo innanzitutto renderci conto che l’ordine giuridico e politico in cui credevamo di vivere è completamente mutato. L’operatore di questa trasformazione è stato, com’è evidente, quella zona di indifferenza fra il diritto e la politica che è lo stato di emergenza. 
Quasi vent’anni fa, in un libro che cercava di fornire una teoria dello stato di eccezione, avevo costatato che lo stato di eccezione stava diventando il sistema normale di governo. Come sapete, lo stato di eccezione è uno spazio di sospensione della legge, quindi uno spazio anomico, che si pretende però incluso nell’ordinamento giuridico. 
Ma guardiamo meglio che cosa avviene nello stato di eccezione. Dal punto di vista tecnico, si ha una separazione della forza-di-legge dalla legge in senso formale. Lo stato di eccezione definisce, cioè, uno “stato della legge” in cui da una parte la legge teoricamente vige, ma non ha forza, non si applica, è sospesa e dall’altra provvedimenti e misure che non hanno valore di legge ne acquistano la forza. Si potrebbe dire che, al limite, la posta in gioco nello stato di eccezione è una forza-di-legge fluttuante senza la legge. Comunque si definisca questa situazione – sia che si considera lo stato di eccezione come interno o che lo si qualifichi invece come esterno all’ordine giuridico – in ogni caso essa si traduce in una sorta di eclissi della legge, in cui, come in un’eclissi astronomica, essa permane, ma non emana più la sua luce. 
La prima conseguenza è il venir meno di quel principio fondamentale che è la certezza del diritto. Se lo Stato, invece di dare disciplina normativa ad un fenomeno, interviene grazie all’emergenza, sul quel fenomeno ogni 15 giorni o ogni mese, quel fenomeno non risponde più ad un principio di legalità, poiché il principio di legalità consiste nel fatto che lo Stato dà la legge e i cittadini confidano su quella legge e sulla sua stabilità. 
Questa cancellazione della certezza del diritto è il primo fatto che vorrei sottoporre alla vostra attenzione, perché esso implica una mutazione radicale non solo del nostro rapporto con l’ordine giuridico, ma nel nostro stesso modo di vivere, perché si tratta di vivere in uno stato di illegalità normalizzata. 
Al paradigma della legge si sostituisce quello di clausole e formule vaghe, come “stato di necessità”, “sicurezza”, “ordine pubblico”, che essendo in sé indeterminate hanno bisogno che qualcuno intervenga a determinarle. Noi non abbiamo più a che fare con una legge o con una costituzione, ma con una forza-di-legge fluttuante che può essere assunta, come vediamo oggi, da commissioni e individui, medici o esperti del tutto estranei all’ordinamento.

Credo che ci si trovi davanti a una forma di cosiddetto stato duale – attraverso il quale Ernst Fraenkel, in un libro del 1941 che bisognerebbe rileggere, ha cercato di spiegare lo stato nazista – che è tecnicamente uno stato in cui lo stato di eccezione non è stato mai revocato. Lo stato duale è uno stato in cui allo stato normativo (Normenstaat) si affianca uno stato discrezionale (Massnahmestaat, uno stato delle misure) e il governo degli uomini e delle cose è opera della loro ambigua collaborazione. Una frase di Fraenkel è significativa in questa prospettiva: «Per la sua salvezza il capitalismo tedesco necessitava non di uno stato unitario ma di un doppio Stato, arbitrario nella dimensione politica e razionale in quella economica». 
È nella discendenza di questo stato duale che si deve situare un fenomeno la cui importanza non potrebbe essere sottovalutata e che riguarda il mutamento della figura stessa dello Stato che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Intendo riferirmi a quello che i politologi americani chiamano The administrative State, lo Stato amministrativo e che ha trovato nel libro recente di Sunstein e Vermeule la sua teorizzazione (C. Sunstein e A. Vermeule, Law and Leviathan, Redeeming the Administrative State). Si tratta di un modello di Stato in cui la governance, l’esercizio del governo, eccede la tradizionale ripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) e agenzie non previste nella costituzione esercitano in nome dell’amministrazione e in modo discrezionale funzioni e poteri che spettavano ai tre soggetti costituzionalmente competenti. Si tratta di un sorta di Leviatano puramente amministrativo, che è supposto agire nell’interesse della collettività, anche trasgredendo il dettato della legge e della costituzione, allo scopo di assicurare e guidare non la libera scelta dei cittadini, ma quella che Sunstein chiama la navigabilità – cioè in realtà la governabilità – delle loro scelte. È quanto oggi sta avvenendo in maniera fin troppo evidente, quando vediamo che il potere decisionale viene esercitato da commissioni e soggetti (i medici, gli economisti e gli esperti) del tutto esterni ai poteri costituzionali. 
Attraverso queste procedure fattuali la costituzione viene alterata in modo ben più sostanziale di quanto avvenga attraverso il potere di revisione previsto dai costituenti, fino a diventare, come diceva un discepolo di Marx, un Papier Stück, soltanto un pezzo di carta. Ed è certo significativo che queste trasformazioni si modellino sulla struttura duale della governance nazista e che sia forse il concetto stesso di “governo”, di una politica come “cibernetica” o arte del governo che occorra mettere in questione.

È stato detto che lo stato moderno vive di presupposti che non può garantire. È possibile che la situazione che ho cercato di descrivervi sia la forma in cui questa assenza di garanzie ha raggiunto la sua massa critica e che lo stato moderno, rinunciando com’è oggi evidente a garantire i suoi presupposti, sia giunto alla fine della sua storia ed è questa fine che stiamo forse vivendo. 
Credo che ogni discussione su che cosa possiamo o dobbiamo fare debba oggi partire dalla costatazione che la civiltà in cui viviamo è ormai crollata – o, meglio, visto che si tratta di una società basata sulla finanza – ha fatto bancarotta. Che la nostra cultura fosse sulla soglia di una generale bancarotta era ormai evidente da decenni e le menti più lucide del Novecento lo avevano diagnosticato senza riserve. Non posso non ricordare con quanta forza e con quanto sgomento Pasolini e Elsa Morante, in quegli anni Sessanta che ora ci sembrano tanto migliori del presente, denunciavano l’inumanità e la barbarie che vedevano crescere intorno a loro. A noi tocca oggi l’esperienza – non certo piacevole, ma forse più vera delle precedenti – di esser non più sulla soglia, ma dentro questa bancarotta intellettuale, etica, religiosa, giuridica, politica e economica, nella forma estrema che essa è andata assumendo: lo stato di eccezione invece della legge, l’informazione invece della verità, la salute invece della salvezza e la medicina invece della religione, la tecnica invece della politica.

Che cosa fare in una simile situazione? Sul piano individuale, certo, continuare nella misura del possibile a far bene quel che si cercava di fare bene, anche se non sembra esserci più alcun motivo per farlo, anzi proprio per questo continuare. Non credo però che questo basti. Hannah Arendt, in una riflessione che non possiamo non sentire vicina, perché s’intitolava On humanity in dark times, si chiedeva «in che misura restiamo obbligati rispetto al mondo e alla sfera pubblica anche quando ne siamo stati espulsi (era quello che era accaduto agli ebrei nel suo tempo) o abbiamo dovuto ritirarci da essi (come chi aveva scelto quella che con un’espressione paradossale si chiamava nella Germania nazista “emigrazione interna”)». 
Credo che sia importante oggi non dimenticare che se ci veniamo a trovare in una condizione simile è perché siamo stati costretti, e che quindi si tratta di una scelta che resta in ogni caso politica, anche se sembra collocarsi fuori dal mondo. Arendt indicava l’amicizia come il possibile fondamento per una politica in tempi oscuri. Credo che l’indicazione sia giusta, a patto di ricordare che l’amicizia – cioè il fatto di sentire una alterità nella nostra stessa esperienza di esistere – sia una sorta di minimum politico, una soglia che insieme unisce e divide l’individuo dalla comunità. Cioè a patto di ricordare che si tratta di nulla di meno che di provare a costituire ovunque una società o una comunità nella società. Cioè, di fronte alla depoliticizzazione crescente degli individui, ritrovare nell’amicizia il principio radicale di una rinnovata politicizzazione. 
Mi sembra che voi studenti avete cominciato a farlo, creando la vostra associazione. Ma dovete estenderlo sempre più, perché da questo dipenderà la stessa possibilità di vivere in modo umano.

Vorrei, per concludere, rivolgermi agli studenti che sono qui presenti e che mi hanno invitato oggi a parlare. Vorrei ricordarvi qualcosa che dovrebbe essere alla base di ogni studio universitario e di cui invece nell’università non si fa parola. Prima di abitare in un paese e in uno stato, gli uomini hanno la loro dimora vitale in una lingua e credo che solo se saremo capaci di indagare e di comprendere come questa dimora vitale sia stata manipolata e trasformata potremo capire come siano potute avvenire le trasformazioni politiche e giuridiche che abbiamo davanti ai nostri occhi. 
L’ipotesi che intendo suggerirvi è, cioè, che la trasformazione del rapporto con la lingua è la condizione di tutte le altre trasformazioni della società. E se non ce ne rendiamo conto è perché la lingua per definizione resta nascosta in ciò che nomina e ci dà a comprendere. Come ha detto una volta uno psicoanalista che era anche un po’ filosofo: «che si dica resta dimenticato in ciò che s’intende di ciò che si dice». 
Noi siamo abituati a guardare alla modernità come a quel processo storico che comincia con la rivoluzione industriale in Inghilterra e con la rivoluzione politica in Francia, ma non ci chiediamo quale rivoluzione nel rapporto degli uomini con la lingua ha reso possibile questa che Polanyi chiamava la Grande Trasformazione. 
È certamente significativo che le rivoluzioni da cui è nata la modernità siano state accompagnate se non precedute da una problematizzazione della ragione, cioè di ciò che definisce l’uomo come animale parlante. Ratio viene da reor, che significa «contare, calcolare, ma anche parlare nel senso di rationem reddere, dar conto». Il sogno della ragione, divenuta una dea, coincide con una «razionalizzazione» della lingua e dell’esperienza del linguaggio che permetta di dar conto e di governare integralmente la natura e, insieme, la vita degli esseri umani. 
E che cos’è quella che oggi chiamiamo scienza, se non una pratica del linguaggio che tende a eliminare nel parlante ogni esperienza etica, poetica e filosofica della parola per trasformare la lingua in uno strumento neutrale per scambiare informazioni? Se la scienza non potrà mai rispondere al nostro bisogno di felicità, è perché essa presuppone in ultima analisi non un essere parlante, ma un corpo biologico come tale muto. E come dev’essersi trasformato il rapporto del parlante con la sua lingua, perché possa venir meno, come oggi sta avvenendo, la stessa possibilità di distinguere la verità dalla menzogna? Se oggi medici, giuristi, scienziati accettano un discorso che rinuncia a porsi domande sulla verità, ciò è forse perché – quando non sono stati pagati per farlo – nella loro lingua non potevano più pensare – cioè tenere in sospeso (pensare viene da pendere) – ma soltanto calcolare. 
In quel capolavoro dell’etica del Novecento che è il libro di Hannah Arendt su Eichmann, Arendt osserva che Eichmann era un uomo perfettamente raziocinante, ma che era incapace di pensare, cioè di interrompere il flusso del discorso che dominava la sua mente e che non poteva mettere in questione, ma solo eseguire come un ordine. 
Il primo compito che ci sta di fronte è allora quello di ritrovare un rapporto sorgivo e quasi dialettale, cioè poetico e pensante con la nostra lingua. Solo in questo modo potremo uscire dal vicolo cieco che l’umanità sembra aver imboccato e che la porterà verisimilmente all’estinzione – se non fisica, almeno etica e politica. Ritrovare il pensiero come un dialetto impossibile da formalizzare e da formattare.

 

 

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