sabato 5 dicembre 2020

Covid, delirio dalla democrazia

 

A lato della giusta preoccupazione per la gravità del fenomeno della pandemia,oggettivamente, per lo meno, quanto si prospetta come secondo tempo, dopo l’emergenza di fine inverno, non può non essere visto se non come totalitarismo del Sistema rispetto alla vita degli individui, della società.

Ripeto:per lo meno oggettivamente, tralasciando ipotesi ben più allarmanti di volontà e imposizioni di lobbies, enti ecc.( Cui prodest?Una delle più attendibili: che a trarre giovamento da un impoverimento delle masse di popolazione, con venir meno di movimenti e consumi, siano le caste più abbienti, che si troverebbero un ecosistema meno inquinato e meno affollato in cui continuare o megliorare la "bella vita" consumista. Ecco: caste di potere ecologiste, naturalmente non in proprio, ma per opera forzata delle popolazioni,alle quali verrebbe impossibilitato ,per es.,intraprendere viaggi,vacanze, acquistare seconde case ecc. , lasciando così questi ambiti liberi per i ricconi)

Lo Stato di eccezione eretto nel momento di fine inverno rispondeva ad una necessità di emergenza di primo impatto. Il lockdown assoluto,il confinamento per mesi in uno spazio territoriale ridotto per i meno abbienti a pochi metri quadri,ecc veniva posto come provvedimento momentaneo e fin dall’inizio venivano comunque pubblicizzati interrogativi relativi alla tenuta psicologica delle persone, a quella dell’economia ecc.

La seconda attuale distretta autunnale presenta elementi  più inquietanti: il lockdown cosiddetto più soft si misurerà , ancor più di quello invernale-primaverile,  nei  termini della sua cessazione, perché al momento le prospettive di chi  decide e orienta appaiono ancor più vaghe.

La curva scenderà per questi effetti? E a gennaio quali saranno i provvedimenti rinnovati,  di quale portata? I vaccini saranno veramente decisivi? Interrogativi che oggi non si avvertono nella pubblicità , per cui non vengono date ipotesi. E’inquietante questo senso di assuefazione-rassegnazione.

Le disposizioni passano sopra ad ogni contesto affettivo-famigliare o sociale,  spirituale-religioso o materialista- edonistico. Il come passare il Natale, come godere del tempo libero(per chi lavora nella maggior parte  dell’anno) diventano dettato dei vari  governi e ministeri . Il decidere in quale spazio muoversi, compresso da mille regole dissuasive quando non direttamente impedienti .

E’necessario fin da subito dire che se (ahimè,il condizionale è d’obbligo)si uscirà da questa distretta ,l’umanità dovrà darsi da fare per recuperare in termini di democrazia e libertà  quanto perduto in questo 2020 e inizio(?) ‘21.

Libertà, democrazia, non sono termini altisonanti ed enfatici ( anche se lo possono  diventare, per altro, se assunti da comportamenti irresponsabili) ma concernono una concretezza, una realtà d’esistenza. Implicano forte responsabilità personale, senza la quale sono termini contraddittori, per cui un libertà incosciente significa vincolo e oppressione, per se stessi o altri.Se in futuro una parte d'umanità  amerà  o si sentirà più sicura con le attuali regole, sia libera di farlo, per se stessa , ma non vincoli chi riprenderà, e certamente dovrà farlo con maggior senso di responsabilità, le libertà personali di movimento, scelte ecc.

Le riflessioni che seguono approfondiscono o portano ad approfondire aspetti dell'analisi da me abbozzata.Delirio-Covid, l’urlo di Agamben

8 settembre 2020

 Il "civismo superlativo"

Scene di “bioterrorismo” alle quali ci siamo tristemente abituati nelle ultime settimane, innescate stavolta non da oscure falangi fondamentaliste e da improbabili predatori del mondo, ma dai governi e dalle loro terribili (inaggirabili?) ingiunzioni sulle popolazioni. Il confusionarismo dei medici, l’incapacità gestionale dei leader, il collasso della parola pubblica, la paranoia che diventa merce nelle fauci di una casta di giornalisti senza scrupoli, mentitori e insabbiatori professionisti, sono l’indegno corollario di un problema sanitario diventato monstre, senza riparo, a tempo indeterminato, ben decostruito in una raccolta di testi scritti e interviste concesse proprio nel periodo della “pandemia” dal grande filosofo Giorgio Agamben, dal titolo A che punto siamo? (Quodilibet, pagg. 106, euro 10).

Abbiamo abdicato alle nostre relazioni, ci dice l’autore, in nome di un rischio che esulcera le incertezze, aumenta le celebrazioni e i dispositivi protettivo-repressivi sull’ordinario: muta il nostro linguaggio, facendoci familiarizzare con la prossimità in termini di “assembramento”, con la cittadinanza e la reliance in termini di “distanziamento”, sostituendo la “nuda vita” agli orizzonti di senso e aggregazione del vivere comune e, sull’onda delle tesi di Zylberman, producendo una sorta di “civismo superlativo in cui gli obblighi imposti vengono presentati come prove di altruismo e il cittadino non ha più un diritto alla salute ma diventa giuridicamente obbligato alla salute”.

 

 

Biosicurezza e biopolitica

La Biosicurezza è ormai Biopolitica diffusa e centralizzata di uno Stato che intende, all’improvviso, spazzare qualsiasi nocività ambientale e combattere infezioni e mortalità con la spada, le multe, l’isolazionismo e le manie persecutorie del singolo inerme; diventa una Tanatopolitica, una governance orchestrata dello spavento, del pericolo imminente e dell’ibernazione collettiva. Ecco allora il tanto bistrattato “stato di eccezione” su cui ingiustamente un maestro come Agamben è stato attaccato e ridicolizzato da tanti intellettualoidi à la page: un Security State, igienista e ultrarazionalista, ci condanna a una nebbiosa fragilità e a un’adesione fideistica a certi diktat di cui Hitler, come sottolinea il controverso saggista, sullo sfondo della Storia, sapeva e praticava già molto.

La questione, dunque, si pone al centro di una cruciale biforcazione. Il Covid secondo Agamben reinaugura la Krisis ippocratica: la degenza e la sofferenza come una sorta di certamen che il medico ingaggia col corpo dolente, senza alcuna prospettiva di guarigione assicurata. Così come il Capitalismo, diversamente dalle teofanie, disfa e distrugge in una proficua e mai paga incorporazione del Male e del negativo. Da qui l’idea di un Potere che, nel rinvio e nella procrastinazione della palingenesi e della rinascita, organizza in maniera tassativa, integrale, tetragona condotte ed esercizi di libertà, legando a questo immane traino la possibilità di un eschaton che chissà mai se avverrà. Potere ancor più crudo, perciò, perché nella dilazione lascia intravedere senza conferire una nuova patente di bontà alle cose e agli animi, ma suppliziandoli con una penitenza infinita del fare e del pensare solo e soltanto in una certa direzione.

 

 

Se poi questo piano dell’ulteriorità non fosse solo un’ombra che intanto si conficca nei nostri piani di vita costringendoci ad essere cittadini proni e impauriti, sotto la sferza di una sorveglianza inaudita, ma diventasse autocoscienza profonda e comprensione di come epidemie e rischi ambientali siano il cuore marcio di un neoliberismo che ha seminato solo distruzione, deserto, veleno e parassitismo per colpa di un industrialismo furibondo, beh allora ci troveremmo di fronte a una rupturecritico-epistemologica non debilitante ma vigorosa e rigenerante, che è la prospettiva di riflessione di altri due testi: Nel contagio di Paolo Giordano(Einaudi, pagg. 63, euro 10) e La crudele pedagogia del virus di Boaventura de Sousa Santos(Castelvecchi, pagg. 44, euro 6.50).

 

Il tempo delle cospirazioni oggettive

Se per Giordano è chiaro che “l’epidemia c’incoraggia a pensarci come appartenenti a una collettività”, poiché siamo una comunità, “un organismo unico” e dobbiamo creare un contesto significativo intorno a quanto successo da febbraio, in termini di lotta alla deforestazione, alla invasività antropica sugli habitat e le varietà faunistiche, e agli allevamenti intensivi, il sociologo portoghese è ancora più chiaro: “il tempo politico e mediatico condiziona il modo in cui la società contemporanea si rende conto dei rischi che corre”.

Dei 7 milioni di persone, per esempio, che ogni anno muoiono per inquinamento atmosferico, del count down cominciato da tanto tempo rispetto alle catastrofi climatiche, dei problemi di salute, di crisi idrica, di condizioni igienico-sanitarie scadenti, di affollamento demografico, e di ghettizzazione spietata di intere etnie – tutti fattori acceleranti il Covid – che ce ne facciamo? In pratica nulla, perché le misperception televisive e istituzionali virano verso tutt’altro.

Agamben le chiama “cospirazioni oggettive”: nessun despota, ma derive di utilità che precipitano a valle occhi menti e cuori