martedì 2 giugno 2020

Capitale, ideologia e disuguaglianza-Thomas Piketty

E' conoscenza comune che con le crisi si allarghino i margini delle disuguaglianze sociali. Su questo ritorna uno dei più importanti studiosi socialisti attuali, Thomas Piketty, con il recente studio "Capitale e ideologia", che fa seguito ai già noti "Il capitale nel XXI secolo","Capitale e disuguaglianza"ecc.
La ricetta per attenuare la disuguglianza non può essere dissimile da quella indicata dallo studioso francese,per un'equa ripartizione di redditi e ricchezza,attraverso tassazioni veramente progressive sui grandi capitali, con percentuali che possono variare.
A Piketty si obietta che togliere ai capitalisti una parte cospicua dei capitali prodotti, sarebbe come togliere il lievito alla base della torta.. Da parte mia penso che accurati calcoli potrebbero stabilire, per un capitale, quanta parte va giustamente lasciato all'imprenditore, per i suoi meriti, perchè esperisca largamente i bisogni e gusti propri dei famigliari.Un'altra parte, la seconda, potrebbe essere quel lievito atto a sviluppare imprese, produttività, guadagni ecc. E una terza parte, quella da devolvere ad uno Stato che sia in grado di occuparsi degli chi non riceve secondo i propri meriti,impegno ecc. o degli .sfortunati che la natura o l'ambiente di nascita avesse privato di possibilità di sviluppo .
Ragionamento semplice, utopico? Probabile. Perchè inattuabile senza l'apporto di un lievito madre: la buona coscienza della specie.


Capitale e ideologia. Intervista a Thomas Piketty

In Capital et idéologie (2019) l’economista Thomas Piketty riflette sulla giustificazione sociale delle disuguaglianze, chiedendosi se è possibile superare la visione sacrale del diritto di proprietà e immaginare altri assetti per il futuro.

A seguito dell’uscita in Francia del suo ultimo libro, intitolato Capital et idéologie, l’economista francese Thomas Piketty, autore del bestseller Il capitale nel XXI secolo (pubblicato in Italia da Bompiani), ha concesso un’intervista a Études, rivista dei gesuiti transalpini con cui Aggiornamenti Sociali ha un accordo per la pubblicazione condivisa di articoli. 


Nel numero di gennaio, dunque, Aggiornamenti Sociali pubblica questa lunga conversazione con uno degli economisti più noti, direttore di ricerca all’École des hautes études en sciences sociales (EHESS) e docente all’École d’économie de Paris (EEP). L’intervista si focalizza sui principali temi di ricerca di Piketty, ovvero la disuguaglianza e le sue “giustificazioni” sociali nelle diverse epoche e culture, la concentrazione della ricchezza e la fiscalità. Di seguito alcuni passaggi dell'intervista, a cura dello scrittore Sean Rose. 

Il suo nuovo libro Capital et idéologie passa in rassegna le giustificazioni della disuguaglianza anche al di fuori dell’Occidente: in Cina, India, Giappone, Medio Oriente. Qual è lo scopo di un approccio globale?
È essenziale tornare alle radici dell’attuale regime di disuguaglianza. In generale, la disuguaglianza moderna si basa su una grande narrazione proprietarista, imprenditoriale e meritocratica: la disuguaglianza moderna sarebbe giusta, perché deriverebbe da un processo liberamente scelto in cui tutti avrebbero pari opportunità di accesso al mercato e alla proprietà, e tutti beneficerebbero automaticamente di quanto accumulato dai più ricchi, che sono considerati i più intraprendenti, meritevoli e produttivi. Ci troveremmo così agli antipodi della disuguaglianza delle società antiche, che si basava su disparità di ceto rigide, arbitrarie e spesso dispotiche. Il problema è che l’aumento delle disuguaglianze a partire dagli anni ’80 e ’90 ha preso proporzioni così massicce che diventa sempre più difficile giustificarle in nome dell’interesse generale. Inoltre, quasi ovunque si spalanca un abisso tra i proclami meritocratici ufficiali e la situazione concreta delle classi svantaggiate in termini di accesso all’istruzione e alla ricchezza. 

La retorica meritocratica e imprenditoriale appare spesso come uno strumento che i vincitori dell’attuale sistema economico usano per giustificare comodamente qualsiasi livello di disuguaglianza, senza nemmeno doverla analizzare, e stigmatizzare i perdenti per la loro mancanza di merito, virtù e diligenza. Questa colpevolizzazione dei più poveri non esisteva, o almeno non nella stessa misura, nei precedenti regimi di disuguaglianza, che ponevano maggiormente l’accento sulla complementarità funzionale tra i diversi gruppi sociali.

La disuguaglianza moderna è caratterizzata anche da un insieme di pratiche di discriminazione e di disuguaglianze di ceto ed etnico-religiose, della cui violenza le favole meritocratiche non danno conto e che ci avvicinano alle forme più brutali delle disuguaglianze dell’antichità da cui pretendiamo di distinguerci. Possiamo citare le discriminazioni di cui sono vittima i senza dimora, o coloro che provengono da certi quartieri o da determinate origini. Pensiamo anche ai migranti che annegano. Di fronte a queste contraddizioni e in assenza di un nuovo orizzonte universalista ed egualitario credibile che consenta di affrontare le sfide della disuguaglianza, delle migrazioni e del cambiamento climatico in futuro, c’è da temere che il ripiegamento identitario e nazionalista assuma il ruolo di grande narrazione alternativa, come si è visto in Europa nella prima metà del XX secolo e come si manifesta nuovamente all’inizio del XXI secolo in diverse parti del mondo.

In linea di principio, il passaggio dalle società divise in ordini dell’Ancien Régime a quelle di proprietari del XIX secolo avrebbe dovuto porre fine alle disuguaglianze di ceto e sancire l’uguaglianza di tutti relativamente al diritto di proprietà. Ma, in pratica, la modernità proprietarista euroamericana è stata accompagnata da uno sviluppo senza precedenti di sistemi schiavistici e coloniali, che ha condotto a persistenti disuguaglianze tra bianchi e neri negli Stati Uniti e tra popolazioni autoctone e immigrate in Europa, con modalità diverse, ma comunque comparabili. In sintesi: le disuguaglianze legate alle differenze di ceto o di origine etnico-religiosa (o percepite come tali) continuano a svolgere un ruolo centrale nella disuguaglianza moderna, che non si riduce alle favole meritocratiche che emergono in certi discorsi.
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Ma allora non esistono leggi economiche “naturali”?
La disuguaglianza non è economica o tecnologica: è ideologica e politica. In altre parole, il mercato e la concorrenza, i profitti e i salari, il capitale e il debito, i lavoratori qualificati e non qualificati, i cittadini e gli stranieri, i paradisi fiscali e la competitività non esistono in quanto tali. Sono costruzioni sociali e storiche che dipendono interamente dal sistema giuridico, fiscale, educativo e politico che abbiamo scelto di istituire e dalle categorie a cui facciamo riferimento. 

Queste scelte rimandano innanzitutto alle rappresentazioni, che ogni società si costruisce, della giustizia sociale e di una economia giusta, e ai rapporti di forza politico-ideologici tra i diversi gruppi al suo interno. Questi rapporti di forza non sono solo materiali: sono anche e soprattutto intellettuali e ideologici. In altre parole, le idee e le ideologie contano nella storia, perché rendono costantemente possibile immaginare e strutturare nuovi mondi e società diverse. Sono sempre possibili traiettorie multiple.

Questo approccio si differenzia dai molti discorsi conservatori volti a spiegare che esistono fondamenti “naturali” delle disuguaglianze. In modo tutt’altro che sorprendente, le élite delle diverse società, in ogni epoca e a ogni latitudine, hanno la tendenza a “naturalizzare” le disuguaglianze, cioè a cercare di dare loro una base naturale e oggettiva, a spiegare che le disparità sociali esistenti sono nell’interesse dei più poveri e della società nel suo insieme, e che in ogni caso la loro struttura attuale è l’unica possibile e non può essere sostanzialmente modificata senza causare immense disgrazie. 

L’esperienza storica mostra il contrario: le disuguaglianze variano molto nel tempo e nello spazio, nella loro scala e struttura, e con modalità e una velocità che i contemporanei spesso avrebbero avuto difficoltà a prevedere anche solo qualche decennio prima. Questo a volte è stato causa di disgrazie. Ma, nel complesso, i diversi eventi e processi rivoluzionari e politici che hanno permesso di ridurre e trasformare le disuguaglianze del passato sono stati un grande successo e sono alla base delle nostre istituzioni più preziose, proprio quelle che hanno consentito di rendere reale l’idea di progresso umano: suffragio universale, istruzione gratuita e obbligatoria, assicurazione sanitaria universale, tassazione progressiva. È molto probabile che sarà così anche in futuro.
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Nonostante tutto resta ottimista e continua a credere che sia possibile superare la nozione di proprietà puramente privata…
Sulla base delle esperienze analizzate nel mio ultimo libro, sono convinto che sia possibile andare oltre il capitalismo e la proprietà privata e costruire una società giusta, sulla base del socialismo partecipativo e del socialfederalismo. La strada per arrivarci passa per l’istituzione di un regime di proprietà sociale e temporanea basato, da un lato, sulla limitazione dei diritti di voto e sulla condivisione del potere con i lavoratori nelle imprese e, dall’altro, su un’imposta sul patrimonio fortemente progressiva, una dotazione universale di capitale e la circolazione permanente dei beni. Implica inoltre un sistema di tassazione progressiva sul reddito e di regolamentazione collettiva delle emissioni di carbonio in grado di finanziare la sicurezza sociale, il reddito di base, la transizione ecologica e l’istituzione di un diritto all’istruzione davvero egualitario. Infine, questo richiede lo sviluppo di una nuova forma di organizzazione della globalizzazione, con trattati di cosviluppo imperniati su obiettivi quantificati di giustizia sociale, fiscale e climatica. 

Questa ridefinizione del quadro giuridico richiede di abbandonare una serie di trattati attualmente vigenti, in particolare gli accordi sulla libera circolazione dei capitali introdotti a partire dagli anni ’80 e ’90, che impediscono il raggiungimento di questi obiettivi, e la loro sostituzione con nuove regole basate sulla trasparenza finanziaria, sulla cooperazione fiscale e sulla democrazia transnazionale.



14 gennaio 2020