mercoledì 10 gennaio 2018

La morte di Mario Perniola

E'morto ieri  Mario Perniola ,un'intelligenza preziosa che ci lascia ,in quest'Italia così carente...tristezza, malinconia, per un tempo che viene meno...Del terrorismo come una delle belle arti (2016) mi ha fatto compagnia, durante il primo anno di solitudine da pensionato, lungo il Vergante...lui stesso, M.P.,, mi aveva poi annunciato l'uscita dell' Estetica italiana contemporanea,che sto ancora leggendo...dopo Giorgio Cesarano, Guy Debord,Gianni Collu,un altro maestro che ci lascia...Un uomo raro, mite, di una modestia rara, distintivo di un'intellettualità sana e coerente.



Mario Perniola, nato ad Asti nel'41,scomparso ieri a 75 anni, stava progettando un libro dedicato agli scenari politici della Francia di oggi: lo aveva affascinato la figura di Macron. Questo lavoro sarebbe stato l’ulteriore tassello di un complesso e mobile sistema teorico, segnato dalla continua oscillazione tra eccentricità e metodo. Formatosi all’Università di Torino, allievo di Luigi Pareyson, docente di Estetica nell’Università di Roma Tor Vergata, visiting professor in molti atenei internazionali ampiamente tradotto, Perniola ha elaborato una filosofia della contemporaneità aperta e problematica. Lungi dal farsi ingabbiare dentro griglie rigide, negli anni si è misurato con molte tematiche e con discipline non contigue (letteratura, arte, sociologia, comunicazione), praticando una programmatica perdita del centro. Ha ripercorso territori storicamente consolidati (surrealismo, dadaismo, situazionismo) ma anche geografie poco esplorate (cyberpunk, posthuman, perversione sessuale, «arte espansa»), ricorrendo spesso a categorie critiche originali (sensologia, artistizzazione), sorretto da una visione diffusa e inglobante del reale, pensato come totalità all’interno della quale le tradizionali suddivisioni tra filosofia, arte e vita si dissolvono.
Questa varietà di interessi è tenuta insieme dall’approccio di Perniola. Che, riprendendo suggestioni da Bataille, Klossowski e Baudrillard, ha rivolto uno sguardo laterale ai diversi ambiti di cui si è occupato. Lo dimostra già il suo libro giovanile L’alienazione artistica, dove l’arte è interpretata non come una manifestazione piena e risolta della creatività umana ma, appunto, come sua alienazione. Pensatore radicale e imprevedibile, Perniola ha offerto spesso chiavi di lettura inattese per accostarsi ad alcuni tra i più decisivi problemi culturali, artistici, antropologici e politici della nostra epoca. La sua sfida, affidata a libri editi per lo più da Einaudi e da Mimesis, però, è consistita sempre nel provare a suggerire la dimensione perturbante — il «negativo» — dei fenomeni analizzati, assegnando un ruolo centrale al confronto diretto con le poetiche e con le opere. In questo orizzonte vanno gli studi sull’arte (Enigmi, 1990; Il Sex appeal dell’inorganico, 1994; L’arte e la sua ombra, 2000; L’arte espansa, 2015); ma anche le riflessioni sui media e sulla comunicazione (La società dei simulacri, 1980; Contro la comunicazione, 2004; e Miracoli e traumi della comunicazione, 2009); e i contributi filosofici (L’alienazione artistica, 1971; Bataille e il negativo, 1977; Transiti, 1985; Del sentire, 1991; Del sentire cattolico, 2001). Senza dimenticare i volumi di sintesi (L’estetica contemporanea, 2011; ed Estetica italiana contemporanea, 2017).
All’attività teoretica Perniola ha affiancato una forte tensione militante. Come emerge dal dialogo con l’Internazionale Situazionista di Guy Debord (I situazionisti, 1971); dalle investigazioni sui rapporti tra potere e cultura (Berlusconi o il ’68 realizzato, 2011); dalla direzione di riviste interdisciplinari («Ágalma», fondata nel 2000); dalla collaborazione a periodici e giornali; e dalla partecipazione alle contestazioni del Maggio parigino del ’68. Da segnalare, infine, le sue scritture letterarie: il romanzo Tiresia (1968) e i racconti Del terrorismo come una delle belle arti (2016). Quasi l’inizio e l’epilogo dell’itinerario intellettuale di questo filosofo irregolare. Che aveva aperto L’alienazione artistica con una dedica: «Alla memoria di mio zio (...), che visse coscientemente il tempo della separazione e dell’impotenza». In quelle parole è già racchiuso il destino di Mario Perniola. Che ha scelto consapevolmente di abitare «il tempo della separazione e dell’impotenza»

Corriere della sera-cultura

lunedì 8 gennaio 2018

L'anno nuovo




(foto:Alba del'18 in Algarve-i poeti Pessoa-Leopardi)


Come ogni anno nuovo,il pensiero va a

 DIALOGO di un  VENDITORE d’ALMANACCHI
e di un PASSEGGERE


Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.