Mario Perniola, nato ad Asti nel'41,scomparso ieri a 75 anni, stava progettando un libro dedicato agli scenari politici della Francia di oggi: lo aveva affascinato la figura di Macron. Questo lavoro sarebbe stato l’ulteriore tassello di un complesso e mobile sistema teorico, segnato dalla continua oscillazione tra eccentricità e metodo. Formatosi all’Università di Torino, allievo di Luigi Pareyson, docente di Estetica nell’Università di Roma Tor Vergata, visiting professor in molti atenei internazionali ampiamente tradotto, Perniola ha elaborato una filosofia della contemporaneità aperta e problematica. Lungi dal farsi ingabbiare dentro griglie rigide, negli anni si è misurato con molte tematiche e con discipline non contigue (letteratura, arte, sociologia, comunicazione), praticando una programmatica perdita del centro. Ha ripercorso territori storicamente consolidati (surrealismo, dadaismo, situazionismo) ma anche geografie poco esplorate (cyberpunk, posthuman, perversione sessuale, «arte espansa»), ricorrendo spesso a categorie critiche originali (sensologia, artistizzazione), sorretto da una visione diffusa e inglobante del reale, pensato come totalità all’interno della quale le tradizionali suddivisioni tra filosofia, arte e vita si dissolvono.
Questa varietà di interessi è tenuta insieme dall’approccio di Perniola. Che, riprendendo suggestioni da Bataille, Klossowski e Baudrillard, ha rivolto uno sguardo laterale ai diversi ambiti di cui si è occupato. Lo dimostra già il suo libro giovanile L’alienazione artistica, dove l’arte è interpretata non come una manifestazione piena e risolta della creatività umana ma, appunto, come sua alienazione. Pensatore radicale e imprevedibile, Perniola ha offerto spesso chiavi di lettura inattese per accostarsi ad alcuni tra i più decisivi problemi culturali, artistici, antropologici e politici della nostra epoca. La sua sfida, affidata a libri editi per lo più da Einaudi e da Mimesis, però, è consistita sempre nel provare a suggerire la dimensione perturbante — il «negativo» — dei fenomeni analizzati, assegnando un ruolo centrale al confronto diretto con le poetiche e con le opere. In questo orizzonte vanno gli studi sull’arte (Enigmi, 1990; Il Sex appeal dell’inorganico, 1994; L’arte e la sua ombra, 2000; L’arte espansa, 2015); ma anche le riflessioni sui media e sulla comunicazione (La società dei simulacri, 1980; Contro la comunicazione, 2004; e Miracoli e traumi della comunicazione, 2009); e i contributi filosofici (L’alienazione artistica, 1971; Bataille e il negativo, 1977; Transiti, 1985; Del sentire, 1991; Del sentire cattolico, 2001). Senza dimenticare i volumi di sintesi (L’estetica contemporanea, 2011; ed Estetica italiana contemporanea, 2017).
All’attività teoretica Perniola ha affiancato una forte tensione militante. Come emerge dal dialogo con l’Internazionale Situazionista di Guy Debord (I situazionisti, 1971); dalle investigazioni sui rapporti tra potere e cultura (Berlusconi o il ’68 realizzato, 2011); dalla direzione di riviste interdisciplinari («Ágalma», fondata nel 2000); dalla collaborazione a periodici e giornali; e dalla partecipazione alle contestazioni del Maggio parigino del ’68. Da segnalare, infine, le sue scritture letterarie: il romanzo Tiresia (1968) e i racconti Del terrorismo come una delle belle arti (2016). Quasi l’inizio e l’epilogo dell’itinerario intellettuale di questo filosofo irregolare. Che aveva aperto L’alienazione artistica con una dedica: «Alla memoria di mio zio (...), che visse coscientemente il tempo della separazione e dell’impotenza». In quelle parole è già racchiuso il destino di Mario Perniola. Che ha scelto consapevolmente di abitare «il tempo della separazione e dell’impotenza»
Corriere della sera-cultura