Profili protestanti
A partire dal 1968, nell'immediato post-Concilio, si è allargata ufficialmente a tutte le Chiese
cristiane una prassi che prima era affidata a un'iniziativa più settoriale, quella di celebrare dal 18 al
25 gennaio di ogni anno una settimana di preghiere per l'unità dei Cristiani. Come è noto, infatti,
alla secolare frantumazione di questa unità cerca di opporsi il cosiddetto "movimento ecumenico",
operante tra la Chiesa cattolica, l'Ortodossia e la galassia protestante nelle sue varie denominazioni.
Vorremmo ora proporre - in una selezione tra le più recenti pubblicazioni - qualche titolo
bibliografico emblematico, fermandoci all'orizzonte protestante.
Naturalmente in capite poniamo la figura di Martin Lutero, il monaco agostiniano nato in Sassonia
nel 1483 che segnò l'evento capitale della Riforma attraverso un percorso che ebbe il suo momento
germinale simbolico nella celebre affissione delle "95 tesi" sulla porta della chiesa del castello di
Wittenberg il 31 ottobre 1517. Carducci, nel suo Inno a Satana (e il contesto "demoniaco", sia pure
elogiativo, è eloquente...), enfaticamente proclamava: «Gittò la tonaca Martin Lutero, / getta i tuoi
vincoli uman pensiero». Alla figura del grande riformatore dedica un ritratto essenziale Mario
Miegge, già docente all'università di Ferrara (l'opera è la riedizione di uno dei "libri di base"
apparso nel 1983).
L'impianto del testo è didattico e, quindi, efficace nel delineare i tre momenti storici su cui si
distende l'incidenza di Lutero. Ai prodromi medievali che scandiscono l'antefatto subentra
l'imponente figura del teologo e riformatore tedesco, che morirà nella natia Eisleben nel 1546, e ci
si affaccia poi sul fiume successivo che vedrà l'irrompere di altri personaggi come il "profeta
armato" Thomas Müntzer e il "legislatore di Ginevra" Giovanni Calvino, ma anche il sorgere delle
società moderne, spesso condizionate dall'etica protestante (il pensiero corre spontaneamente a Max
Weber). Proprio seguendo il percorso di questo fiume che lambisce il nostro presente, introduciamo
un'altra figura significativa del protestantesimo.
Si tratta di un insigne teologo, nato a Strasburgo nel 1902 e morto nel 1999 a Chamonix: Oscar
Cullmann, che tra l'altro fu osservatore al Concilio Vaticano II e in quell'occasione anch'io, allora
giovane studente di teologia, ebbi la fortuna di ascoltare le sue conferenze romane. L'originale
visione teologica di questo studioso protestante ha il suo cuore nella storia, segnata dall'irruzione
dell'evento Gesù Cristo (magnifico è il suo saggio Cristo e il tempo), che strappa il cristianesimo ai
rischi dell'intimismo esistenziale e dello spiritualismo trascendentale. Inevitabile fu, perciò, la
dialettica con le altre due colonne del Novecento teologico protestante, Bultmann e Barth.
Di questo teologo alsaziano, della sua cristologia ed ecclesiologia, del suo appassionato impegno
ecumenico, della sua acuta esegesi neotestamentaria e della sua fede nel ritorno di Cristo come
suggello della storia della salvezza, Aldo Moda offre un raffinato e profondo profilo che sfocia
nell'offerta di un saggio dello stesso Cullmann dedicato appunto al Ritorno di Cristo, speranza della
Chiesa secondo il Nuovo Testamento, un testo poco noto del 1942. Non c'è lineamento del pensiero
di questo importante testimone del "già ma non ancora" del cristianesimo (ossia della salvezza "già"
nella storia ma "non ancora" giunta alla sua pienezza escatologica) che non sia accuratamente
documentato, vagliato e approfondito, anche nelle dimensioni controverse, tenendo ben stretto il
filo dominante e coerente di un lungo itinerario frastagliato e complesso.
Ancor più frastagliato e complesso è, come noto, il panorama secolare del protestantesimo. Al suo
interno scegliamo un movimento che sboccia alle origini stesse della Riforma, che si è poi esteso
soprattutto negli Stati Uniti e che è approdato in Italia da 150 anni. Stiamo parlando della comunità
battista, dal 1956 strutturata nell'Unione cristiana evangelica battista d'Italia. Battisti famosi furono i
presidenti americani Truman e Jimmy Carter e soprattutto il pastore Martin Luther King. Ma per
conoscere i fondamenti del movimento battista è ora a disposizione un manuale nel quale il pastore
Domenico Tomassetto presenta e commenta La confessione di fede dei battisti italiani nei suoi 19
articoli.
Tre sono i cardini che reggono questa dottrina di fede e di vita. Innanzitutto il perno teologico
protestante classico: solus Christus, sola Scriptura, sola gratia, sola fides. A esso si associa un
secondo fulcro che è ecclesiale e che ha nel battesimo la sua anima.
L'evento battesimale si irradia poi nel sacerdozio universale dei fedeli al cui interno alcuni
esercitano i ministeri della predicazione evangelica e del governo della comunità. Infine, ecco il
terzo caposaldo che è quello dell'etica, illuminata dalla Parola di Dio, sostenuta dall'amore e dalla
libera responsabilità, pronta a tradursi «in comportamenti ora secondo i valori comunemente
riconosciuti, ora dirompenti e innovatori». Dal 1993 l'Unione battista ha sottoscritto un'Intesa con lo
Stato italiano che regola questioni di indole sia ecclesiale (assistenza spirituale, matrimonio,
ministeri nelle comunità) sia civile (il rapporto Chiesa-Stato, col rifiuto però della ripartizione dell'8
per mille del gettito Irpef).
Il cuore antico del protestantesimo italiano rimane, comunque, la Chiesa valdese che precede di
secoli il protestantesimo classico, avendo come riferimento fondante il mercante di Lione Pietro
Valdo del XII secolo. Non vogliamo ora suggerire uno dei molti testi storici e teologici che
riguardano questa confessione cristiana così caratteristica e vivace, presente in Italia soprattutto in
Piemonte (alcuni emigranti hanno diffuso il valdismo anche in Argentina e in Uruguay). Ci
accontentiamo solo di presentare una mappa del loro grembo topografico, Le Valli Valdesi, che
hanno per "capitale" ideale Torre Pellice, la "Ginevra italiana", secondo la definizione di De Amicis,
ove ogni anno si svolge il sinodo di questa Chiesa. Chi vorrà visitare questo territorio alpino nei
pressi di Pinerolo ha a disposizione una guida storico-geografica molto suggestiva che conduce nei
vari villaggi valdesi della Val Chisone, della Val Germanasca e della Valle Pellice, entrando nei
templi, percorrendo sentieri panoramici, scendendo nelle miniere di talco, incontrando personaggi
del passato drammatico e glorioso e rivivendo tradizioni religiose e foldoriche.
Profili protestanti
di Gianfranco Ravasi
in “Il Sole 24 Ore” del 19 gennaio 2014
giovedì 23 gennaio 2014
mercoledì 15 gennaio 2014
Oltre la spera
di Mario Pazzaglia
Oltre la spera che più larga gira. - Sonetto della Vita Nuova (XLI 10-13), su schema abba abba; cde dce, presente in numerosi codici e nalla Giuntina del 1527.E l'ultima lirica del libro, e D. ne sottolinea il significato conclusivo ponendola in immediata relazione sia con la mirabile visione accennata nell'ultimo capitolo (XLII 1), sia con la nuova materia annunciata nel cap. XXX 1 e svolta nelle canzoni Li occhi dolenti (XXXI) e Quantunque volte (XXXIII), nei sonetti Era venuta (XXXIV) e Venite a intender (XXXII) e infine, dopo l'episodio della ‛ Donna gentile ', nei sonetti Lasso! per forza (XXXIX) e Deh, peregrini (XL).
Nella prosa, infatti, afferma di averla inviata, insieme con Venite a intender e Deh peregrini, a due donne gentili che gli avevano richiesto alcune di queste sue parole rimate, proponendo implicitamente i tre testi come rappresentativi della propria vicenda spirituale conseguita alla morte di Beatrice. E in effetti essi delineano una storia, un movimento progressivo: se Venite a intender si concludeva, come le due canzoni contigue, con l'immagine dell'anima scorata, abbandonata de la sua salute (XXXII 6 14), e portata a dispregiar... questa vita (v. 12), a un affranto desiderio di morte, Oltre la spera è il definitivo ritorno alla ‛ lode ', un inno alla ‛ gloria ' di Beatrice, con un definitivo passaggio dall'ambito metaforico a quello metafisico, corrispondente all'intima tensione del libro.
Questa soluzione è preparata, dopo il superamento della tentazione di un nuovo amore terreno, dal ritorno al pianto come fedeltà e riconquista del senso sacrale della morte - e della vita - di Beatrice (son. Lasso! per forza) e quindi dal placarsi del dolore nell'elegia contenuta, pur se vibrante d'intimo affetto, di Deh peregrini, dove le immagini dei pellegrini pensosi, del loro indefinito andare, della città dolente assurgono a emblema del pathos cristiano del cammino e della speranza e prefigurano il peregrino spirito del nostro sonetto, la sua dialettica di smarrimento e, al tempo stesso, di strenua, intatta fedeltà dinanzi alla soverchiante visione di Beatrice beata.
La fronte del sonetto costituisce una sorta di epilogo in cielo di tutta la storia. Il pensiero di D., peregrino, cioè fuori della sua patria, della sua terrena relazione col senso, s'innalza spiritualmente sino all'Empireo per virtù di una intelligenza nova ispirata in lui dall'amore purificato dal pianto; là esso contempla Beatrice che riceve onore, / e luce (XLI 11 6-7), come in Pd XXXI 70-72. L'ampia voluta sintattica delle quartine asseconda l'impeto visionario dell'immaginazione, che si definisce peraltro in un dettato di luminosa certezza, costruito su un solido e vigoroso impianto concettuale, senza la tensione iperbolica, il tremore di miracolo o la dolcezza trepida delle altre rime della lode; e anche la rinuncia a ogni caratterizzazione fisica della donna, trasfigurata in pura luce e intatto splendore, segna il superamento di quel pathos di effimero che insidiava, prima, la contemplazione, pur beatificante, di una bellezza terrena. Poi, la sirima, con una sapiente, progressiva smorzatura, riconduce il senso della fugacità della visione, ristabilisce, dopo il rapimento estatico, la coscienza di un distacco, di una distanza incolmabile: Beatrice continua a vivere in terra soltanto nel ricordo e nella nostalgia di D., nella sua umile attesa di lei di là dai consueti parametri del tempo e della vita. La prima terzina sottolinea l'incapacità dell'intelletto del poeta di comprendere l'essenza nuova di Beatrice, divenuta intelligenza separata da materia (e qui, oltre alla citazione aristotelica della prosa, andrà ricordato anche Cv II IV 17); la seconda esprime un sommesso fremito di nostalgia in un linguaggio affettivo spoglio ma essenziale: il commiato dal compartecipe coro femminile (donne mie care), l'allusione rapida ma significativa al possesso della memoria (v. 13).
La prosa rinuncia a ricondurre la tematica del sonetto a una dimensione lirico-narrativa, ed è soprattutto intesa a porne in evidenza la struttura concettuale attraverso una ‛ divisione ' rigorosamente consequenziaria sul piano logico e dottrinale. Questo sembra indicare una stretta connessione temporale fra i due testi e il deciso affermarsi di una vocazione filosofica in D. nel tempo in cui li veniva componendo. Tale aspetto non è sfuggito agl'interpreti.
Il Nardi e il Klein hanno acutamente indagato la portata teoretica del sonetto, insistendo sugli apporti della filosofia scolastica e, il secondo, anche sugl'influssi neoplatonici. Altri, come il Marigo e, ma con discorso assai più equilibrato, il Branca, hanno avvertito in esso l'influsso del pensiero mistico, vittorino e francescano: l'esperienza qui rappresentata sarebbe, secondo il Branca, affine (pur senza una corrispondenza rigorosa) a quella della mistica contemplatio; l'esaltazione dell'essenza incorporea e angelica di Beatrice sarebbe preludio e guida alla visione della gloria di Dio, accennata anche nell'ultimo capitolo. Converrà tuttavia insistere, come fa il De Robertis in polemica col Singleton, sul fatto che l'oggetto della lode resta pur sempre Beatrice e che l'amore per lei come guida a Dio non appare nei due capitoli finali del libro come affermazione risoluta né sul piano teoretico né su quello poetico. La Beatrice celeste del sonetto preannuncia senz'altro quella della Commedia, ma se si stabilisce una troppo rigida contiguità fra i due testi si rischia di non comprendere il concreto significato del primo nella storia della poesia dantesca.
Oltre la spera e la mirabile visione (XLII 1) segnano un punto di arrivo, nel libro, ma anche di crisi; la rinuncia, di fatto, all'ulteriore avventura metafisica che sarà configurata nel poema e il preannuncio più diretto del momentaneo abbandono che è, poi, sviluppo in altra dimensione, della propria esperienza poetica giovanile da parte di D., nella direzione indicata più tardi dal II libro del Convivio.
Per la critica rivolta da Cecco Angiolieri al sonetto, che ha offerto recentemente al Marti lo spunto per una serrata imputazione della tesi, sostenuta dal Pietrobono e, in parte, dal Nardi, della doppia redazione della Vita Nuova, cfr. Dante Allaghier, Cecco, tu' serv'amico. Per il rapporto fra il sonetto e i vv. 14-19 della canzone Voi che 'ntendendo, che ne riprendono sinteticamente la tematica, cfr. il commento alle Rime della maturità e dell'esilio di V. Pernicone.
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